”Un genio della chitarra che abbiamo perso nel 2017, Larry Coryell.
Daniele Pieraccini
Insieme a Miles Davis, Weather Report e pochi altri è stato un padre fondatore di quello che oggi conosciamo come jazz-rock o fusion.
Un chitarrista considerato alla pari di nomi come Pat Metheny o John McLaughlin dagli aficionados del genere, ma trascurato dal grande pubblico nonostante dozzine di acclamati album a suo nome e numerose brillanti sessions e registrazioni, alle quali ha prestato il suo vario ed espressivo modo di suonare.
«Se mi ascolti attentamente, in qualche modo esce fuori che vengo dal Texas»
Larry Coryell
Nato a Galveston, Texas, il 2 aprile del 1943 come Lorenz Albert Van DeLinder III, sordo congenito all’orecchio destro, Coryell cresce però nell’area di Seattle. All’età di quattro anni siede già al pianoforte; la sua formazione iniziale è classica, ma nell’adolescenza scoprirà la chitarra.
La sei corde lo affascina notevolmente, soprattutto nella versione fingerstyle di Chet Atkins.
Larry prova a copiare i licks che sente alla radio: su tutti quelli di Billy Butler su Honky Tonk, Pt. I di Bill Doggett e di Rick Derringer su Hang On Sloopy.
In quel periodo prende lezioni da John LaChappelle, un jazzista dell’area del Washington State, e si ispira ai dischi di chitarristi come Tal Farlow, Barney Kessel, Les Paul e Johnny Smith.
Tra le sue iniziali influenze Coryell cita anche Chuck Berry, John Coltrane e Wes Montgomery, oltre alla musica pop del periodo, su tutti gli immancabili Beatles.
A fine estate del 1965 Larry prende la sua Gibson Super 400 e due amplificatori, li carica in un Volkswagen Beetle blu e si dirige a New York, luogo che ritiene ideale per concretizzare la sua aspirazione ad entrare nel rock milieu. In realtà la sicurezza nella sua abilità di musicista non è totale, Coryell infatti si è preparato un piano B iscrivendosi all’università di Washington, facoltà di giornalismo.
Nella Grande Mela da subito si tuffa in pieno nelle jam proposte dai locali, suonando ovunque e con chiunque. Coryell è aperto a tutti gli stili ed i generi, pur mantenendo un’attitudine jazz che lo accompagnerà per tutta la vita.
La prima testimonianza su vinile della sua abilità chitarristica la troviamo su The Dealer del quintetto del batterista Chico Hamilton, datato 1965, nel quale Larry prende il posto che fu della sei corde flamboyant dell’ungherese Gábor Szabó, un altro grande innovatore dello strumento (suo lo splendido album Dreams del 1968).
«Il più grande musicista che sia mai vissuto per quanto mi riguarda è Jimi Hendrix. Ma lo odio perché mi ha portato via tutto ciò che era mio.»
Larry Coryell
In questo periodo di “apprendistato” di lusso, Coryell si distingue per l’uso di corde piuttosto spesse, alla Chuck Berry e per uno stile innovativo e rumoroso, con un timbro “fat” e quasi distorto, per niente lontano da quello di Jimi Hendrix.
La reputazione che Larry si costruisce all’interno del Greenwich Village lo porta a suonare con tutti i più grandi nomi dell’epoca. All’interno di questa libera ed eterogenea comunità conosce tutti e suona con tutti, sperimenta l’LSD, stringe amicizia con Robbie Robertson e Mike Bloomfield collaborando con musicisti rock-blues come con gli avant-jazzers. Miles Davis, Tony Williams, Buddy Miles, Mitch Mitchell, Stevie Winwood, Jack Bruce…lo stesso Hendrix, nel corso delle sessions effettuate insieme, “carpisce” a Coryell alcuni accordi e tecniche che assimilerà nel suo repertorio.
Nel 1966 entra a far parte dei The Free Spirits, gruppo di matrice jazz che Coryell orienta verso un formato più rock. Il repertorio della band incorpora elementi psichedelici, garage e pop, che fonde in maniera originale nell’album Out of Sight and Sound, considerato come uno dei primi esempi di jazz-rock. Il successo non arriverà mai per la band, che si esibirà, perlopiù ignorata, in molte serate nel club newyorchese The Scene.
Nel 1967 Coryell lascia la formazione per unirsi al virtuoso vibrafonista dell’Indiana Gary Burton, ex Stan Getz Quartet.
«Le prime registrazioni che suggerivano che una sintesi artisticamente ed esteticamente soddisfacente di jazz e rock fosse possibile»
Larry Coryell
Due anni prima degli esempi nobili di Miles Davis (In A Silent Way) e Frank Zappa (Hot Rats), le regole del jazz-rock iniziano ad essere codificate con Duster e Lofty Fake Anagram, due album dalla grande forza immaginifica prodotti dal quartetto formato da Burton, Coryell, il bassista Steve Swallow ed il leggendario batterista jazz Roy Haynes nel primo LP, sostituito nel sequel da un altro pezzo da novanta dei tamburi, Bob Moses (già nei Free Spirits).
La scaletta di Duster è composta quasi totalmente da brani a firma di Burton, Carla Bley, Mike Gibbs e Steve Swallow e presenta melodie memorabili, costruite su fondamenta armoniche sofisticate, attraversate dal pirotecnico vibrafono suonato a quattro bacchette dal band leader.
Jazz, rock, blues, influenze orientali e altro entrano in collisione in queste tracce; alcune soluzioni possono sembrare datate e rozze oggi, ma l’insieme continua a mostrarci la brillantezza dello spirito di ricerca dell’epoca.
Un lavoro radicale, con il quale il rock inizia a farsi strada un po’ ovunque, nel panorama dei generi musicali.
La chitarra di Coryell ruba talvolta la scena al leader Burton. In One, Two, 1-2-3-4, scritta da lui con Burton, la sua elettrica hollow body va in feedback ed è un principio di incendio musicale quello che ne scaturisce. Altrove Larry è invece espressivo ma misurato, decorando le tracce con il suo stile ibrido.
Nel successivo Lofty Fake Anagram il quartetto prosegue l’esplorazione musicale con eleganza e passione, avvalendosi di una serie di brani originali composti da Burton e Swallow.
L’interplay tra Coryell e Burton è di nuovo sugli scudi, anche se nel missaggio stavolta il volume della chitarra è decisamente più contenuto (l’ego dei musicisti band-leader?).
Intenzionato a proseguire il suo percorso di ricerca, Coryell lascia quindi la band. Gary Burton avrà al suo servizio negli anni a seguire molti altri chitarristi di talento, per citarne un paio Pat Metheny e John Scofield.
«Il chitarrista più inventivo e originale dai tempi di Charlie Christian»
Withney Balliett, critico jazz New Yorker Magazine
Oltre a partecipazioni in dischi di altri artisti, Larry sforna album solisti a ripetizione per la Vanguard records, dal primo Lady Coryell (1969) a Planet End (1975), oltre ad un paio di lavori per la Flying Dutchman.
Spaces, registrato a fine ’69, è il lavoro più noto. Il disco contiene in embrione quella che sarà la fusion degli anni settanta: tempi dispari, intrecci di chitarre e idee innovative al basso, tutto in bilico tra generi diversi.
Una scorpacciata di chitarre (con Larry troviamo John McLaughlin), sorretta ed arricchita da due nomi come Billy Cobham alle pelli e Miroslav Vitous al basso.
Con la lunga jam Call to the Higher Consciousness contenuta in Barefoot Boy (1971) Coryell incontra anche il progressive rock; nello stesso anno esce pure l’album Live at the Village Gate, nel quale canta anche la moglie Julie Coryell. Si tratta di un album che documenta in maniera purtroppo incompleta un live del power trio composto da Larry, Mervin Bronson al basso e Harry Wilkinson alla batteria; la musica proposta si muove più in territorio rock che jazz, curiosamente potrebbe suggerire qualcosa su dove sarebbe andato a parare Hendrix se fosse sopravvissuto e si fosse avvicinato al jazz. Oltre alla Experience in questo live troviamo affinità anche con i Cream: è presente infatti anche un brano di Jack Bruce, con il quale Coryell ha suonato in tournèe un paio di anni prima.
«Volevo migliorare il contenuto intellettuale della fraseologia limitata del suonare rock e blues e, allo stesso tempo, iniettare più energia “down home” basata sul blues nelle idee jazz.»
Larry Coryell
A questo punto della sua carriera Coryell non e’ piu’ interessato ad assoli acrobatici, la sua attenzione è rivolta piuttosto all’improvvisazione di gruppo. Con un quintetto piu’ tradizionale (con Mandel e Marcus) Coryell registra Offering (gennaio 1972) e The Real Great Escape (1973)
Nello stesso periodo il chitarrista presenta la sua nuova band The Eleventh House, che esegue una sorta di hard rockin jazz fusion, con influenze prog e linee “metalliche” di synth.
All’epoca (basti pensare ai coevi Return To Forever e Mahavishnu Orchestra) molti musicisti di talento erano attratti dall’idea di trovare la propria “voce” espressiva creando una personale visione del jazz.
Robuste dosi di rock, blues e funk erano pompate nelle sessions di questi artisti; la componente pop era conseguenza del successo di nomi come Stevie Wonder o Aretha Franklin.
Le potenzialità commerciali del genere fusion non sono ancora la priorità. Per il momento si esplorano nuovi territori in ambito musicale; i musicisti jazz, “elettrificandosi”, ambiscono a costruirsi una nuova identità musicale, a sviluppare uno stile personale, una voce propria.
Il grande pubblico conoscerà la fusion dopo la metà dei ’70, quando le composizioni si faranno più semplici o quantomeno più orecchiabili. I dischi jazz-rock si orienteranno verso il successo commerciale, pur restando in gran parte lavori di gran pregio musicale prodotti da musicisti di talento.
Il percorso indicato dal lavoro e dalle intuizioni di pochi come Coryell si sposta in uno scenario più vasto: la fusion diviene un fenomeno di portata mondiale.
«Ho lasciato o perso interesse per tutto. A quel punto il mio obiettivo più importante era bere birra e sballarmi…»
Larry Coryell
Nel 1977 Larry corona un altro sogno: collabora con Charles Mingus nell’album Three or Four Shades of Blue. Nel 1978 suona in ben sette albums; l’anno dopo forma un super trio chitarristico con la vecchia conoscenza John McLaughlin ed addirittura Paco De Lucia. Il terzetto parte per un tour europeo che Coryell non porterà a termine: l’abuso di droghe ed alcol lo ha condotto ad un crocevia di vita o morte. La scelta del nostro è solida e definitiva, tanto che, uscito dalla riabilitazione, resterà “pulito” fino alla fine.
Negli anni ottanta Larry, che nel frattempo si è dedicato al buddismo di Nichiren, prende sotto la sua ala protettiva la giovane chitarrista Emily Remler, con la quale incide Together, un album di duetti chitarristici del 1985. Con la collega intreccia anche una relazione sentimentale, ma i suoi tentativi di salvare la ragazza dalla dipendenza da eroina non hanno successo: la Remler morirà a soli 32 anni.
«Quando sono uscito dalla riabilitazione, ero determinato che qualunque cosa sarebbe successo nella mia vita, non sarei più tornato a quello stile di vita velenoso e distruttivo»
Larry Coryell
Forse perso l’interesse per la fusion, Coryell riscopre il suo lato folk e classico, compiendo così una inversione dal punto di vista stilistico ma non di attitudine verso la ricerca.
Gli anni che seguono la ripresa infatti sono prolifici più che mai e mettono in severa crisi i musicologi che cercano di catalogare l’arte prodotta da Larry. Pur avendo ripiegato quasi integralmente sulla chitarra acustica, le sue ricerche continuano a riguardare molti territori diversi. Jazz, post bop, fusion, folk, rock ,blues, bluegrass, musica modale indiana, musica brasiliana, rivisitazioni di compositori classici…questo eterno, umile, studente mostra lo stesso fuoco, la stessa voglia (e, in certe occasioni, anche la stessa velocità di esecuzione sulla sei corde!) della gioventù.
C’è un rovescio della medaglia: il suo stile musicale (e di vita) improvvisato lo priva, almeno dagli anni ’80 in poi, di un percorso coerente nella produzione artistica. Le collaborazioni, forse a volta frutto del caso, mettono in evidenza sia il suo bagaglio tecnico che un certo appiattimento privo di reali necessità narrative.
Detto questo, Coryell lascia qualche zampata di classe anche negli ultimi decenni, via via distillando le note e rallentando, come per ritrovare una via meditata alle proprie radici, alle proprie origini. Sorprendendo però, tanto per non smentirsi, con gli ultimi due dischi, decisamente elettrici.
The Lift (2013) per esempio è un tuffo all’indietro nell’energia dei suoi primi dischi solisti, grooves e progressioni “semplici” ma funzionali, convincenti ed incredibilmente freschi.
«Il tuo karma è sempre davanti a te. È sempre lì. E attraverso la pratica puoi cambiare il tuo karma. Attraverso la pratica puoi trasformare la negatività in positività.»
Larry Coryell
Nel febbraio 2017 Larry ci saluta, lasciando al mondo un’eredità artistica raccolta nel tempo da chitarristi come John McLaughlin, Bill Connors, Al Di Meola, Allan Holdsworth, Steve Kahn, Scott Henderson e Mike Stern, per citarne alcuni.
Nel corso della sua carriera Coryell ha saputo trasmettere, senza esibizionismi artificiosi, tutta la bellezza e l’inquietudine della chitarra, la sua l’immediatezza ed i suoi risvolti misteriosi.
Per gli appassionati di musica che pensano fuori dagli schemi, questa leggenda della musica riserva un archivio monumentale di gemme da scoprire.