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Ispirato da un racconto di Buzzati, nella sua seconda regia Ugo Tognazzi costruisce un'aspra satira su come l'industria della sanità riesca a creare malati da persone in perfetta salute.

Lorenzo

Articolo di Daniele Pieraccini

(contiene spoiler)

Con la descrizione di questa industria della malattia, ho voluto rendere la degenerazione che porta la società dei consumi anche nella scienza, cioè in quella parte della società che dovrebbe invece conservare l’uomo, la sua integrità fisica e psicologica

(Ugo Tognazzi, dal libro a lui dedicato nel 1981 da Claudio G. Fava e Aldo Bernardini).

Tognazzi con il suo cast

La pellicola è gustosamente vintage (presenti complementi d’arredo tipicamente Space Age come i televisori Brionvega e le lampade Artemide), ma la vicenda narrata, distopica e kafkiana, non potrebbe essere più attuale.

Tognazzi, alla sua seconda opera come regista, elabora una critica netta di un mondo ormai perso, senza ideali né morale, in cui ciò che conta è produrre e consumare per poi essere spietatamente consegnati alla morte, dopo una vita priva di qualsiasi senso autentico.
Concetti che ribadirà nel “loganiano” I viaggiatori della sera (1979), ultimo suo film distopico (che avrebbe potuto trovare anche in Elio Petri un valido cantore) tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Simonetta.

Il fischio al naso è ispirato invece da un racconto breve di Dino Buzzati, Sette piani, pubblicato per la prima volta nel 1937 poi revisionato ed incluso, dopo varie rielaborazioni, in almeno tre raccolte.
Buzzati ne elaborò anche una trasposizione teatrale, Un caso clinico, nel 1953 (in calce all’articolo potete trovare l’audioracconto di Sette piani).

Se ne deduce che certe tematiche (il sano, ovvero l’odierno asintomatico che diventa schiavo e poi vittima della sanità) abbiano ispirato certi autori particolarmente attenti e consapevoli già nel secolo scorso, fino alla realtà odierna fatta non più di centri di cura e assistenza ma di vere e proprie aziende sanitarie. Si pensi anche a Knock ou Le triomphe de la médecine (Knock o il trionfo della medicina), opera teatrale di Jules Romains del 1923, trasmesso in versione televisiva sulla RAI nello stesso anno del film di Tognazzi.

Copertina di una edizione illustrata del racconto “I sette piani” di Dino Buzzati

«Mi dica, dottore, come va il processo distruttivo delle mie cellule?»

Nel racconto di Buzzati un avvocato di nome Giuseppe Corte (vi ricorda qualcosa?) disturbato da un malessere leggerissimo non meglio specificato, si fa ricoverare in una moderna clinica specializzata proprio nella cura del raro morbo che lo affligge.
Il sanatorio è suddiviso in sette diversi piani: i pazienti con forme più leggere vengono ricoverati in quello più alto; con l’aumentare della gravità del caso si scende gradualmente di piano, fino al primo che ospita ricoverati senza più speranza.

Quello che sembra un ricovero di breve durata in un ambiente confortevole e rassicurante, con il rientro a casa programmato al termine di una serie di esami, si rivela invece una vera e propria discesa negli inferi.

Mentre la salute di Giuseppe Corte peggiora anziché migliorare, una catena di inconvenienti (sviste amministrative, ferie dei dipendenti, pignoleria di un dottore) fa sì che venga trattenuto e via via trasferito ai piani inferiori, nonostante le sue proteste comunque bloccate dalle continue rassicurazioni dei medici sulla non gravità del suo caso. In un crescendo di impotenza, tristezza e rassegnazione, l’avvocato troverà mestamente la fine dei suoi giorni internato nel primo piano.

Dino Buzzati

Nel film Tognazzi, coadiuvato nella sceneggiatura dal fidato duo Scarnicci-Tarabusa, da Rafael Azcona, romanziere e stretto collaboratore di Marco Ferreri e dal noto telecronista sportivo Alfredo Pigna, imbastisce un’operazione ancor più diretta al bersaglio e lontana da ogni spirito metaforico.

“produrre, consumare, gettare via!”

Il fastidioso fischietto che affligge la vita dell’industriale perfetto

Il protagonista, interpretato magistralmente dallo stesso Tognazzi, si chiama Giuseppe Inzerna ed è un imprenditore di successo nell’industria della carta.
Il suo motto è, come ripete più volte, “consumare e distruggere”. Già il tema musicale ricorrente, ‘La conta‘, un pezzo beat de Le Pecore Nere, ricorda ossessivamente per tutta la durata della pellicola che “oggi tocca a me, domani tocca a te”, a sottolineare una visione da catena produttiva anche del ciclo vita/morte.

Un molesto fischio prodotto dal suo naso, che gli causa imbarazzo in ambiti lavorativi e sociali, lo spinge ad accettare controvoglia dei controlli di routine presso la clinica di lusso “Salus Bank”: un nome, un programma…

“non si muore che in un momento di distrazione”

Viene ricoverato al primo piano della struttura, in attesa di tornare a casa ed alle sue attività in tempi brevissimi. Come nel racconto a cui si ispira il film, in realtà la sua permanenza non solo si prolunga come in un incubo, ma per motivi di vario genere Inzerna sarà gradualmente trasferito di piano: a differerenza dell’opera di Buzzati si tratta di una ascesa, invece di una discesa, dal primo al settimo piano.

La scalata diventa lentamente una prigionia soffocante, e da un’irrilevante fastidio come il fischio al naso spuntano fuori problemi inesistenti che alla fine lo fanno davvero ammalare. In questa “banca della salute” la salute si finisce per perderla del tutto. Non rigenerazione, ma annientamento.

Nella clinica modernissima vediamo all’opera fra l’altro la tecnologia applicata alla sanità per la quale gli uomini non sono altro che dei numeri (il 515 appeso al collo di Inzerna in qualsiasi piano si trovi). I medici agiscono come investigatori cibernetici: a forza di indagare trovano sempre e comunque qualcosa che non va.

La nota attitudine carnale di Tognazzi si manifesta negli approcci al personale medico e infermieristico femminile (attraenti come modelle ai primi piani per poi lasciare il posto a figure molto meno piacevoli via via che si sale di piano) e nel riuscire a far ricoverare anche la sua amante per averla vicino, salvo poi ritrarsi dall’intimità come svirilizzato dalle magagne fisiche che aumentano con il prolungarsi del soggiorno. Il fischio al naso infatti scompare velocemente, ma solo per lasciare posto a febbre, problemi ai reni, extrasistole, eczemi, debolezza e quant’altro.

“l’ammalato può essere una grande industria, lo so”

Durante il suo soggiorno nella clinica (riprese effettuate a villa Miani e villa Parisi, sui colli romani) facciamo la conoscenza di una serie di personaggi emblematici: tra tutti spiccano il Dottor Claretta interpretato dal noto caratterista Gigi Ballista, l’affascinante Tina Louise nei panni della Dottoressa Immer Mehr (in tedesco: sempre più…), il Dottor Salamoia, interpretato da Marco Ferreri.

Notevole lo sforzo interpretativo di Tognazzi, che riesce a calibrare le sue esuberanze e a dirigere se stesso assecondando la progressione di Inzerna dall’esuberanza imprenditoriale iniziale, alla sfiducia pragmatica nella medicina, al passare da rabbia e ribellione per il susseguirsi delle disavventure all’entrare nel meccanismo ipocondriaco fino ad uno stato di ansia e sfinimento che sfocia nella rassegnazione finale.

“curare il corpo, salvare l’anima”

Tognazzi e la Louise

Ma nell’opera si toccano anche altri temi.

A partire dalla connivenza, celata da una falsa contrapposizione, tra Chiesa e scienza, tra spiritualità di facciata e tecnologia: oltre alla tetra presenza di suore e frati, all’entrata della cappella ospedaliera è affissa la scritta curare il corpo e salvare l’anima; sopra il letto di Inzerna c’è un alloggio per immagini sacre intercambiabili con un tasto, crocefisso, Budda o altro a richiesta.

I medici ricevono i pazienti singolarmente in una grande sala della villa, in una sorta di anamnesi/confessione al termine della quale rilasciano l’assoluzione sotto forma di medicine da assumere…per arrivare alla scena nella sala in cui si sperimenta l’ibernazione e in cui si proclama che si può puntare alla ricerca dell’immortalità perché la Chiesa non si oppone alla medicina.

Si critica soprattutto, e la presenza di Ferreri e del suo sceneggiatore influisce, la borghesia incapace di avere un volto umano dedita com’è alla ricerca dell’accumulo di capitali.

Colpisce infatti l’atteggiamento dei familiari del protagonista: privi di emotività e incapaci di provare affetti veri, vivono il declino di Inzerna con estrema indifferenza.

Da rimarcare l’evoluzione del personaggio del padre di Giuseppe, che, dopo essersi tinto i capelli, prende in mano le redini della fabbrica del figlio e la converte alla produzione di santini e gadget religiosi, proclamando: “la Chiesa si prepara a vivere un’altra età d’oro”.

Una sequenza molto particolare e densa di simbolismi è quella della tentata fuga di Inzerna dalla clinica: dopo una corsa tra file di pini e olivi, in un crescendo onirico, si trova davanti un altissimo muro di pietra che lo blocca. Poi, sedotto da una nudità femminile intravista tra gli alberi, si distrae e viene catturato da due infermieri. Come dire che dal mondo del capitale e dal suo linguaggio non si scappa, si può solo essere sedotti o entrare in conflitto e finire internati.

“chi l’avrebbe detto… per un fischio al naso!”

Sono le ultime parole di Giuseppe Inzerna, ormai rassegnato e quasi assente ma con i capelli tinti in un ringiovanimento apparente e, date le circostanze, beffardo. E l’elicottero che sorvola la clinica negli ultimi istanti di vita del protagonista, come un avvoltoio tecnologico, è forse in attesa di organi freschi da trasportare? Si noti come la legislatura italiana abbia dato il via libera ad espianti e trapianti l’anno prima dell’uscita del film…

In questa vicenda e nella sua amara conclusione si palesa la trappola dell’ipocondria mascherata da moderno salutismo: vivere da malati per sperare di morire sani.

Come non vedere in questo, di nuovo, apparire la sinistra e disperata invocazione “Guariscimi, rendimi completo“?

Infermiere o incentivi?

IL TRAILER DEL FILM “IL FISCHIO AL NASO” DI UGO TOGNAZZI

Il fischio al naso (1967) di Ugo Tognazzi

Interpreti e personaggi: Ugo Tognazzi (Giuseppe Inzerna), Olga Villi (Anita, sua moglie), Alicia Brandet (Gloria, sua figlia), Franca Bettoja (Giovanna, amante di Giuseppe), Tina Louise (dott. Immer Meher), Gigi Ballista (il dott. Claretta), Marco Ferreri (il dott. Salamoia), Riccardo Garrone (il barbiere), Alessandro Quasimodo (Roberto Forges), Gildo Tognazzi (Gerolamo Inzerna, padre di Giuseppe).

Sceneggiatura: Giulio Scarnicci, Renzo Tarabusi, Alfredo Pigna, Ugo Tognazzi, Rafael Azcona

Fotografia (Panoramico, Eastmancolor): Enzo Serafin

Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni

Musica: Teo Usuelli

Montaggio: Eraldo Da Roma

Produzione: Alfonso Sansone, Enrico Chroscicki per Sancro International (Roma)

Distribuzione: Cineriz

AUDIORACCONTO DE “I SETTE PIANI” DI DINO BUZZATI – NARRAZIONE DI ROSANNA LIA

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