”Il nome di Maggi è indissolubilmente legato al suo capolavoro, il bellissimo sintetizzatore analogico Synthex. ma il geniale progettista ha avuto un passato tutto all’insegna dell’innovazione, che lo pone accanto a personaggi come Moog, Buchla, Taro, Pearlman.
Lorenzo
Con questo articolo viene ufficialmente inaugurata la sezione del sito che riguarda la Sintesi.
Il sintetizzatore, strumento elettronico attraverso il quale si cerca di riprodurre sonorità già note e di crearne sempre di nuove, vede il suo più noto esponente nei prodotti commercializzati dal celebre ingegnere statunitense Robert Moog ma esistono tutta una serie di inventori che hanno contribuito in maniera più o meno incisiva allo sviluppo del synth come strumento innovativo.
La musica e la ricerca dell’imitazione dei suoni sono antiche quanto il mondo. In effetti quasi ogni essere terrestre reca in sè lo strumento musicale più antico, la voce, che raggiunge delle capacità elevatissime nell’uomo, talmente tanto da poter essere facilmentemente considerato il primo sintetizzatore della storia.
Nel corso del tempo ne sono state estese le possibilita’ a livelli davvero affascinanti fino ad ottenere la polifonia vocale, se ne trovano esempi in particolar modo nelle culture asiatiche ma anche in musicisti a noi più vicini.
E’ il caso di Demetrio Stratos, il compianto cantante degli Area, che rese ampia dimostrazione delle sue eccezionali capacita’ vocali in alcuni dischi solisti dedicati proprio al tema del ‘suonare la voce’ e che illustrano ampiamente le sue incredibili capacità di polifonia vocale (diplofonia, triplofonia, suoni bitonali e difonici, fischio laringeo).
Ma esiste tutto un fervente movimento di artisti che stanno sviluppando il discorso della polifonia vocale, una esponente di spicco è la musicista tedesca Anna Maria Hefele.
Demetrio Stratos – Flautofonie ed altro (Cantare La Voce – 1978)
Hanna-Maria Hefele – Dimostrazione di Canto Polifonico
Torneremo comunque su questo argomento più avanti e passiamo invece ad occuparci del signor Mario Maggi.
Il nome di Maggi è indissolubilmente legato al suo capolavoro, il bellissimo sintetizzatore analogico Synthex. ma il geniale progettista ha avuto un passato tutto all’insegna dell’innovazione, che lo pone accanto a personaggi come Moog, Buchla, Taro, Pearlman.
Chi ha seguito il suo lavoro da vicino sa bene che Mario Maggi era avanti a tutti gli altri di almeno 10 anni e che l’industria elettronica italiana non ha fatto molto per investire su di lui e sostenerne la ricerca come invece sarebbe stato logico fare.
Eppure la sua storia, come scopriremo, è quella di un grande innovatore e, per la determinazione e gli enormi sforzi che ha dovuto sostenere per potere dare al mondo i suoi capolavori, anche di un vero e proprio eroe.
E non è affatto strano che, negli appassionati di synth italiani e negli addetti ai lavori, udire o leggere quel nome un po’ mistico, risvegli sempre un mix di affetto ed orgoglio nazionale, quel tipo di sentimento che scalda il cuore degli appassionati, come succede con l’Alfa Romeo e la Ferrari.
E’ quindi assolutamente doveroso dedicargli un omaggio e, trattandosi di un personaggio lontano dalle scene, del quale non è facile reperire notizie e ricostruire storia e cronologia, questo articolo verrà aggiornato nel corso del tempo, mano a mano che ulteriori notizie verranno alla luce, in modo da poter rendere un quadro più accurato possibile della storia di questa persona così affascinante.
Ma apprestiamoci ad iniziare.
Alla fine degli anni 60, un giovanissimo ingegnere elettronico innamorato del mondo dell’elettronica musicale, invia i suoi primi progetti alle riviste di settore. Il primo di cui si ha notizia ad oggi, pubblicato su CQ Elettronica, è un circuito di effetti che collegato a chitarra o organo produce “suoni spaziali”, probabilmente qualcosa di simile ad un ring modulator.
Ma lasceremo che sia lui stesso a raccontare gli inizi della sua carriera:
“Quando avevo 17 anni creai un’intera collezione di effetti per chitarra per un amico. Un pomeriggio, venne a casa mia con un disco di Emerson Lake & Palmer e mi fece ascoltare Lucky Man. Il suono di quello che lui credeva essere un assolo di chitarra, lo aveva così impressionato da chiedermi di costruirgli un effetto che potesse far suonare la sua chitarra in quel modo.
Quello che lui pensava essere un effetto, tuttavia, non era una chitarra, ma il più meraviglioso solo di synth che avessi ascoltato fino ad allora. Io capii immediatamente che questo suono non poteva venire da una chitarra.
Una settimana prima, ero stato in un negozio di elettronica ed avevo scoperto una rivista con un’immagine impressionante sulla copertina. Nella foto c’era una grande tastiera per pianoforte con un pannello di controllo altrettanto grande con sopra un numero enorme di pulsanti colorati.
Dalla rivista scoprii che si trattava di un ARP 2500 esposto in una galleria d’arte moderna a Milano. Alcuni giorni dopo contattai quella galleria e riuscii ad ottenere un appuntamento. Quando arrivai là, rimasi completamente solo per alcune ore nella stanza in cui l’ARP 2500 era in mostra e fui in grado di studiarlo ampiamente.
Riesco a malapena a trovare le parole per esprimere le emozioni che provai in quelle ore, ma fu allora che decisi di dedicare tutto il mio lavoro e la mia creazione allo sviluppo e alla progettazione di sintetizzatori.”
Ci spostiamo agli inizi degli anni 70, quando viene alla luce il prototipo monofonico ancora oggi in possesso ed uso di Enrico Olivieri del gruppo progressivo Metamorfosi e suo amico dai tempi di scuola, e grazie al quale il nome di Maggi entra a far parte dell’immaginario collettivo degli appassionati italiani ed esteri.
“Dopo l’episodio con il mio amico, ho iniziato a costruire il mio sintetizzatore monofonico.
All’inizio, avevo problemi a compensare le fluttuazioni di temperatura degli oscillatori fino a quando non ho trovato un circuito integrato che non era usato da nessuno in quel momento. Probabilmente perché era solo molto costoso. Usando questo integrato, improvvisamente mi sono reso conto che il mio primo sintetizzatore, in termini di stabilità dell’oscillatore, era di gran lunga superiore a qualsiasi altro dispositivo sul mercato.
Questa è stata la ragione fondamentale per cui ho deciso di continuare a costruire sintetizzatori. Volevo renderli sempre migliori.”
Questo synth chiaramente è possibile ascoltarlo nei dischi dei Metamorfosi e nei concerti che tutt’oggi il gruppo tiene.
Enrico Olivieri (Metamorfosi):
“Tutto cominciò ai tempi della scuola, nel 1970, quando io e il mio amico Mario Maggi frequentavamo l’istituto tecnico per elettronica Enrico Fermi.
A quel tempo Roma pullulava di cantine e locali dove una miriade di formazioni musicali trovavano spazio per “provare” ed esibirsi e, mentre io passavo da una formazione all’altra (prima accompagnato dal mio inseparabile organo Farfisa, poi dall’organo Pari e dal piano elettronico Crumar, entrambi amplificati con un Leslie Lombardi 250 watt), Mario si dilettava a modificare amplificatori, ottimizzare effetti per chitarra e voce, e metteva il naso in tutto ciò che riguardava l’elettronica del tempo al servizio della musica, il più delle volte con risultati entusiasmanti.
Un giorno Mario m’invitò ad andare al suo laboratorio e, senza darmi altre spiegazioni, mi disse che voleva farmi provare una “bomba”.
Una volta arrivato, sopra un tavolo che in quanto a disordine non aveva nulla da invidiare a quello del famoso Archimede Pitagorico della Disney, vidi un groviglio multicolore di fili elettrici in mezzo ai quali si distingueva a fatica un lamierino con alcuni potenziometri scoperti: si trattava del primo oscillatore con filtro passa-basso costruito dal mio amico.
Passammo l’intera nottata ad ascoltare e visualizzare sull’oscilloscopio sinusoidi, denti di sega, quadre modulabili, inviluppi di filtro e tutto ciò che poteva produrre quella piccola diavoleria, con la stessa curiosità di un bambino alle prese con il giocattolo nuovo.
Da quella sera, molti furono gli incontri durante i quali Mario mi faceva provare e ascoltare il risultato degli ampliamenti e miglioramenti del suo progetto; dopo una gestazione durata molti mesi, nacque un vero sintetizzatore monofonico, il primo costruito da Mario Maggi, che entrò di prepotenza a far parte della mia strumentazione. Ancora oggi, a distanza di 35 anni dalla sua costruzione, è perfettamente funzionante e lo utilizzo in tutti i concerti di Metamorfosi.”
Un estratto dall’album Metamorfosi (Inferno – Introduzione)
Di probabile derivazione del primo, fu quest’altro misterioso monofonico, che si pensa risalente alla prima metà degli anni 70, anche questo in un unico esemplare, e del quale purtroppo si sa poco, tranne che venne prodotto dalla Jen, in alcune decine di esemplari, con un’altra grafica di pannello e il nome ‘Synt-O-Rama’.
Di quelle decine di esemplari, ad oggi conosciamo solo quello in possesso di Lucio Kraushaar, che ne personalizzò il mobile costruendone uno in noce e che ci ha gentilmente fornito un’immagine, assieme a quelle del depliant e a questa piacevole testimonianza:
«Il primo synth lo progettò qui a casa mia, ero single e lo ospitai per alcuni giorni. Ai suoi aveva detto che andava in vacanza al mare, gli lasciai le chiavi di casa, io dovevo volare (lavoro). Lui dormiva di giorno e studiava la notte. Mi ricordo che per un turno mi dovevo alzare presto ma avevo la sveglia rotta. Avevo un registratore a cassette, Mario in quattro e quatr’otto fece un circuito che, collegato al registratore, mi svegliava con la musica.»
Synth derivati da questi due primi lavori vennero realizzati, tra gli altri, per Vittorio Nocenzi del Il Banco del Mutuo Soccorso, Roberto Turbitosi, Mario Natali. Il SYNTH monofonico disegnato da Mario Maggi era un vero gioiello di stabilità: nessuna traccia dei problemi di contatto dell’ Arp Odyssey, e non soffriva delle croniche perdite di intonazione del MiniMoog alle basse frequenze.
Il mono-synth di Maggi era stabile, estremamente stabile, e non c’è da meravigliarsi che Enrico Olivieri lo usi tutt’oggi.
Seguirà poi il guitar synth modulare che Maggi realizzò nel 1975 (anche questo in un esemplare unico) che gli venne commissionato da un cliente di Bologna e che adesso dovrebbe trovarsi in Francia.
Maggi Modular Guitar Synth
A quanto dichiara la casa d’aste che ne ha curato la vendita (link), il tecnico che lo ha revisionato sostiene si tratti di un lavoro dalla realizzazione altamente superiore, in termini di design e organizzazione dei circuiti, ai PPG di concezione similare.
Sembra che in quegli anni 3 fossero i personaggi ad occuparsi a studi del genere applicati al campo della sintesi: il signor Buchla, il team del signor Roland Ikutaro “Taro” Kakehashi e…indovinate un po’, il nostro Mario. E sostanzialmente dovrebbe trattarsi proprio di un progetto tecnicamente e qualitativamente comparabile a quelli di Buchla, personaggio con il quale gli studi di Maggi di quell’epoca avevano diversi punti in comune.
Racconta Maggi:
“Realizzai un monofonico modulare, con i patchcords per le connessioni, appositamente disegnato per essere pilotato tramite chitarra elettrica, il tutto per un cliente di Bologna. La conversione Pitch to Voltage era risolta con un filtro che si agganciava sul segnale di entrata togliendo più armoniche possibile, poi con una controreazione, se il segnale si abbassava troppo, il filtro si apriva automaticamente; poi c’era uno zero crossing ed un circuito che convertiva il tempo elaborato in una tensione corrispondente; gli oscillatori non andavano in deriva termica (a differenza di quelli Moog del periodo, ad esempio).
Poi ci fu una versione integrata del sintetizzatore per chitarra, di cui posseggo ancora il prototipo. Sul prototipo c’è ancora attaccato un adesivo della MusikMesse 1978…un documento storico!”
Come suona il guitar synth modulare di Maggi. Per l’originale vai al link
Maggi aveva però già intuito che le cose stavano cambiando e che la maggior diffusione dei synth, anche per uso domestico, aveva portato alla necessità di macchine con interfacce sempre più user-friendly rispetto all’essere costretti a modificare continuamente i parametri per ottenere il suono deisderato e che si sarebbe sentita la necessità di poter memorizzare i propri suoni, senza dover per forza usufruire solamente dei preset di fabbrica.
Ai tempi però i microprocessori a basso costo ancora non esistevano, perciò già nel 1974 si era messo al lavoro su di un progetto di logic board a componenti discreti che gli permettesse di evitare l’uso degli appunto indisponibili processori e che, unito alla creazione di una rivoluzionaria tastiera a sensori ottici, che permetteva di evitare le noie date dai contatti elettromeccanici, porterà nel 1977 al completamento di MCS70, ovvero Memory Controlled Synthesizer.
Ma di questo parleremo nella SECONDA PARTE.