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Effetti Vintage Italiani

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EKO – Gli anni ’70

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Iniziano gli anni 70 e la Eko guidata da Augusto Pierdominici si prepara ad affrontare con grinta il nuovo decennio, con nuovi prodotti all'avanguardia sia dal nuovo reparto Ekoelettronica che da quello Chitarre di Remo Serrangeli.

Lorenzo

Mentre inizialmente la fabbricazione di organi Ekosonic e amplificatori era affidata alla Galanti e nel ‘65 a Cremonini (che produsse Viscount, Duke, Herald e Valet ma anche i pick-up per le chitarre Eko e Vox che precedentemente uscivano dalla CRB), nel 1968 la Eko fondò la EME con la Danieli Milano, la JMI e la Thomas e prese in carico la produzione degli strumenti elettronici a nome Eko, mentre i mobili che contenevano le parti elettroniche venivano fabbricati in due reparti gestiti dalla sezione legno di Remo Serrangeli, che continuava ad occuparsi di chitarre, officina e manutenzioni.

Ekoelettronica

Dopo la progettazione del bellissimo modello Auriga chitarra e basso, Augusto Pierdominici passa a guidare la Eko a dirigere la produzione della neonata divisione di progettazione elettronica della Eko, che vedrà al comando del reparto progettazione e costi Felice Labianca e che partì alla grande nel ‘72 con la nascita dell’incredibile ComputeRythm.

La Eko ComputeRythm è la prima batteria elettronica interamente programmabile della storia, un piccolo mostro che ha fatto la storia grazie ai dischi di personaggi come Tangerine Dream, Manuel Gottsching (che la comprò proprio da Chris Franke dei TD) e Jean-Michel Jarre (da Oxygene), il quale ancora oggi ne fa uso, tessendone lodi appassionate.

Jean Michel Jarre con Eko ComputeRythm

Eko ComputeRythm, prima drum machine interamente programmabile della storia

Manuel Göttsching (Ash Ra Tempel) con Eko ComputeRythm

La splendida creatura di Giuseppe Censori e Aldo Paci aveva addirittura la possibilità di salvare i preset su schede traforate e la sua estetica così peculiare la portò ad essere addirittura protagonista delle scenografie di alcuni film di fantascienza del periodo.

Uno dei pochi esemplari ancora rintracciabili è oggi di proprietà del Museo del Synth Marchigiano e Italiano.

Hainback e la Eko ComputeRythm

In seguito nasceranno, oltre a tutta una serie di organi casa di varie fasce di prezzo, la celeberrima serie degli organi Tiger (un successo da 55.000 esemplari prodotti in tre anni), il piano elettrico Sensor, le pedaliere per bassi K1, K2 e K3 e nel ‘74 il synth monofonico Ekosynth e lo Stradivarius, synth di violini.

Eko Tiger 61

Il New Tiger Duo su progetto di Fabio Conti: la tastiera superiore dell’organo scorre su binari interni e si chiude fino a diventare una valigia.

Ekosynth

Eko Stradivarius

Fu creata anche una linea di pedali effetto come lo wha Strepitoso, il simulatore di rotary speaker Sound e il Mitico Multitone, uno dei primissimi pedali multieffetto analogici (volume, wha, bass/treble booster, distorsore e repeat percussion), che pare siano nati addirittura nel 1969.

Multitone

Eko Multitone

Strepitoso wha

Pedali Ekosound, Multitone e pedaliera bassi Special o K1

Nel 1975 la EME passerà di proprietà alla Farfisa e gli ultimi prodotti del reparto elettronico Eko saranno nel ‘79 il P 15, monosynth analogico a controllo digitale con preset, e l’Ekopiano ad inizi ‘80.

Ekosynth P 15

Nel frattempo, al reparto chitarre

Mentre il reparto di Pierdominci faceva furore, Serrangeli non stava certo a guardare e, tra il ‘74 e il 75 riprese lo studio tecnico della fisica degli strumenti a corda e delle forze agenti su di esso. A questo scopo acquistò lo stesso complesso macchinario Bruel Kier che veniva utilizzato all’università di Cremona per tale scopo e diede inizio alla produzione della Alborada.

Da queste esperienze, tre anni dopo, nacque la Giuliani, autentico modello di punta (anch’essa in massello e tavola in pregiatissimo abete Val di Fiemme), che veniva fornita con attestazione della curva di risposta, realizzata proprio con quella apparecchiatura. Tale documento dava la possibilita al cliente di tornare dopo anni in fabbrica e ripetere il test per controllare la maturazione dei legni e il conseguente aumento di volume dello strumento.

Chetro e Korral

Serrangeli e De Carolis con la Chetro

Le Chetro di De Carolis

Nello stesso periodo cominciò la progettazione delle prime acustiche professionali e, in collaborazione con John Huber, liutaio e all’epoca area manager della Martin in Europa, progettò la Korral Special, anch’essa interamente in massello e con top solido in Val Di Fiemme e tastiera in ebano. Da questa nascerà la Chetro, la prima delle quali fu un esemplare a 9 corde creato per Ettore de Carolis (Chetro è appunto il nome di sua figlia). Le etichette interne alla buca, con descrizioni di materiali e lavorazione, in tutti e quattro gli strumenti acustici venivano scritte a mano con inchiostro a china da Ettore Guzzini, Manager Italian Market di Eko, che scriveva anche il nome del proprietario sugli esemplari destinati a diventare Signature.

Poi ci fu la produzione della Ranger nera di Bennato che vendette 6500 esemplari e alla fine degli anni 70 nacquero le elettriche monoblocco come la M24, ma di questo parleremo nella parte dedicata agli anni 80 della Eko.

La piccola Chetro De Carolis con la chitarra che ha preso il nome da lei, il prototipo 9 corde

Catalogo strumenti acustici 1975

Chi suonava Eko negli anni 70

Mick Taylor

Mick Jagger

Martin Barre (Jethro Tull)

Mike Rutherford (Genesis)

Peter Ham (Badfinger)

Joe Egan (Stealers Wheel)

Stealers Wheel – Stuck In The Middle With You

Jimmy Page (Led Zeppelin)

Bob Marley

Lucio Battisti e Ornella Vanoni

Mia Martini con una J56/1

Ron e Lucio Dalla

Guccini con una Chetro

Fabrizio De Andrè con la PFM (Lucio “violino” Fabbri suona una Chetro 12)

Peter Van Wood con Ranger 12 Electra

Lino Vairetti (Osanna) con Ranger 12

Pino Daniele con la Ranger 12 che fu di Lino Vairetti degli Osanna

Vanna Brosio con Ranger 12 Electra

Renato Zero con Rio Bravo

The Trip con strumenti Eko (Billy Grey con chitarra Kadett e Joe Vescovi con organo Ekosonic)

Clicca il pulsante e guarda The Trip con gli strumenti Eko (chitarra Kadett, Organo Ekosonic)

Un caro ringraziamento all’amico Roberto Bellucci di Elettronica Musicale Italiana per le informazioni integrative sulle creazioni del reparto Ekoelettronica.

L’articolo continua nella terza parte: Eko – gli anni 80

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Eko Dragon Electronic Renato Rascel

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Abbiamo in vetrina uno strumento particolare, la Eko Dragon appartenuta a Renato Rascel e sappiamo già che faremo la felicità dei collezionisti dicendo che è in vendita.

Lorenzo

Renato Rascel con Marisa Allasio nel film “Arrivederci Roma”

Renato Rascel, al secolo Renato Ranucci, è stato un artista poliedrico di grande fama, soprattutto nel periodo che va dagli anni 40 agli anni 70. Era attore, comico, cantautore, ballerino, presentatore e e addirittura giornalista.

Compose un brano per Sanremo e anche la famosissima “Arrivederci Roma”, tema del film omonimo che interpretò al fianco di Marisa Allasio, celebre attrice e sex symbol del periodo. Lavorò molto nel cinema e in teatro.

In televisione fu particolarmente famosa la serie di telefilm Rai “I racconti di padre Brown”, tratta dai noti racconti di Chesterton.

Ad un certo punto della sua vita, Rascel acquistò o commissionò una Eko Dragon Electronic.

Catalogo EKO 1967

La Eko Dragon è uno strumento di alta fascia che veniva prodotto dalla Eko in numero limitato, la versione Electronic è ancora più rara e reca una serie di effetti onboard piuttosto interessanti e niente affatto inutili.

Essendo le Dragon Electronic fabbricate in parallelo con le chitarre Vox, gli effetti, fuzz, bass & treble boost e tremolo, sono dello stesso tipo di quelli che si trovano sulle Ultrasonic, Chetaah, Bossman, Grand Prix Starstream, ma anche sulla Apollo, chitarra che veniva sempre prodotta da Eko per la Vox ed era praticamente la versione per gli Usa della Dragon, con un solo pickup e paletta di foggia diversa.

L’attrice Elizabeth Montgomery con una coloratissima versione di una Vox Apollo, in un episodio della celebre serie tv “Vita da Strega”

La Vox entrò con forza negli Stati Uniti e gli strumenti prodotti dalla Eko fecero furore nel mercato americano, le si vedevano in mano a molti dei gruppi psichedelici e pop dell’epoca, diventandone un simbolo. Si può addirittura ammirare una Apollo rifinita in colorazione psych imbracciata da Elizabeth Montgomery in un divertente episodio della celebre serie tv “Vita da Strega”.

La prima produzione della Dragon risale al 1967 e si tratta di uno degli ultimi progetti dell’allora patron Oliviero Pigini, con disegno di Augusto Pierdominici. La volontà era di offrire uno strumento professionale, d’elite, ma che non lo fosse anche nel prezzo. Si noti, ad esempio, che fu uno dei primi strumenti ad avere come chiavette le Grover die cast, che Pigini stesso ordinava negli Usa.

Legni d’eccellenza: ciliegio massello, acero occhiolinato, ebano.

Essendo una semiacustica hollow, cioè a cassa interamente vuota, suona molto bene sia da spenta che da elettrica. I pickup Eko Ferro-sonic sono molto corposi, molto più dei comuni single coil, allo  stesso tempo definiti e potenti.

Gli effetti hanno una sonorità molto attuale, soprattutto il fuzz e il boost, entrambi molto belli. Il tremolo si rivela un effetto interessante e che può ancora essere utilizzato con gusto. Gli effetti sono alimentati da due pile a 9 volt che non passano per il circuito primario, quindi se mancanti la chitarra funzionerà normalmente da passiva.

Un demo audio vintage delle Vox ci fa capire come suonano gli effetti onboard

Il manico è in tre pezzi di acero, è piuttosto sottile, scorrevole e comodissimo. La tastiera è in ebano con binding, la cassa ha fondo e tavola scavate in due pezzi di ciliegio massello. Il binding fronte/retro della cassa è molto elaborato e di gusto.

Il tremolo, in stile Bigsby, era fabbricato presso una fonderia di Civitanova Marche e le chiavette erano, di serie nella Electronic, le Grover Die Cast.

Gli operai Eko, capendone l’importanza, erano particolarmente orgogliosi di lavorare a questi strumenti e ci mettevano tutta la passione nel fabbricarle. Il tempo gliene ha reso merito perchè le Dragon sono arrivate ad oggi in condizioni eccellenti.

Di questa Dragon Electronic di Rascel ci parla Luciano Dell’Aquila, suo attuale proprietario:

«Rara e super equipaggiata, questa Eko Dragon fu di Renato Rascel, che la regalò al suo pianista Tony Sechi a Metá dei 70. Tony sposò mia sorella Liliana, nell’anno 83 e mi donò la chitarra, contento che ne avessi cura.

Me la portai in tour e a Padova le trovai un bel fodero rigido. Poi la usai solo in studio per registrare, troppo preziosa per portarla in locali fumosi e affollati. Vorrei venderla a qualcuno che la trattasse bene, é stata con me per circa 40 dei suoi 53 anni.

Tavola e fondo scolpiti in masello di ciliegio. Manico in tre pezzi incollati d’acero europeo, piatto dietro, stretto. Tastiera “vintage”, tasti in buone condizioni, tastiera in ebano. Segnatasti in celluloide, “binding” bianco su manico e a scacchi sulla cassa.

Panoramica della Dragon Electronic appartenuta a Renato Rascel

Tremolo meccanico tipo “Bigsby”, circuito a tre pick-up “Single-Coil” con interruttore per ognuno, potenziometri tono e volume in passivo. Installando 2 pile (9v) nel vano posteriore, si rendono attivi il distorsore, il tremolo elettronico e il treble/bass booster, tutti molto efficaci.

Timbriche vaste, nel range Fender, Gretsch, Rickenbacker. Meccaniche “Grover” originali. Questa bella Marchigiana conferma il talento della marca di Recanati, del “Made in Italy” e che il ” Multi-Bottonismo” dei 60 non sempre fu mero adorno.»

 

Per richieste info ed acquisto, rivolgersi a Gisèle

…ma come suona questa Eko Dragon Electronic che fu di Renato Rascel?

Demo dei suoni della Eko Dragon Electronic di Renato Rascel

…e il basso?

La versione basso è un animale estremamente sensuale e ricercato: la forma slanciata della paletta si sposa alla perfezione con le rotondità del corpo e quel bloccacorde così particolare è quasi un’opera d’arte di design minimalista…

Ringraziamenti

Purtroppo, postumi.

Un ringraziamento doveroso e sentito và all’intraprendenza tutta italiana che Oliviero Pigini impresse alla EKO, facendola diventare la fabbrica di strumenti a corda più grande e attiva d’Europa.

Un grazie di cuore ad Augusto Pierdominici, un grande designer e tecnico, il cui estro viene scoperto ed apprezzato sempre di più nel corso del tempo.

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La storia degli effetti Cosmosound, Silversound, Goldsound – intervista a Sandro Marchetti (parte seconda)

By Sandro Marchetti, Amplificatori Vintage Italiani, Effetti Vintage Italiani, Pedali VIntage Italiani, Personaggi StoriciNo Comments

Continua l'intervista a Sandro Marchetti, creatore dei pedali Cosmosound, Silversound, Goldsound.

Lorenzo

C2V: “Sandro, come nacquero i pedali in stile Fender?”

SM: “Nel ’76 Baldoni ebbe l’idea di riprendere il case dei Fender Blender in estruso di alluminio, anche il principio degli effetti era simile ma in realtà i circuiti erano un po’ diversi, abbiamo creato i distorsori (E-6 Powerful Sound e E-8 Wild Sound) e ci abbiamo aggiunto anche altri effetti (ndr. il distorsore con tremolo Cosmosound E-7 Fearfully Sound, tremolo che fu fatto anche come effetto separato, E-5 Shaking Sound). Tra l’altro arrivarono richieste dai chitarristi per un riverbero esterno da poter collegare agli amplificatori che ne erano sprovvisti. Di conseguenza creai un modulo in stile rack con riverbero a molla con più ingressi e controlli di volume e tono da poter utilizzare con chitarre e tastiere (CSE-10). Poi venne il Leslie elettronico Cosmosound (CSE-18): all’inizio li facemmo con le linee di ritardo ITT ma il costo era alto quindi ne facemmo pochi pezzi e nel frattempo ne studiammo uno con gli operazionali 741, molto più piccolo, che in pratica era un phasing doppio con due forme d’onda che funzionavano in opposizione simulando proprio il suono leslie. In seguito abbiamo ricreato anche l’effetto di cambio velocità. Agli inizi fu un po’ difficoltoso regolarlo ma con la pratica diventò una cosa estremamente rapida.”

C2V: “Ecco, a proposito di Leslie, ne producevate solo di elettronici o anche meccanici?”

SM: “No quelli erano solo elettronici, un leslie meccanico lo feci nei primi tempi alla MET, Baldoni e Polverini (Logan, GIS) stavano cercando un nome adatto e io uscii fuori con Rolling Sound, che piacque moltissimo. Ne facemmo alcuni campioni ma poi smisi di occuparmene perché nel frattempo, nel 1975, uscii dalla EME per dare vita, assieme e a Baldoni, alla ditta dove mi dedicavo ai pedali, la EF-EL, e il progetto del Rolling Sound K200 venne passato alla MAC di Carlo Mandolini la quale lo rinominò SC200 R e ne cambiò il mobile, mentre quello creato da me era decisamente più piacevole rispetto alla media degli altri leslie, anche se poi altri produttori una mezza scopiazzata gliela diedero, a quel mobile lì…del resto ai tempi era normale. Con la EF-EL creai anche dei componenti Hi-Fi e dei piccoli amplificatori da chitarra da 5 e 10 W, di quelli ne furono fatti parecchi. Degli ampli Hi-Fi (ndr. marchio MARSAN, che sta appunto per Marchetti Sandro) vennero prodotti modelli da 25 e 40 RMS e anche una tiratura limitata di 7 esemplari da 75+75w rms su 8 ohm, dei quali uno l’ho fatto per me e lo uso regolarmente.”

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C2V: “E tornando ai tuoi pedali, per quali altri marchi venivano prodotti?”

SM: “Li abbiamo fatti per vari marchi, anche per Meazzi e Vox.”

C2V: “E questo spiega perché si trovano gli stessi pedali Cosmosound a marchio Vox.”

SM: “Esatto, ai tempi a Montecassiano c’era la EME di Ennio Uncini (il padre del campione di motociclismo Franco Uncini) che aveva molti contatti all’estero e che produceva e importava per la Thomas e anche per Vox, anche se non ho idea di chi producesse gli amplificatori. Mi chiese se volessi fare i miei pedali con la scritta Vox e io accettai. Ma poi li feci anche per altri, per esempio Crosio di Parigi, un grosso negozio che importava le fisarmoniche, mi chiese i pedali e io glieli feci. Ma anche DO RE MI (poi diventata C D E, di Alfonso Barabino) e Cavagnolo ci distribuivano I Goldsound e i Silversound a tappeto in Francia. In seguito però sorsero problemi col mio socio Baldoni, inoltre il mercato dei pedali in quell’epoca cominciò a scendere e la produzione dei pedali rallentò. C’è da capire che il mercato va dietro alle mode, una volta nelle Marche era tutta una produzione di fisarmoniche, poi solo chitarre e tu vedevi ovunque complessi che suonavano solo chitarre, la Eko faceva gli straordinari nella produzione. Poi cominciò il periodo degli organi e tutti gli altri produttori aspettavano il modello nuovo della Farfisa per studiarselo e, anche se non i circuiti, almeno l’idea generale dello strumento gliela copiavano.”

C2V: “Quindi tu cosa facesti in seguito?”

SM: “Nel 1976 lasciai la EF-EL a Baldoni e andai alla Logan, con la quale avevo già cominciato a collaborare per gli organi. All’epoca la Logan era appena partita, agli inzi andai a dargli una mano e poi finii per rimanere con loro. Logan ai tempi produceva una tastiera di strings che era risultata la migliore in giro, poiché, al contrario delle altre ditte che usavano solo 2 linee di ritardo ITT (tra cui la Eminent, che aveva brevettato le tastiere strings), usava ben 3. Il capo tecnico della Logan, Costantini, aveva fatto alcuni esperimenti quando era stato precedentemente a lavorare alla Farfisa e si era reso conto che più linee di ritardo c’erano e migliore usciva il suono prodotto. Si avevano in pratica 3 oscillatori sfasati di 120° tra loro, con notevoli risultati finali. Alla fine chi la ascoltava restava innamorato e andò che i migliori gruppi usavano questa tastiera di violini. Il problema fu che la Elka fu la prima a produrre le Strings e anche la prima a portarle alla fiera di Francoforte, di conseguenza vendette tutto perciò la Logan, che arrivò in ritardo, rimase fregata per quell’anno. Ma le cose andarono ben diversamente l’anno seguente e la Logan vinse su tutti i fronti. Morale, io rimasi in Logan fino al 1982 e finii la mia carriera nel mondo degli strumenti musicali con loro perché dopo ci fu la crisi, alla quale i giapponesi contribuirono non poco: i primi anni vennero a Francoforte e fotografarono tutto quello che vedevano, non gli sfuggiva niente. In seguito si presentarono con prodotti migliorati sia esteticamente che tecnicamente migliorati, cogliendoci di sorpresa e mettendo fine alla storia della produzione italiana.”

C2V: “E questo accadeva alla fine degli anni 70, un vero peccato…”

SM: “Eh si, perché fino ad allora si stava benissimo e c’era un mare di lavoro per tutti, eravamo sommersi dalle richieste. Del resto i giapponesi avevano aiuti dal governo che noi, come al solito, non avevamo (pare che il governo giapponese pagasse in anticipo alle ditte gli strumenti che venivano esportati e si occupasse poi di gestire i pagamenti dilazionati dei vari clienti).”

C2V: “E da qua si entra nella storia che tutti in Italia ben conosciamo. Tornando  di nuovo ai Pedali, come funzionava il ciclo di costruzione?”

SM: “Agli inizi, quando ero ancora alla MET, progettai il tutto e ne avviai la produzione. In seguito, quando avviai la EF-EL, la MET (che aveva officina meccanica) continuò la produzione della parte meccanica e io mi occupavo di farli verniciare e finirne l’assemblaggio: montaggio della parte elettrica, finitura, collaudo e imballaggio.”

C2V: “Anche di applicare i vari marchi ti occupavi tu, quindi. Quali erano, ti ricordi?”

SM: “Eh, ricordarli tutti è difficile…c’erano i G.I.S., che aveva l’esclusiva in Italia di vari marchi e gli EUR che erano per i mercati paralleli.”

C2V: “Ce ne sono in giro anche di marchiati JEI, GUN, WERSI, ZENTA, EMTHREE (che è sempre Meazzi), MAC e ovviamente della tua EF-EL.”

C2V: “E come funzionava invece la promozione? C’erano già i dimostratori di strumenti?”

SM: “Si, eccome, noi avevamo Johnny Charlton dei Rokes e anche Peter Van Wood, che si prendeva più che altro i prototipi, tutte le cose “strane”: avevamo fatto un prototipo di octaver con ottava alta e bassa che era una cannonata, l’intento era quello di perfezionarlo e metterlo in produzione ma se lo prese lui e non lo vedemmo più, poi nel frattempo io me ne ero già andato. Un altro prototipo che facemmo era distorsore, repeat e un altro effetto che adesso non ricordo, il tutto controllabile con i piedi (ndr. la descrizione ricorda molto quella dell’Eko Multitone), ma erano cose che perlopiù non entravano in produzione perché non c’era mercato.”

C2V: “Dopo il settore musicale su cosa ti sei orientato?”

SM: “Mi sono occupato di tutt’altro, dai rubinetti elettronici, sia come meccanica che elettronica, alla creazione di prototipi in plastica e alluminio di apparati di illuminazione per la Guzzini, i cataloghi venivano realizzati con quelli. Da dopo la pensione ho coltivato l’hobby dell’aeromodellismo e ho costruito una decina di motori, a scoppio due e quattro tempi, a vapore, aria compressa, che sono stati pubblicati su riviste del settore.”

C2V: “Una vita all’insegna dell’artigianato vero e poliedrico, complimenti! Benissimo Sandro, a questo punto non mi rimane altro che ringraziarti per questa bellissima chiacchierata e per tutte le informazioni che ci hai dato!”

SM: “Figurati, è stato un piacere!”

Ringraziamenti

Si ringraziano ToneHome ed ElectricMister per la gentile concessione dell’uso di alcune delle immagini presenti nell’articolo.
Un ringraziamento all’amico Sebastian Galassi per la foto del Rolling Sound K200.

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La storia degli effetti Cosmosound, Silversound, Goldsound – intervista a Sandro Marchetti (parte prima)

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Gli anni 60 e 70, come ben sappiamo, furono un periodo di enorme fermento creativo per la nostra penisola e in particolar modo per le Marche, dove si trovavano i grandi numeri della parte creativa e manifatturiera.

Lorenzo

Sandro Marchetti

E fu grazie all’ingegno e alla creatività di persone come Oliviero Pigini e Remo Serrangeli (Eko reparto chitarre), Terzino Ilari (EME ed Eko reparto elettronica), Aldo Paci e Giuseppe Censori (Eko reparto elettronica), Carlo Lucarelli (Farfisa, che lasciò nel 1976 per aprire la Siel), Giovanni Livieri (CRB), Bravi e Jura (Crumar synth), Orsetti e Pannelli (Crumar organi), Elio Zamorato (Farfisa, Elka), Alfredo Gioielli (fondatore di Pari e Milton), Marcello Colò (collaudatore e creativo CRB, Elka, Gem – Generalmusic, Ketron), Sandro Marchetti (EME, EF-EL, Logan) che furono creati gli strumenti marchigiani che invasero il mercato, lasciando un marchio ancora oggi indelebile.

Dietro a quelli che sono, assieme ai Jen, i pedali più famosi della produzione italiana, si cela la mente di Sandro Marchetti, poliedrico tecnico elettronico e meccanico marchigiano. Siamo fortunatamente riusciti a contattarlo per chiedergli di svelarci i segreti di questi ancora misteriosi pedali effetto e lui, con molta gentilezza e disponibiltà, ha accettato ed ecco finalmente tutta la storia della creazione di questi mitici effetti:

C2V: “Sandro, com’è iniziata la tua avventura nel campo degli strumenti musicali?”

SM: “Allora, ho inziato nel 1960 con la MET (Micro Elettro Tecnica) di Carlo Baldoni (MET, Logan, GIS, EF-EL) come tecnico progettista di motori elettrici in corrente continua a 6 espansioni polari che dovevano servire per magnetofoni, che erano gli apparecchi che “tiravano” ai tempi. Questi motori furono passati alla Phonola ma nel frattempo il mercato era cambiato e cominciarono ad andare le fonovalige (giradischi portatili) perciò fui costretto a progettare un motore a 3 espansioni adatto alle fonovaligie, per i quali brevettai anche un braccetto con contrappesi.”

C2V: “Ah, il classico giradischi con il quale siamo cresciuti!”

SM: “Si, e le fonovaligie inizialmente avevano un problema, la puntina aveva un braccetto che la premeva con troppa forza sul disco e dopo il primo ascolto il disco era da buttare. Così fui costretto a inventarmi questo sistema di contrappesi per ridurre la pressione del braccetto e funzionò molto bene. A seguito del calo di richieste dei mangiadischi venne fuori quella degli strumenti musicali e, oltre alle parti meccaniche ed elettroniche per chitarra per ditte come Eko, Melody, Welson (ndr. tra le quali la bellissima borchia dado conica che blocca gli ingressi jack che troviamo anche in buona parte dei prodotti italiani dei tempi), creai dei pedali volume per la gran parte dei produttori di organi della zona (Crumar, Elgam, Logan, Moreschi etc.) e da li iniziai la progettazione e realizzazione di vari pedali effetto ispirati a quelli presenti sul mercato ai tempi ma anche di scatolette da inserire direttamente nell’input della chitarra, tra le quali preamp, booster per bassi e alti e altri effetti.”

C2V: “Ed eccoci arrivati ai pedali…”

SM: “Si, uno dei primissimi fu il wah con distorsore, che era quello che andava per la maggiore, e i vari distorsori. Dopo facemmo il Phasing, che rispetto agli altri era particolare in quanto per creare la sfasatura del suono usavamo dei transistor FET (transistor ad effetto di campo) che erano tutti selezionati, cosa che gli altri produttori non facevano e di conseguenza la rotazione non risultava bella. Invece noi utilizzando i FET selezionati avevamo ottenuto una modulazione perfetta. In seguito vedemmo che immettendo il segnale di uscita nell’ingresso del phasing veniva fuori un filtro attivo che produceva un effetto somigliante ad un sintetizzatore e quello lo chiamammo Super Phasing. Nonostante i nomi fossero Cosmosound, Silversound e Goldsound, i pedali avevano gli stessi circuiti ma ne venivano variati l’estetica e il nome a seconda delle richieste del distributori dei vari paesi.”

(L’intervista continua nella SECONDA PARTE)