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Narrativa e saggistica

does it really happen

Does It Really Happen? …Yes!

By Cinema, Musica, Narrativa e saggisticaNo Comments

VUOI IMPORRE UN CONCETTO?

  • Scrivi un testo che esplichi il concetto in maniera semplice e diretta, studiando bene le frasi e le parole che vuoi impiantare nella mente.

  • Crei una musica emotivamente esplosiva, possibilmente suonata e prodotta in maniera innovativa, così da attirare l’attenzione e calamitarla, aprendo i canali ricettivi.

  • Ci innesti sopra il testo, scandendo bene frasi e parole, ripetendole ad hoc nei punti giusti.

  • Appoggi il tutto su una sequenza di immagini martellanti ben precise  e con un grosso appeal:  “libertà”, bei visetti e sesso aiutano sempre.

  • monti sequenze brevi e veloci con colori forti, possibilmente con flash e sequenze stroboscopiche e…

Adesso l’attenzione è tutta tua ed ecco che hai creato l’imprinting
per una o più generazioni

Come dici, “è solo la musica dagli anni 80 ad oggi“?

NO, è MARKETING

ma…

Testo

That’s what you say
Does it really happen to you
Does that explain
This is the season for this display.
To take a look
In time to move together
Time is the measure before it’s begun
Slips away like running water
Live for the pleasure, live by the gun
Heritage for sun and daughter
Down to the slaughter up for the fun
Up for anything.
Could this be true
Does it ever happen to you

And can you prove
That wheels go ‘round in reason
You take a step
In time,
To move together
Time is the measure before it’s begun
Slips away like running water
Live for the pleasure, live by the gun
Heritage for sun and daughter
Down to the slaughter up for the fun
Up for anything.
You walk, the way

You take, the path
To be, assured
You draw, a graph
The scale, you use
Is all, on black
Be brave, the weight
Will make, the heat
There is, no way
To take-it back.
Time is the measure before it’s begun
Slips away like running water
Live for the pleasure, live by the gun
Heritage for sun and daughter
Down to the slaughter up for the fun
Up for anything.

pontypool parola

Pontypool (2008): La scomparsa della Parola

By Cinema, Narrativa e saggisticaNo Comments

Per la vostra sicurezza evitate ogni contatto con i membri della vostra famiglia ed evitate anche di usare ogni termine affettuoso come Tesoro o Amore mio. Quando parlate con i bambini evitate discorsi retorici. Per maggiore sicurezza evitate anche di tradurre questo messaggio… per favore evitate di tradurre questo messaggio.”

The Boss

Un nuovo tipo di virus che si diffonde attraverso l’uso del linguaggio appare nella cittadina di Pontypool, nell’Ontario. Le vittime perdono la capacità di dare un senso comprensibile ai discorsi, spingendole in attacchi di follia e rabbia animalesca.

Nel romanzo Pontypool Changes Everyting di Tony Burgess un’epidemia di una strana piaga, la AMPS (Acquired Metastructural Pediculosis), fa scivolare le persone di tutto l’Ontario nell’afasia e poi in una rabbia cannibalesca da zombi.

L’AMPS viene trasferito attraverso la parola e l’unico modo per fermarne la diffusione è bandire la comunicazione. Questo virus metafisico e decostruzionista richiede un approccio multidisciplinare e medici, semiotici, linguisti, antropologi e persino critici d’arte presentano teorie sulla sua origine e trattamento.

Ma Grant Mazzy, un conduttore radiofonico misantropo e fuori dagli schemi, ha una sua soluzione.

Da questo racconto, facente parte della trilogia di Pontypool, sono state tratte una versione radiofonica e una riduzione filmica, Pontypool: Zitto… o Muori!

 

Pontypool è un racconto allegorico ma molto diretto che affronta l’enorme problema della mancanza di comunicazione, della distorsione del linguaggio e della parola che di conseguenza portano distorsione dei costumi e della comunicazione non verbale, fino alla totale incomprensione tra individui e particolarmente tra sessi opposti.

 

La scomparsa della Parola, del linguaggio, della comunicazione

La parola è un potente mezzo di comunicazione e di evoluzione ergo la parola è benefica, è una cura.

Ma cosa succede se la parola viene manipolata finché da un significato bello ne assume uno brutto? Cosa succede se da carezza diventa un pugno? Cosa succede se diventa ordine dittatoriale? Cosa succede se non rispetti questo ordine eseguito da una moltitudine prona a questa dittatura?

Succede che o ti arrendi o la parola ti uccide socialmente o addirittura diventa un cancro che ti consuma lentamente in un’agonia nella quale sei costretto a non affermare mai il tuo pensiero per poter sopravvivere nella società dittatoriata.

Questa e altre allarmanti questioni vengono estrinsecate in Pontypool, un film degli anni 2000 pensato per gli anni 2000.

L’incomunicabilità, la non accettazione dell’individuo e delle sue idee, la massificazione dei modi di vivere e di pensare secondo diktat imposti alla società tramite mode, marketing, influencing becero e passivamente violento e addirittura imposizioni illegali spacciate per “leggi”: questo sono gli anni 2000.

Ma a questo siamo arrivati tramite un lungo percorso di ingegneria sociale, di rimbecillimento delle masse durato decine di anni.

 

Le origini dell’oggi

Si dice che tutto sia iniziato con lo yuppismo degli anni 80 ma a fine decennio ‘70 c’era già il seme dell’imbecillità che era ben visibile in Italia con l’esplosione della moda popolare come Benetton prima e poi Fiorucci ma anche con certo abbigliamento che proveniva da oltreoceano,

Ricordo chiaramente un giorno che sull’autobus per la scuola una tizia di un paio di anni più grande mi disse con invidia, “hai i levis, costano un casino…” e io che avevo forse 10 anni e non sapevo nemmeno cosa fossero “i levis”, tranne che avevo un paio di jeans smessi arrivati di rimbalzo da chissà quale parente.
Quel giorno lì il verme dell’imbecillità mentale derivata dai diktat distrusse questa mia “verginità” intellettiva e lo ricordo ancora con disgusto, come una profanazione mentale appunto: percepii chiaramente che l’egregora era stata creata e iniziava a nutrirsi delle masse istupidite.

Pochissimi anni dopo gli spin doctors fecero esplodere il paninarismo e lo yuppismo e fu l’inizio della fine: tramite un’organizzazione capillare che fece larghissimo uso dei media cineradiotelevisivi e la stampa, i giovani vennero sistematicamente riempiti di sciocchezze e inquadrati come militari: si veniva facilmente snobbati da coetanei che comunicavano con un linguaggio da ritardati e appiccicavano gli appellativi più cretini: si veniva discriminati e isolati fin da ragazzini se non si era dotati di una costosissima “divisa” consistente in vestiario di pessimo gusto e qualità, con alcuni marchi creati ad hoc e altri recuperati dagli USA per spingere l’americanismo sempre più a fondo.

Ed era altrettanto chiaro che esistesse già l’influencing sociale e commerciale: romanzetti e film decerebranti come “Sposerò Simon Le Bon” sono un’autentica testimonianza di quei tempi perché è tutto vero: i ragazzini erano già imprigionati in quell’ingorgo mentale e i genitori ce li tenevano, quando non ce li spingevano, perché gli anni 80 dovevano essere stupidi, sfoggiosi, sgargianti e pretenziosi: “gallisti” come i film che arrivavano da Hollywood.

La separazione sociale c’è sempre stata ma negli anni 80 divenne la cosa sotto gli occhi di tutti, accettata e spinta dalle mode e dai genitori stessi, che per dimostrare uno status sociale erano disposti anche a diventare “mangiatori di cipolle” pur di poter apparire e tentare una ridicola concorrenza col vicino abbiente.

Ovviamente insicurezza, ansia, stress e panico era diventati la quotidianità e fiumi di droghe e di alcool diventarono di uso comune poiché se non si era all’altezza di sopportare simili stress si veniva tagliati fuori dalla società.

È storia vissuta da tanti che preferiscono dimenticarlo, sia i vessati che i vessatori: alcuni dei secondi li ho rivisti anni dopo e abbassavano lo sguardo, altri semplicemente facevano finta di nulla e continuavano il loro “gallismo” sotto altre mentite spoglie e sono i distrutti dalle droghe e alcool di oggi, rimasti “vuoti a perdere” come allora e spesso genitori di altrettanti “successi umani”.

Il risultato di una tale pressione fu che il commercio andava alla grande, si, ma sulla pelle di tutti.
I giovani venivano compressi come pazzi per soddisfare le aspettative dei genitori, della famiglia, del datore di lavoro, del kapò che li torturava per farli rendere al massimo sul lavoro col miraggio della carriera: nella vita dovevi essere carico h24 ed essere sempre pronto a sbocciare senza mai un capello fuori posto, insicurezza e panico erano banditi come nemici della patria… un solo cedimento e venivi tagliato fuori.
In tutto questo la coca regnava sovrana.

A quel punto la famiglia, se avevi il tempo e la voglia di fartela, era diventata sia il motore che l’ultima ruota del carro, come la comunicazione con i figli che erano in buona parte già finiti in giri di droga pesante.
Questo erano in realtà i “brillanti e coloratissimi anni ‘80”

Gli anni 90, per quanto tristi e risibili con la loro depressione grunge, rimisero un po’ in carreggiata i cervelli ma i duemila hanno logicamente riportato l’ondata di piena dell’ottantismo decuplicata in quanto a vuotezza e stupidità disarmanti: “Sotto il vestito niente” oggi è appannaggio di tutti.

 

Stephen McHattie è Grant Mazzy

Distopia oggi

Oggi, in questi vuoti anni duemila, alcune parole hanno praticamente perso il loro vero significato, Amore è sicuramente la prima ma è certamente seguita da Fascismo e Nazismo e ormai lo sappiamo tutti come sappiamo che la massa non ha il coraggio di affermare le proprie idee e volontà perché mal tollera il confronto e soprattutto quello che viene effettuato tramite mezzucci aggressivo-passivi dal sistema, perciò preferisce arrendersi ad un indottrinamento per lo più passivo, piuttosto che “crearsi problemi”.

Il risultato però non lo si vede sugli adulti, che ancora sanno quale sia il vero significato di parole come fascismo, ma sui figli, i nipoti, i pronipoti e via così.
Perché il fenomeno va guardato in prospettiva e se già oggi appena si dichiara la propria opposizione ai diktat, persino alla follia arcobalenista che ci vorrebbe privare di una identità sessuale ed arrivare ad imporci la promiscuità, arrivando addirittura a mettere al bando la naturale eterosessualità (avviene già illegalmente nelle scuole in molti paesi del mondo tra cui il nostro), si subisce la continua martellante accusa di fascismo, ci si può immaginare cosa potrà accadere domani se i genitori non si responsabilizzano verso i propri figli.

Siamo già in una società distopica in stile Swiss Made 2069, dove la vita sociale avviene già attraverso siti “social” che sono strettamente controllati da una polizia virtuale denominata Fact Checkers che assume delatori per pochi spicci e dove degli “influencer” di dubbia provenienza fanno da opinionisti forzosi con l’aiuto di troll (più facilmente bot gestiti da qualche algoritmo) che sono pronti a dare immediatamente del fascista a chiunque voglia diversificarsi dai diktat.

Gli scambi sessuali e sentimentali (o tentati tali) si svolgono tramite dei siti d’incontri dove dei fantomatici personaggi femminili – con altrettanto fantomatiche fotografie di profilo e biografie – dichiarano di cercare un individuo “standard e perfetto” che non esiste altro che nelle loro fantasie deviate dal sistema e soprattutto che non sia “basso e fascista”!

Attraverso questi profili, probabilmente dei bot gestiti dall’algoritmo stesso del sito, il sistema ti dice che o sei “alto e liberal” o come uomo nella società non esisti: non essere mai “basso e fascista” o non ti riprodurrai mai e resterai solo perché la donna del 2000 programmata dal sistema non ti vorrà mai, non si concederà mai e non ti sposerà per avere figli da te e divorziare portandoteli via con tutti i tuoi averi e la dignità.
Qualcuno forse obietterà che è una visione pessimistica ed esagerata ma se si gira ad osservare un amico immagino dovrà smettere di obiettare.

Il risultato di tutto questo è che la donna oggi è infelice perché a quanto pare gran parte degli uomini, temendo le possibili pesanti conseguenze di una relazione, cercano solo sesso mordi e fuggi e immancabilmente la colpa viene riversata su di loro, come se il maschio invece fosse davvero felice di una situazione nella quale dover continuamente difendersi dalla donna, come se nessuno desiderasse avere accanto una VERA compagna.

Il problema è che mancano comunicazione e maturazione da entrambe le parti e la donna per ora continua a scegliere la strada larga: in questa specie di felliniana “Città delle donne” che è diventata la società, ha scelto di abbracciare il punto di vista limitato che gli è stato fornito dal diktat femminista che la spinge ad essere autopermissiva, a giustificare molto sé stessa accusando sempre “il maschio” di tutto, non volendosi rendere conto che la responsabilità è in buona parte anche sua per aver ceduto alle lusinghe di un femminismo isterico che le ha portato solo la solitudine più profonda e il sogno eternamente irrealizzato di un inesistente principe azzurro o anche solo degli “uomini di una volta che non ci sono più”.

Diceva un Ferreri, fin troppo simbolico, che “Il futuro è donna”.
Si, ma una donna sola.

Nel film Pontypool questa donna è incarnata dal personaggio di Sydney Briar, da qui il motivo della frase «Sydney Briar è ancora viva».

Lisa Hoult è Sydney Briar

I “successi” del Liberalismo

Se il liberalismo – nella teoria – è una filosofia politica e morale fondata sul concetto dei diritti inalienabili e il sostegno per le libertà civili, nella realtà odierna è stato completamente distorto come concetto ed espressione, fino a diventare un sistema che circuisce le persone e che con il pretesto di tutelare e liberare invece devia e imprigiona.

Il liberalismo oggi si è ormai rivelato per quello che è: una parola deviata scelta per rappresentare un sistema carcerario utilizzato con comodo dal sistema.

Il liberalismo è ormai il cancro dell’umanità, il liberalismo viene propagato tramite la parola.

Ma la speranza del liberalismo è la separazione degli individui, l’imporgli un pensiero unico spacciato per libertà e il tentare con ogni mezzo di privarli della comunicazione, del rapportarsi tra loro e risolvere le incomprensioni prima che diventino guerra.

Il liberalismo vuole che questa guerra ci sia perché la massa la controlli bene quando è compattata dal pensiero unico, spaventata e rancorosa, portata alla meschina vendetta e alla delazione, che avviene sempre tramite parola ed è l’unico tentativo di sfogo per gli esseri arresi alla dominazione.

Non è un caso che il liberalismo spinga alla perversione sessuale: al liberalismo piace la promiscuità spacciata per libertà, l’orgia, il sadomasochismo, il bondage, il sesso fatto con distacco tra elementi dello stesso sesso o masturbato tramite giocattoli gommosi che, per una popolazione di eterni immaturi, sostituiscono quelli dell’infanzia anelata al posto dell’incubo nel quale si trova immersa e costretta da adulta.

Perché quindi stupirsi che le relazioni vere e durature vengano impedite con ogni mezzo?
Eppure non c’è bisogno di andare a studiare cosa sia il Matrimonio Alchemico per capire che l’individuo evolve pienamente solo in coppia, confrontandosi con il partner di sesso opposto tramite la parola, l’accoglienza, il confronto, il conforto, il contatto sentimentale e infine sessuale: senza la chiave non si apre la porta e senza la porta la chiave è inutilizzabile.

Non è un caso che Amore sia la prima parola che è stata volutamente distorta e abusata.
Non è un caso nemmeno che Amore in inglese sia Love, che letto al contrario è Evol, una storpiatura di Evil, cioè Male.

Non è un caso neppure che un gesto tanto di moda oggi e presente nei selfie di giovani (ma anche tristi semi-anziani) sia il gesto del dito medio che pare tutti si siano dimenticati simboleggiare in realtà una grande offesa verso la persona a cui lo si rivolge. Un segno che ferisce il prossimo e che indica un’aggressiva chiusura e isolamento in chi lo porge.

E non è un caso che il film tratto dal racconto Pontypool Changes Everything si svolga nel giorno di S. Valentino è anzi molto simbolico, come lo fu la famosa “strage” mafiosa.

 

 

Il film

 

Il film Pontypool qua da noi è quasi scomparso di circolazione già da anni ma i suoi creatori non hanno mollato la presa e negli anni ne hanno prodotto lo spin-off Dreamland oltre ad avere in lavorazione il sequel Pontypool Changes, entrambi sempre con protagonisti Stephen McHattie e la moglie Lisa Hoult e la regia di Bruce McDonald.

L’impossibilità di comunicare, di esprimere le proprie idee, sensazioni, opinioni dovendole reprimere in sé stessi per evitare di venire prima isolati, evitati e poi messi alla gogna dalle masse che sono state talmente irregimentate dalla “parola fatta ordine”, dalla paura e dalla paura della paura stessa addirittura, tanto da farla diventata una vera e propria epidemia di terrore cieco. Questo è ciò che viviamo oggi e che viene estrinsecato daPontypool.

Questo porta o alla resa o alla misantropia, che sia forzata dalla necessità di sopravvivere o scelta liberamente per evolvere come individui.

Forse però non è ben chiaro cosa sia la misantropia e tantomeno lo insegneranno loro con le galere e gli isolamenti, materiali e mentali.
Si può essere misantropi anche in mezzo alla folla, in maniera anche maggiore anzi. E non è disprezzo, è l’avere ben chiaro chi sei tu e chi sono gli altri.
Si impara a conoscere il mondo evitando di venire travolti dalle dinamiche di massa.

Questo è proprio lo spirito di Grant Mazzy, il conduttore radiofonico protagonista di Pontypool: Un Individuo con uno sguardo lucido e distaccato all’umanità ma pieno d’amore verso di essa, con la consapevolezza della propria impotenza nell’aiutarla a cambiare ma che non per questo smette di provarci.

Perché il titolo del racconto è vero: “Pontypool cambia tutto” e Pontypool siamo noi, se lo vogliamo.

Pontypool è dentro di noi e sta a noi scegliere se essere un Grant Mazzy o parte della massa.

 

Il racconto di Tony Burgess

Locandina del film

“Pontypool – Zitto… o muori” (Canada 2008) di Bruce McDonald

Regia Bruce McDonald
Soggetto e sceneggiatura Tony Burgess
Produzione

Jeffrey Coghlan

Ambrose Roche

              Interpreti Stephen McHattie: Grant Mazzy
Lisa Houle: Sydney Briar
Georgina Reilly: Laurel-Ann Drummond
Hrant Alianak: Dr. Mendez
Fotografia Miroslaw Baszak
Montaggio Jeremiah Munce
Musiche Claude Foisy
Compagnie di produzione Ponty Up Pictures
Shadow Shows
Data di uscita

6 settembre 2008 (Toronto International Film Festival)
6 marzo 2009

Durata
96 minuti

 

Candidature e premi

30th Genie Awards – Best Actor, Best Director, Best Adapted Screenplay (Nomina)

Trailer del film Pontypool – Zitto… o muori

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Serge Brussolo – La Collera Delle Tenebre (1986)

By Narrativa e saggisticaNo Comments

Follia sanitaria, gravi malattie psicosomatiche, corpi che esplodono, atmosfera appiccicosa da apocalisse, lockdown militari, creature da incubo, panico e orrore...Brussolo con questo breve romanzo del 1986 non ci fa mancare niente.

Daniele Pieraccini

La copertina dell’edizione originale Italiana Urania

Pubblicato in Italia per la collana Urania il 18 gennaio 1987, “La Colère des ténèbres” fa parte del filone science-fiction che ha caratterizzato gli anni ’80 dello scrittore parigino.

Serge Brussolo (nel blog anche la recensione de “I seminatori di abissi”) si guadagna il rispetto necessario alla lettura fin dalle prime pagine di questo suo romanzo. E’ una lettura facile, veloce, non complessa ma dotata di una strana profondità che pare scaturire da una mente molto fervida sotto l’effetto di qualche psicofarmaco.

Si ha l’impressione di entrare in un universo surrealista creato da una immaginazione senza freni. Nonostante lo scarso spessore dei protagonisti, che ci priva di ogni empatia nei loro confronti (li seguiamo quasi più per vedere fin dove si spingeranno la loro demenza e la loro avidità), ci imbattiamo in immagini non prive di una certa poesia, seppure oscura e surreale.

Serge Brussolo

La sinossi della storia:

David è un giovane infermiere inesperto e impreparato che viene assunto da una strana clinica sperduta in una brughiera, un luogo fuori dal mondo nel quale si aggira oltretutto, mietendo vittime, una bestia misteriosa, forse un lupo mannaro che qualcuno ha intravisto.
Il dottor Minsky, che dirige l’ospedale, è altrettanto misterioso e sfuggente. Su di lui e sui suoi esperimenti circolano voci strane ed inquietanti.

Nonostante la piccola città vicina all’ospedale sia invasa da branchi di pazienti ingessati, vittime di un’epidemia psicosomatica che provoca fratture spontanee ed immotivate, fino a far esplodere crani come gusci d’uovo sotto pressione, il professore riserva ai numerosi pazienti della clinica un interesse relativo. Le sue attenzioni sembrano dirigersi maggiormente al mondo degli insetti, anzi, verso una specie molto particolare di insetto…

David, guidato dalla bizzarra infermiera Julie, inizia a lavorare nella clinica e ad indagare sulle stranezze che caratterizzano la struttura ed i suoi dintorni.
Ogni mistero che si presenta è prima o poi svelato nel corso della vicenda; conosceremo anche l’origine dei lati oscuri del giovane infermiere e della nefasta e intrigante collega.
La cura rivoluzionaria che il dottor Minsky sta applicando sui pazienti ci sorprenderà e raggelerà; come le altre rivelazioni del romanzo lascerà immagini difficili da cancellare nella retina della nostra mente.

“Ira Melanox” edizione internazionale e “La Colère des ténèbres” edizione francese

La fantasia fertile e malata di Brussolo ci immerge in un’atmosfera glauca e opprimente che l’autore, con la sua scrittura nervosa, riesce a rendere in qualche modo accattivante. La costruzione della storia procede come una sorta di aggravamento permanente, tutto è strano e folle, compresi i due protagonisti dal passato oscuro. Le loro disavventure sono però a tratti divertenti, e l’opera risulta molto veloce da leggere.

Brussolo, perlomeno quando si muove all’interno del suo filone “fantascientifico”, sembra un Ballard ancor più cupo, distopico e cinico.
Gli elementi di body-horror (ibridazione e mutazione) rimandano certamente anche alle opere di Cronenberg; la descrizione che l’autore francese rende della realtà ricorda le visioni assurde, inconcepibili e patologiche di uno dei maestri del fantastico e dell’horror in letteratura, E.T.A. Hoffmann, senza però il risvolto onirico e magico proprio del lato romantico dell’autore tedesco, con il conseguente rimpianto di un’armonia perduta.
Brussolo non rimpiange né vagheggia alcunché, la sua immaginazione nasce da un mondo di oscurità assoluta e senza speranza alcuna. Dal disinteresse verso ogni forma di speranza, parrebbe.

AUDIOINTERVISTA IN FRANCESE A SERGE BRUSSOLO

CONSIDERAZIONI FINALI

Quello de “La collera delle tenebre” è un mondo che espande la sua follia ben oltre i confini della brughiera di Saint-Alex.
Un mondo di scienziati pazzi che ignorano volutamente le cause dei disturbi che affliggono i pazienti, trovando più affascinante, rapido e remunerativo combattere i sintomi, a costo di applicare trattamenti allucinanti che si rivelano peggiori del male stesso.
Un mondo in cui le persone si ammalano a causa del terrore di ammalarsi; un mondo in cui le autorità tutelano esclusivamente i soggetti più importanti o facoltosi, reprimendo, spiando e brutalizzando con modalità ottuse e cieche la maggioranza dei cittadini.

Un mondo in cui gli stessi cittadini formano una folla psicologica alla deriva, in balìa degli eventi, superstiziosa, paurosa e infine capace di reagire con furia barbarica e insensata.

Un mondo, insomma, che oggi possiamo sentire un po’ meno “fantascientifico” e più vicino…

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I Viaggiatori Della Sera (1979)

By Cinema, Narrativa e saggistica, Personaggi StoriciNo Comments

Per il suo commiato da regista, Tognazzi torna sugli oscuri territori distopici e sceglie un racconto che del commiato fa il suo soggetto: "I viaggiatori della sera" di Umberto Simonetta.

Lorenzo

Articolo di Daniele Pieraccini

(contiene spoiler)

«E se allora essere umani non fosse più l’unico requisito richiesto per avere diritto di vivere?
E se un giorno si ipotizzasse che degli esseri umani potrebbero, in base alle loro prerogative di medici, politici o giudici, decidere se la vita di un altro essere umano è degna o meno di essere vissuta?».

da “La morte moderna”, scritto nel 1978 da Carl-Henning Wijkmark

Ad oltre un decennio di distanza da Il fischio al naso, Ugo Tognazzi torna a stupire con un’altra opera distopica, tratta dal romanzo omonimo di Umberto Simonetta.

Siamo ancora nel territorio della critica sociologica: nel film del 1967 il tema principale era il mercato della sanità, stavolta l’attore e regista cremonese prende di mira la gestione da parte del potere delle risorse ambientali, economiche e pure umane.

Pensate quanto moderne fossero le “visioni” di Tognazzi, adesso che stiamo addentrandoci sempre più in una “Nuova Normalità” di diritti flessibili e revocabili, di emergenza permanente, di capovolgimento del senso morale, di azzeramento di ogni senso critico, di indottrinamento capillare.

Copertina del racconto di Umberto Simonetta

Nel mondo futuro descritto da Simonetta si pubblica un solo giornale, si chiede il voto per i bambini di 13 anni e il potere è gestito in maniera inflessibile dai giovani.
Poliziotti vestiti di bianco vigilano come Esercito di Salute Pubblica, mentre orwelliani
altoparlanti ricordano continuamente regole e prescrizioni.
Una legge impone (secondo una formula drammaticamente attuale di “obbligo volontario”) che una volta raggiunta l’età di 49 anni i cittadini debbano abbandonare famiglia e società per trasferirsi in assurdi villaggi turistici, apparentemente per andare in vacanza a tempo indeterminato.

Siamo dalle parti di La fuga di Logan, film statunitense del 1976, diretto da Michael Anderson e anch’esso ispirato ad un romanzo; si parla infatti di organizzazione di vita “bioecologicamente” bilanciata, completamente pianificata e gestione della curva demografica attuata mediante controllo delle nascite ed eutanasia mascherata da cerimonia o premio.

“Chissà se fra di voi c’è qualcuno che si ricorda di quando potevamo ancora stare tutti insieme…”

Orso Banti, in arte Orso scoppiato (Tognazzi) è un dj radiofonico alla sua ultima trasmissione.

Per lui e per la moglie coetanea Nicki (una bravissima Ornella Vanoni) è giunta l’ora del “pensionamento” nel villaggio vacanza. Lo spazio radio di Orso, trasgressivo e scurrile, sarà occupato da notiziari di pubblica utilità, condotti da giovani burocrati, con aggiornamenti quotidiani del Grande Contatore sul numero degli abitanti del pianeta.

I giovani sono grigi e amorfi, sobri, educati e perfettamente domati, vestiti in maniera formale ma anonima e vivono seguendo rigidi princìpi di ordine. Al contrario i vecchi sono legati ad un altro modo di vivere, più spontaneo, vestono colorato e trasandato ed hanno voglia di far caciara e divertirsi.

“Nonno, perché dici tutte quelle banalità e sconcezze alla radio?”

Orso si preprara a partire per la “vacanza”

Nicky è stata fermata da uno spione ufficiale che l’ha ripresa per aver lasciato cadere un giornale a terra e pretende di controllarle il documento d’identità

Mentre Orso e la moglie preparano i bagagli per il viaggio di non ritorno, dalla conversazione in famiglia tra loro, i figli ed il nipote piccolo apprendiamo molte cose di questo “nuovo mondo”:
per procreare occorre una specifica autorizzazione da parte del potere centrale; ogni cittadino è dotato di tessere per accedere ad ogni tipo di servizio; la sterilizzazione è incentivata e incoraggiata costantemente; al quarantanovesimo anno di età è obbligatorio portare una fascia al braccio.

Soprattutto, dai dialoghi tra familiari appare netta la distanza di pensiero che corre tra le generazioni e che vanifica ogni tentativo di comprensione. I figli, compitissimi e ligi al dovere, considerano i genitori dei cialtroni senza speranza, irritanti ed irresponsabili.

Per Orso e Nicki i figli sono eccessivamente inquadrati e inibiti e non sanno cosa voglia dire godersi la vita. Un rovesciamento di ruoli che appare grottesco ai nostri occhi. Ancor più grottesco appare il piccolo Antonluca, nipote dei due protagonisti, totalmente plasmato dalla propaganda, un piccolo burocrate che rimprovera continuamente i nonni usando toni e concetti che non appartengono ad un bambino.

“Orso, noi siamo la prima generazione che va al villaggio…lo senti loro come ragionano? sono cresciuti con quest’idea e così i loro figli”

La famiglia parte dunque per raggiungere il villaggio numero 27, al quale sono destinati Orso e Nicki. Figli e nipote li accompagnano, dando seguito a discussioni e conflitti e non celando più di tanto la voglia di chiudere in fretta la questione e di tornarsene alla loro vita. Veniamo a sapere che i figli neanche si augurano di arrivare all’età della “vacanza”, sono talmente improntati all’efficienza che sfociano nell’autoresponsabilizzazione suicida.

Lungo il tragitto, in un paesaggio brullo e arido, la presenza della propaganda e del potere eco-sanitario è costante. Pattuglie di giovanissimi poliziotti dell’ESP che sbucano fuori ovunque, cartelloni inquietanti che fiancheggiano l’autostrada deserta (“siamo troppi” “sterilizzatevi” “ordine è civiltà”) e una stazione di servizio deserta con il barista-tutore dell’ordine che serve i clienti dando loro le spalle ma scrutandoli tramite uno schermo, mentre bevande e caffè vengono prodotti da un macchinario impersonale.

Persino la marijuana che Orso e Nicki fumano è fornita dallo Stato.

Prima di arrivare a destinazione c’è una digressione in una oasi di verde, nella quale si riuniscono per una festa con musica, droghe e vino tutti i futuri ospiti del villaggio, sempre sotto continua e pressante sorveglianza dei giovani poliziotti vestiti di bianco. Quella che procede in allegria come un’ultima commemorazione di un passato felice si conclude tragicamente con il plateale suicidio dei due gemelli proprietari del fondo che ospita la festa. Anch’essi condannati alla vacanza e ad abbandonare di conseguenza la tenuta in cui hanno trascorso la vita preferiscono la morte immediata.

I timori già esistenti in molti dei futuri vacanzieri riaffiorano, il tono della vicenda si fa sempre più crepuscolare.

Festa con suicidio

“Qui lo fanno tutti e l’autorità non dice niente, anzi lo considera un alto servizio sociale”

Arrivati al villaggio, moderno ed asettico, una prigione a cielo aperto nella quale possono muoversi liberamente ma senza uscire dai confini, Orso e Nicki apprendono da altoparlanti le regole del posto e fanno la conoscenza degli altri ospiti e ritrovano vecchie conoscenze.

Ben presto la coppia, anche se continua a convivere nello stesso appartamento, entra in crisi. All’interno dell’istituto tutti tradiscono tutti, c’è un furore del sesso che ha preso il sopravvento su tutti i rapporti umani; vecchi e vecchie contrattano prestazioni sessuali con giovani inservienti freddi come automi, che si accontentano, in cambio, di un maglione o di una collana.

Nel nuovo ordine infatti la promiscuità sessuale è incentivata ma tecnicizzata e slegata da ogni pulsione vitale o affettiva (come già preconizzava Huxley ne Il mondo nuovo).

Gli ospiti vi si dedicano continuamente più per noia che per voglia, ostentando una frenesia che è solo ricerca di stordimento.

“Chiedo l’autorizzazione al disbrigo di una pratica sessuale”

L’evento più atteso e temuto al tempo stesso è la periodica lotteria, alla quale tutti gli ospiti sono obbligati a prendere parte. Si tratta di un bizzarro incrocio tra mercante in fiera e tombola, con degli strani tarocchi, ed il premio è la partenza immediata per una crociera che nessuno sogna: infatti mai i vincitori hanno fatto ritorno al villaggio, dal che si deduce che in realtà vengano soppressi.
Il fatto è accettato con rassegnazione dagli ospiti, che continuano a svagarsi dedicandosi al sesso, unica vera attività consentita.

Orso fa amicizia con Bertani, quello che alcuni oggi definirebbero – sbagliando termine – un complottista, che asseconda lo spirito ribelle e solidale dell’ex dj. Mentre gli altri ospiti vivono sospesi tra obbedienza e fatalismo, i due non sono intenzionati ad accettare il destino che altri hanno deciso per loro e vogliono preparare una fuga.

Intanto i legami coniugali e affettivi si allentano, anche in previsione di future, dolorose separazioni.

Anche Orso, seppur inizialmente riluttante a tradire la moglie, si lascia andare a una relazione con un’addetta al campo, Ortensia, indirizzato nella sua scelta da Bertani. Infatti la ragazza fa parte di un movimento di giovani contro ogni privazione della libertà ed aiuta gli anziani intenzionati a scappare.

“L’ignoranza è errore e l’errore è la morte”

Per fuggire però Orso e Nicki devono passare indenni dalla lotteria successiva; consultano così Simoncini, l’ospite più longevo del villaggio che pare abbia trovato un sistema matematico per perdere sempre al gioco e quindi di non essere mai selezionato per la crociera.

Purtroppo, nonostante questo sforzo, Nicki finisce tra i vincitori ed è costretta ad imbarcarsi. In una scena straziante sul pontile i due, consapevoli che non si rivedranno mai più, si salutano con un ultimo bacio, confessandosi il loro amore.

Anche Orso, sopraffatto dal dolore e rassegnato a non fuggire più e ad aspettare il suo turno per la crociera, morirà. Ma in maniera clamorosa ed imprevista, per creare un diversivo che permetta la fuga di Bertani ed un altro ospite.

Sarà Antonluca, il nipotino, ad ucciderlo per gioco o per errore, in un vecchio zoo galleggiante abbandonato, pieno di animali imbalsamati ormai estinti

Benvenuti nella nuova normalità

Oggi capiamo perché film del genere siano stati ignorati, stroncati dalla critica o finiti presto nell’oblio, anziché essere proiettati e discussi nelle scuole.

Altrimenti adesso non vivremmo un momento storico in cui la maggioranza delle persone vive come gli ospiti del villaggio, obbedienti e rassegnati o forse vittima dell’illusione che la crociera chiamata Grande Reset sia una terra promessa anziché il mattatoio.

Opere collegate:

Libri:

I viaggiatori della sera” di Umberto Simonetta
“La fuga di Logan” di William F. Nolan e George C. Johnson
Il mondo nuovo” di Aldous Huxley
1984” di George Orwell
Quarto: uccidi il padre e la madre” di Gary K. Wolf
La morte moderna”, di Carl-Henning Wijkmark

Film:

Il fischio al naso (1967) di Ugo Tognazzi
Swiss Made 2069 (1969) di F.M. Murer
La fuga di Logan (1976) di Michael Anderson

Il film è stato ambientato nelle scene iniziali a Milano 2, per poi trasferirisi nella splendida location di Lanzarote, nelle isole Canarie.

 

LA SPLENDIDA SOUNDTRACK DI TOTI SOLER E XAVIER BATTLES CON LE IMMAGINI DEL FILM

“I viaggiatori della sera” (IT 1979) di Ugo Tognazzi

Regia: Ugo Tognazzi
Soggetto: Umberto Simonetta (romanzo), Sandro Parenzo
Sceneggiatura: Ugo Tognazzi, Sandro Parenzo
Produttore: Franco Committeri
Musiche: Toti Soler, Xavier Batllés, Santi Arisa

Personaggi e interpreti

Ugo Tognazzi: Orso Banti
Ornella Vanoni: Nicki Banti
Corinne Cléry: Ortensia
Roberta Paladini: Anna Maria Banti
Pietro Brambilla: Francesco Banti
José Luis López Vázquez: Simoncini
William Berger: Cochi Fontana
Manuel de Blas: Bertani
Deddi Savagnone: Mila Patrini
Leo Benvenuti: Sandro Zafferi
David Fernández Álvaro: Antonluca, figlio di Anna Maria
Enrico Tricarico: direttore del villaggio
Sergio Antonica: Nicola
Ricky Tognazzi: giardiniere
Carmen Russo: ragazza alla stazione radio

 

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IL FISCHIO AL NASO (1967)

By Cinema, Narrativa e saggistica, Personaggi StoriciNo Comments

Ispirato da un racconto di Buzzati, nella sua seconda regia Ugo Tognazzi costruisce un'aspra satira su come l'industria della sanità riesca a creare malati da persone in perfetta salute.

Lorenzo

Articolo di Daniele Pieraccini

(contiene spoiler)

Con la descrizione di questa industria della malattia, ho voluto rendere la degenerazione che porta la società dei consumi anche nella scienza, cioè in quella parte della società che dovrebbe invece conservare l’uomo, la sua integrità fisica e psicologica

(Ugo Tognazzi, dal libro a lui dedicato nel 1981 da Claudio G. Fava e Aldo Bernardini).

Tognazzi con il suo cast

La pellicola è gustosamente vintage (presenti complementi d’arredo tipicamente Space Age come i televisori Brionvega e le lampade Artemide), ma la vicenda narrata, distopica e kafkiana, non potrebbe essere più attuale.

Tognazzi, alla sua seconda opera come regista, elabora una critica netta di un mondo ormai perso, senza ideali né morale, in cui ciò che conta è produrre e consumare per poi essere spietatamente consegnati alla morte, dopo una vita priva di qualsiasi senso autentico.
Concetti che ribadirà nel “loganiano” I viaggiatori della sera (1979), ultimo suo film distopico (che avrebbe potuto trovare anche in Elio Petri un valido cantore) tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Simonetta.

Il fischio al naso è ispirato invece da un racconto breve di Dino Buzzati, Sette piani, pubblicato per la prima volta nel 1937 poi revisionato ed incluso, dopo varie rielaborazioni, in almeno tre raccolte.
Buzzati ne elaborò anche una trasposizione teatrale, Un caso clinico, nel 1953 (in calce all’articolo potete trovare l’audioracconto di Sette piani).

Se ne deduce che certe tematiche (il sano, ovvero l’odierno asintomatico che diventa schiavo e poi vittima della sanità) abbiano ispirato certi autori particolarmente attenti e consapevoli già nel secolo scorso, fino alla realtà odierna fatta non più di centri di cura e assistenza ma di vere e proprie aziende sanitarie. Si pensi anche a Knock ou Le triomphe de la médecine (Knock o il trionfo della medicina), opera teatrale di Jules Romains del 1923, trasmesso in versione televisiva sulla RAI nello stesso anno del film di Tognazzi.

Copertina di una edizione illustrata del racconto “I sette piani” di Dino Buzzati

«Mi dica, dottore, come va il processo distruttivo delle mie cellule?»

Nel racconto di Buzzati un avvocato di nome Giuseppe Corte (vi ricorda qualcosa?) disturbato da un malessere leggerissimo non meglio specificato, si fa ricoverare in una moderna clinica specializzata proprio nella cura del raro morbo che lo affligge.
Il sanatorio è suddiviso in sette diversi piani: i pazienti con forme più leggere vengono ricoverati in quello più alto; con l’aumentare della gravità del caso si scende gradualmente di piano, fino al primo che ospita ricoverati senza più speranza.

Quello che sembra un ricovero di breve durata in un ambiente confortevole e rassicurante, con il rientro a casa programmato al termine di una serie di esami, si rivela invece una vera e propria discesa negli inferi.

Mentre la salute di Giuseppe Corte peggiora anziché migliorare, una catena di inconvenienti (sviste amministrative, ferie dei dipendenti, pignoleria di un dottore) fa sì che venga trattenuto e via via trasferito ai piani inferiori, nonostante le sue proteste comunque bloccate dalle continue rassicurazioni dei medici sulla non gravità del suo caso. In un crescendo di impotenza, tristezza e rassegnazione, l’avvocato troverà mestamente la fine dei suoi giorni internato nel primo piano.

Dino Buzzati

Nel film Tognazzi, coadiuvato nella sceneggiatura dal fidato duo Scarnicci-Tarabusa, da Rafael Azcona, romanziere e stretto collaboratore di Marco Ferreri e dal noto telecronista sportivo Alfredo Pigna, imbastisce un’operazione ancor più diretta al bersaglio e lontana da ogni spirito metaforico.

“produrre, consumare, gettare via!”

Il fastidioso fischietto che affligge la vita dell’industriale perfetto

Il protagonista, interpretato magistralmente dallo stesso Tognazzi, si chiama Giuseppe Inzerna ed è un imprenditore di successo nell’industria della carta.
Il suo motto è, come ripete più volte, “consumare e distruggere”. Già il tema musicale ricorrente, ‘La conta‘, un pezzo beat de Le Pecore Nere, ricorda ossessivamente per tutta la durata della pellicola che “oggi tocca a me, domani tocca a te”, a sottolineare una visione da catena produttiva anche del ciclo vita/morte.

Un molesto fischio prodotto dal suo naso, che gli causa imbarazzo in ambiti lavorativi e sociali, lo spinge ad accettare controvoglia dei controlli di routine presso la clinica di lusso “Salus Bank”: un nome, un programma…

“non si muore che in un momento di distrazione”

Viene ricoverato al primo piano della struttura, in attesa di tornare a casa ed alle sue attività in tempi brevissimi. Come nel racconto a cui si ispira il film, in realtà la sua permanenza non solo si prolunga come in un incubo, ma per motivi di vario genere Inzerna sarà gradualmente trasferito di piano: a differerenza dell’opera di Buzzati si tratta di una ascesa, invece di una discesa, dal primo al settimo piano.

La scalata diventa lentamente una prigionia soffocante, e da un’irrilevante fastidio come il fischio al naso spuntano fuori problemi inesistenti che alla fine lo fanno davvero ammalare. In questa “banca della salute” la salute si finisce per perderla del tutto. Non rigenerazione, ma annientamento.

Nella clinica modernissima vediamo all’opera fra l’altro la tecnologia applicata alla sanità per la quale gli uomini non sono altro che dei numeri (il 515 appeso al collo di Inzerna in qualsiasi piano si trovi). I medici agiscono come investigatori cibernetici: a forza di indagare trovano sempre e comunque qualcosa che non va.

La nota attitudine carnale di Tognazzi si manifesta negli approcci al personale medico e infermieristico femminile (attraenti come modelle ai primi piani per poi lasciare il posto a figure molto meno piacevoli via via che si sale di piano) e nel riuscire a far ricoverare anche la sua amante per averla vicino, salvo poi ritrarsi dall’intimità come svirilizzato dalle magagne fisiche che aumentano con il prolungarsi del soggiorno. Il fischio al naso infatti scompare velocemente, ma solo per lasciare posto a febbre, problemi ai reni, extrasistole, eczemi, debolezza e quant’altro.

“l’ammalato può essere una grande industria, lo so”

Durante il suo soggiorno nella clinica (riprese effettuate a villa Miani e villa Parisi, sui colli romani) facciamo la conoscenza di una serie di personaggi emblematici: tra tutti spiccano il Dottor Claretta interpretato dal noto caratterista Gigi Ballista, l’affascinante Tina Louise nei panni della Dottoressa Immer Mehr (in tedesco: sempre più…), il Dottor Salamoia, interpretato da Marco Ferreri.

Notevole lo sforzo interpretativo di Tognazzi, che riesce a calibrare le sue esuberanze e a dirigere se stesso assecondando la progressione di Inzerna dall’esuberanza imprenditoriale iniziale, alla sfiducia pragmatica nella medicina, al passare da rabbia e ribellione per il susseguirsi delle disavventure all’entrare nel meccanismo ipocondriaco fino ad uno stato di ansia e sfinimento che sfocia nella rassegnazione finale.

“curare il corpo, salvare l’anima”

Tognazzi e la Louise

Ma nell’opera si toccano anche altri temi.

A partire dalla connivenza, celata da una falsa contrapposizione, tra Chiesa e scienza, tra spiritualità di facciata e tecnologia: oltre alla tetra presenza di suore e frati, all’entrata della cappella ospedaliera è affissa la scritta curare il corpo e salvare l’anima; sopra il letto di Inzerna c’è un alloggio per immagini sacre intercambiabili con un tasto, crocefisso, Budda o altro a richiesta.

I medici ricevono i pazienti singolarmente in una grande sala della villa, in una sorta di anamnesi/confessione al termine della quale rilasciano l’assoluzione sotto forma di medicine da assumere…per arrivare alla scena nella sala in cui si sperimenta l’ibernazione e in cui si proclama che si può puntare alla ricerca dell’immortalità perché la Chiesa non si oppone alla medicina.

Si critica soprattutto, e la presenza di Ferreri e del suo sceneggiatore influisce, la borghesia incapace di avere un volto umano dedita com’è alla ricerca dell’accumulo di capitali.

Colpisce infatti l’atteggiamento dei familiari del protagonista: privi di emotività e incapaci di provare affetti veri, vivono il declino di Inzerna con estrema indifferenza.

Da rimarcare l’evoluzione del personaggio del padre di Giuseppe, che, dopo essersi tinto i capelli, prende in mano le redini della fabbrica del figlio e la converte alla produzione di santini e gadget religiosi, proclamando: “la Chiesa si prepara a vivere un’altra età d’oro”.

Una sequenza molto particolare e densa di simbolismi è quella della tentata fuga di Inzerna dalla clinica: dopo una corsa tra file di pini e olivi, in un crescendo onirico, si trova davanti un altissimo muro di pietra che lo blocca. Poi, sedotto da una nudità femminile intravista tra gli alberi, si distrae e viene catturato da due infermieri. Come dire che dal mondo del capitale e dal suo linguaggio non si scappa, si può solo essere sedotti o entrare in conflitto e finire internati.

“chi l’avrebbe detto… per un fischio al naso!”

Sono le ultime parole di Giuseppe Inzerna, ormai rassegnato e quasi assente ma con i capelli tinti in un ringiovanimento apparente e, date le circostanze, beffardo. E l’elicottero che sorvola la clinica negli ultimi istanti di vita del protagonista, come un avvoltoio tecnologico, è forse in attesa di organi freschi da trasportare? Si noti come la legislatura italiana abbia dato il via libera ad espianti e trapianti l’anno prima dell’uscita del film…

In questa vicenda e nella sua amara conclusione si palesa la trappola dell’ipocondria mascherata da moderno salutismo: vivere da malati per sperare di morire sani.

Come non vedere in questo, di nuovo, apparire la sinistra e disperata invocazione “Guariscimi, rendimi completo“?

Infermiere o incentivi?

IL TRAILER DEL FILM “IL FISCHIO AL NASO” DI UGO TOGNAZZI

Il fischio al naso (1967) di Ugo Tognazzi

Interpreti e personaggi: Ugo Tognazzi (Giuseppe Inzerna), Olga Villi (Anita, sua moglie), Alicia Brandet (Gloria, sua figlia), Franca Bettoja (Giovanna, amante di Giuseppe), Tina Louise (dott. Immer Meher), Gigi Ballista (il dott. Claretta), Marco Ferreri (il dott. Salamoia), Riccardo Garrone (il barbiere), Alessandro Quasimodo (Roberto Forges), Gildo Tognazzi (Gerolamo Inzerna, padre di Giuseppe).

Sceneggiatura: Giulio Scarnicci, Renzo Tarabusi, Alfredo Pigna, Ugo Tognazzi, Rafael Azcona

Fotografia (Panoramico, Eastmancolor): Enzo Serafin

Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni

Musica: Teo Usuelli

Montaggio: Eraldo Da Roma

Produzione: Alfonso Sansone, Enrico Chroscicki per Sancro International (Roma)

Distribuzione: Cineriz

AUDIORACCONTO DE “I SETTE PIANI” DI DINO BUZZATI – NARRAZIONE DI ROSANNA LIA

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Serge Brussolo – I Seminatori di abissi (1983)

By Narrativa e saggisticaNo Comments

Nuovo giro, nuova corsa, nuova sezione del sito: Narrativa e saggistica.
Prendiamo in esame “I Seminatori di abissi”, un vecchio racconto di Serge Brussolo, fantasioso e prolifico narratore francese, molto attivo soprattutto nei decenni 80 e 90.

Lorenzo

La copertina dell’edizione originale Italiana Urania

Lo stile di Brussolo è estremamente efficace, nero e nervoso: una fervida immaginazione costantemente ammantata di oscurità. Con un costante pessimismo, che gli riesce talmente naturale da essere estremamente convincente, non è che Brussolo non ammetta alternative…non ne vede proprio, tanto da non considerarne nemmeno l’eventualità.

Questo suo stile supremamente angosciante si rivela perfetto per un genere fantascientifico particolarmente oscuro, fortemente contaminato da fortissimi ed efficaci elementi horror-gore innovativi e fantasy, un Cyberpunk molto personale. Per certi versi lo si potrebbe accostare ad un Ballard con una folle fantasia, completamente disilluso e del tutto privo di empatia verso qualsivoglia essere vivente.

Il pensiero che un tale personaggio si possa cimentare anche nella scrittura per bambini fa sinceramente rabbrividire, eppure in un mondo come questo potrebbe succedere anche questo.

Ed infatti è successo.

Serge Brussolo

Comunque noi ci occuperemo di questo splendido lavoro “visionario” che è ‘Les Semeurs d’abîmes’, romanzo del 1983.

“Les Semeurs d’abîmes” edizione francese

La sinossi della storia:

In un futuro piuttosto vicino, esperimenti genetici hanno portato alla creazione di una nuova razza di umani, gli “Arlecchini”, con caratteristiche morfologiche e pigmentazione provenienti dalle varie etnie.

Questa nuova razza dall’epidermide multicolore e cangiante, le cui mortali secrezioni corporee possono perforare roccia e acciaio, vengono imprigionati in una riserva nel territorio di Shaka-Kandarec (molto ricorrente nella narrativa di Brussolo) e come custodi gli vengono assegnati uno zoologo, David Sarella (altro nome che è una costante nella produzione brussoliana), il violento poliziotto Cazhel.

Gli fa compagnia l’anziano Barney, un losco figuro che si trova là grazie a forti contatti governativi, ha anche aperto in tutto il paese decine di laboratori che eseguono degli innovativi e misteriosi tatuaggi mobili.

In uno di questi lavora la giovane tatuatrice Lise che, quando i suoi clienti iniziano a morire, orribilmente corrosi dall’inchiostro utilizzato, cerca di rintracciare Barney scoprendo, dietro l’apparente imprevedibile tragedia, una precisa finalità governativa di riduzione della popolazione giovanile, fascia questa maggiormente attratta dalla nuova moda.

Parlando con Barney, Lise realizza che il rivoluzionario inchiostro non è altro che la secrezione degli Arlecchini abbinato a un anticoagulante che rende mobile il disegno tra gli strati di pelle del tatuato; a distanza di tempo però l’anticoagulante perde efficacia e l’acido inizia l’opera di corrosione.

Lise, avendo anch’ella un tatuaggio e spinta dai sensi di colpa, si reca a Shaka-Kandarec per cercare un antidoto che neutralizzi l’inchiostro mortale e fermi la strage.
Quando La ragazza arriva, gli Arlecchini, assaliti da una malattia, la “febbre migratoria” (chiara citazione de “La vita futura” di H.G. Wells), sono già fuggiti per iniziare un lungo viaggio. La ragazza si unisce a David e Cazhel e si mette all’inseguimento dei fuggitivi in un’odissea per la regione di Shaka-Kandarec, la patria dei reietti di un mondo intero.

La vita delle popolazioni di questa regione, ciascuna con caratteristiche peculiari, si svolge su ponti sospesi al di sopra di un mare di fango velenoso, ponti che le secrezioni acide dei fuggitivi stanno mettendo in pericolo, tanto da far guadagnare agli Arlecchini il soprannome di “seminatori di abissi”. Ovviamente, se gli Arlecchini non verranno fermati, bucheranno l’intero mondo, rischiando la probabile estinzione di ogni forma di vita terrestre.

Altro pericolo incombente sulle popolazioni stanziali è la rapida diffusione del morbo portato dagli Arlecchini, inutilmente ostacolato dall’inoculazione di un virus antagonista scoperto da Rilk, uno scienziato appartenente alla popolazione dei Morhad.

Da qua in avanti sarà tutto un susseguirsi di follia, nel tipico stile brussoliano, ma non vi rovineremo la sorpresa con inutili spoiler.

AUDIOINTERVISTA IN FRANCESE A SERGE BRUSSOLO

CONSIDERAZIONI FINALI

E’ abbastanza curioso come praticamente ogni racconto o film distopico uscito finora, tratti, oltre a mutazioni genetiche e clonazione, di una pandemia e un piano per una drastica riduzione della popolazione, che sia essa attraverso contagi, appunto, avvelenamenti o menzogne di vario genere, come “catastrofi” climatiche e insufficienza di risorse.

Qua abbiamo in più una parte quantomai attuale e, per questo, assai inquietante: quella dei tatuaggi, moda estremamente “espansa” oggi e che fa molto pensare.

Stiamo parlando di romanzi o di anticipazioni storiche? Inoltre, è possibile che ogni scrittore di fantascienza distopica sia anche un veggente?