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I Viaggiatori Della Sera (1979)

By Cinema, Narrativa e saggistica, Personaggi StoriciNo Comments

Per il suo commiato da regista, Tognazzi torna sugli oscuri territori distopici e sceglie un racconto che del commiato fa il suo soggetto: "I viaggiatori della sera" di Umberto Simonetta.

Lorenzo

Articolo di Daniele Pieraccini

(contiene spoiler)

«E se allora essere umani non fosse più l’unico requisito richiesto per avere diritto di vivere?
E se un giorno si ipotizzasse che degli esseri umani potrebbero, in base alle loro prerogative di medici, politici o giudici, decidere se la vita di un altro essere umano è degna o meno di essere vissuta?».

da “La morte moderna”, scritto nel 1978 da Carl-Henning Wijkmark

Ad oltre un decennio di distanza da Il fischio al naso, Ugo Tognazzi torna a stupire con un’altra opera distopica, tratta dal romanzo omonimo di Umberto Simonetta.

Siamo ancora nel territorio della critica sociologica: nel film del 1967 il tema principale era il mercato della sanità, stavolta l’attore e regista cremonese prende di mira la gestione da parte del potere delle risorse ambientali, economiche e pure umane.

Pensate quanto moderne fossero le “visioni” di Tognazzi, adesso che stiamo addentrandoci sempre più in una “Nuova Normalità” di diritti flessibili e revocabili, di emergenza permanente, di capovolgimento del senso morale, di azzeramento di ogni senso critico, di indottrinamento capillare.

Copertina del racconto di Umberto Simonetta

Nel mondo futuro descritto da Simonetta si pubblica un solo giornale, si chiede il voto per i bambini di 13 anni e il potere è gestito in maniera inflessibile dai giovani.
Poliziotti vestiti di bianco vigilano come Esercito di Salute Pubblica, mentre orwelliani
altoparlanti ricordano continuamente regole e prescrizioni.
Una legge impone (secondo una formula drammaticamente attuale di “obbligo volontario”) che una volta raggiunta l’età di 49 anni i cittadini debbano abbandonare famiglia e società per trasferirsi in assurdi villaggi turistici, apparentemente per andare in vacanza a tempo indeterminato.

Siamo dalle parti di La fuga di Logan, film statunitense del 1976, diretto da Michael Anderson e anch’esso ispirato ad un romanzo; si parla infatti di organizzazione di vita “bioecologicamente” bilanciata, completamente pianificata e gestione della curva demografica attuata mediante controllo delle nascite ed eutanasia mascherata da cerimonia o premio.

“Chissà se fra di voi c’è qualcuno che si ricorda di quando potevamo ancora stare tutti insieme…”

Orso Banti, in arte Orso scoppiato (Tognazzi) è un dj radiofonico alla sua ultima trasmissione.

Per lui e per la moglie coetanea Nicki (una bravissima Ornella Vanoni) è giunta l’ora del “pensionamento” nel villaggio vacanza. Lo spazio radio di Orso, trasgressivo e scurrile, sarà occupato da notiziari di pubblica utilità, condotti da giovani burocrati, con aggiornamenti quotidiani del Grande Contatore sul numero degli abitanti del pianeta.

I giovani sono grigi e amorfi, sobri, educati e perfettamente domati, vestiti in maniera formale ma anonima e vivono seguendo rigidi princìpi di ordine. Al contrario i vecchi sono legati ad un altro modo di vivere, più spontaneo, vestono colorato e trasandato ed hanno voglia di far caciara e divertirsi.

“Nonno, perché dici tutte quelle banalità e sconcezze alla radio?”

Orso si preprara a partire per la “vacanza”

Nicky è stata fermata da uno spione ufficiale che l’ha ripresa per aver lasciato cadere un giornale a terra e pretende di controllarle il documento d’identità

Mentre Orso e la moglie preparano i bagagli per il viaggio di non ritorno, dalla conversazione in famiglia tra loro, i figli ed il nipote piccolo apprendiamo molte cose di questo “nuovo mondo”:
per procreare occorre una specifica autorizzazione da parte del potere centrale; ogni cittadino è dotato di tessere per accedere ad ogni tipo di servizio; la sterilizzazione è incentivata e incoraggiata costantemente; al quarantanovesimo anno di età è obbligatorio portare una fascia al braccio.

Soprattutto, dai dialoghi tra familiari appare netta la distanza di pensiero che corre tra le generazioni e che vanifica ogni tentativo di comprensione. I figli, compitissimi e ligi al dovere, considerano i genitori dei cialtroni senza speranza, irritanti ed irresponsabili.

Per Orso e Nicki i figli sono eccessivamente inquadrati e inibiti e non sanno cosa voglia dire godersi la vita. Un rovesciamento di ruoli che appare grottesco ai nostri occhi. Ancor più grottesco appare il piccolo Antonluca, nipote dei due protagonisti, totalmente plasmato dalla propaganda, un piccolo burocrate che rimprovera continuamente i nonni usando toni e concetti che non appartengono ad un bambino.

“Orso, noi siamo la prima generazione che va al villaggio…lo senti loro come ragionano? sono cresciuti con quest’idea e così i loro figli”

La famiglia parte dunque per raggiungere il villaggio numero 27, al quale sono destinati Orso e Nicki. Figli e nipote li accompagnano, dando seguito a discussioni e conflitti e non celando più di tanto la voglia di chiudere in fretta la questione e di tornarsene alla loro vita. Veniamo a sapere che i figli neanche si augurano di arrivare all’età della “vacanza”, sono talmente improntati all’efficienza che sfociano nell’autoresponsabilizzazione suicida.

Lungo il tragitto, in un paesaggio brullo e arido, la presenza della propaganda e del potere eco-sanitario è costante. Pattuglie di giovanissimi poliziotti dell’ESP che sbucano fuori ovunque, cartelloni inquietanti che fiancheggiano l’autostrada deserta (“siamo troppi” “sterilizzatevi” “ordine è civiltà”) e una stazione di servizio deserta con il barista-tutore dell’ordine che serve i clienti dando loro le spalle ma scrutandoli tramite uno schermo, mentre bevande e caffè vengono prodotti da un macchinario impersonale.

Persino la marijuana che Orso e Nicki fumano è fornita dallo Stato.

Prima di arrivare a destinazione c’è una digressione in una oasi di verde, nella quale si riuniscono per una festa con musica, droghe e vino tutti i futuri ospiti del villaggio, sempre sotto continua e pressante sorveglianza dei giovani poliziotti vestiti di bianco. Quella che procede in allegria come un’ultima commemorazione di un passato felice si conclude tragicamente con il plateale suicidio dei due gemelli proprietari del fondo che ospita la festa. Anch’essi condannati alla vacanza e ad abbandonare di conseguenza la tenuta in cui hanno trascorso la vita preferiscono la morte immediata.

I timori già esistenti in molti dei futuri vacanzieri riaffiorano, il tono della vicenda si fa sempre più crepuscolare.

Festa con suicidio

“Qui lo fanno tutti e l’autorità non dice niente, anzi lo considera un alto servizio sociale”

Arrivati al villaggio, moderno ed asettico, una prigione a cielo aperto nella quale possono muoversi liberamente ma senza uscire dai confini, Orso e Nicki apprendono da altoparlanti le regole del posto e fanno la conoscenza degli altri ospiti e ritrovano vecchie conoscenze.

Ben presto la coppia, anche se continua a convivere nello stesso appartamento, entra in crisi. All’interno dell’istituto tutti tradiscono tutti, c’è un furore del sesso che ha preso il sopravvento su tutti i rapporti umani; vecchi e vecchie contrattano prestazioni sessuali con giovani inservienti freddi come automi, che si accontentano, in cambio, di un maglione o di una collana.

Nel nuovo ordine infatti la promiscuità sessuale è incentivata ma tecnicizzata e slegata da ogni pulsione vitale o affettiva (come già preconizzava Huxley ne Il mondo nuovo).

Gli ospiti vi si dedicano continuamente più per noia che per voglia, ostentando una frenesia che è solo ricerca di stordimento.

“Chiedo l’autorizzazione al disbrigo di una pratica sessuale”

L’evento più atteso e temuto al tempo stesso è la periodica lotteria, alla quale tutti gli ospiti sono obbligati a prendere parte. Si tratta di un bizzarro incrocio tra mercante in fiera e tombola, con degli strani tarocchi, ed il premio è la partenza immediata per una crociera che nessuno sogna: infatti mai i vincitori hanno fatto ritorno al villaggio, dal che si deduce che in realtà vengano soppressi.
Il fatto è accettato con rassegnazione dagli ospiti, che continuano a svagarsi dedicandosi al sesso, unica vera attività consentita.

Orso fa amicizia con Bertani, quello che alcuni oggi definirebbero – sbagliando termine – un complottista, che asseconda lo spirito ribelle e solidale dell’ex dj. Mentre gli altri ospiti vivono sospesi tra obbedienza e fatalismo, i due non sono intenzionati ad accettare il destino che altri hanno deciso per loro e vogliono preparare una fuga.

Intanto i legami coniugali e affettivi si allentano, anche in previsione di future, dolorose separazioni.

Anche Orso, seppur inizialmente riluttante a tradire la moglie, si lascia andare a una relazione con un’addetta al campo, Ortensia, indirizzato nella sua scelta da Bertani. Infatti la ragazza fa parte di un movimento di giovani contro ogni privazione della libertà ed aiuta gli anziani intenzionati a scappare.

“L’ignoranza è errore e l’errore è la morte”

Per fuggire però Orso e Nicki devono passare indenni dalla lotteria successiva; consultano così Simoncini, l’ospite più longevo del villaggio che pare abbia trovato un sistema matematico per perdere sempre al gioco e quindi di non essere mai selezionato per la crociera.

Purtroppo, nonostante questo sforzo, Nicki finisce tra i vincitori ed è costretta ad imbarcarsi. In una scena straziante sul pontile i due, consapevoli che non si rivedranno mai più, si salutano con un ultimo bacio, confessandosi il loro amore.

Anche Orso, sopraffatto dal dolore e rassegnato a non fuggire più e ad aspettare il suo turno per la crociera, morirà. Ma in maniera clamorosa ed imprevista, per creare un diversivo che permetta la fuga di Bertani ed un altro ospite.

Sarà Antonluca, il nipotino, ad ucciderlo per gioco o per errore, in un vecchio zoo galleggiante abbandonato, pieno di animali imbalsamati ormai estinti

Benvenuti nella nuova normalità

Oggi capiamo perché film del genere siano stati ignorati, stroncati dalla critica o finiti presto nell’oblio, anziché essere proiettati e discussi nelle scuole.

Altrimenti adesso non vivremmo un momento storico in cui la maggioranza delle persone vive come gli ospiti del villaggio, obbedienti e rassegnati o forse vittima dell’illusione che la crociera chiamata Grande Reset sia una terra promessa anziché il mattatoio.

Opere collegate:

Libri:

I viaggiatori della sera” di Umberto Simonetta
“La fuga di Logan” di William F. Nolan e George C. Johnson
Il mondo nuovo” di Aldous Huxley
1984” di George Orwell
Quarto: uccidi il padre e la madre” di Gary K. Wolf
La morte moderna”, di Carl-Henning Wijkmark

Film:

Il fischio al naso (1967) di Ugo Tognazzi
Swiss Made 2069 (1969) di F.M. Murer
La fuga di Logan (1976) di Michael Anderson

Il film è stato ambientato nelle scene iniziali a Milano 2, per poi trasferirisi nella splendida location di Lanzarote, nelle isole Canarie.

 

LA SPLENDIDA SOUNDTRACK DI TOTI SOLER E XAVIER BATTLES CON LE IMMAGINI DEL FILM

“I viaggiatori della sera” (IT 1979) di Ugo Tognazzi

Regia: Ugo Tognazzi
Soggetto: Umberto Simonetta (romanzo), Sandro Parenzo
Sceneggiatura: Ugo Tognazzi, Sandro Parenzo
Produttore: Franco Committeri
Musiche: Toti Soler, Xavier Batllés, Santi Arisa

Personaggi e interpreti

Ugo Tognazzi: Orso Banti
Ornella Vanoni: Nicki Banti
Corinne Cléry: Ortensia
Roberta Paladini: Anna Maria Banti
Pietro Brambilla: Francesco Banti
José Luis López Vázquez: Simoncini
William Berger: Cochi Fontana
Manuel de Blas: Bertani
Deddi Savagnone: Mila Patrini
Leo Benvenuti: Sandro Zafferi
David Fernández Álvaro: Antonluca, figlio di Anna Maria
Enrico Tricarico: direttore del villaggio
Sergio Antonica: Nicola
Ricky Tognazzi: giardiniere
Carmen Russo: ragazza alla stazione radio

 

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IL FISCHIO AL NASO (1967)

By Cinema, Narrativa e saggistica, Personaggi StoriciNo Comments

Ispirato da un racconto di Buzzati, nella sua seconda regia Ugo Tognazzi costruisce un'aspra satira su come l'industria della sanità riesca a creare malati da persone in perfetta salute.

Lorenzo

Articolo di Daniele Pieraccini

(contiene spoiler)

Con la descrizione di questa industria della malattia, ho voluto rendere la degenerazione che porta la società dei consumi anche nella scienza, cioè in quella parte della società che dovrebbe invece conservare l’uomo, la sua integrità fisica e psicologica

(Ugo Tognazzi, dal libro a lui dedicato nel 1981 da Claudio G. Fava e Aldo Bernardini).

Tognazzi con il suo cast

La pellicola è gustosamente vintage (presenti complementi d’arredo tipicamente Space Age come i televisori Brionvega e le lampade Artemide), ma la vicenda narrata, distopica e kafkiana, non potrebbe essere più attuale.

Tognazzi, alla sua seconda opera come regista, elabora una critica netta di un mondo ormai perso, senza ideali né morale, in cui ciò che conta è produrre e consumare per poi essere spietatamente consegnati alla morte, dopo una vita priva di qualsiasi senso autentico.
Concetti che ribadirà nel “loganiano” I viaggiatori della sera (1979), ultimo suo film distopico (che avrebbe potuto trovare anche in Elio Petri un valido cantore) tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Simonetta.

Il fischio al naso è ispirato invece da un racconto breve di Dino Buzzati, Sette piani, pubblicato per la prima volta nel 1937 poi revisionato ed incluso, dopo varie rielaborazioni, in almeno tre raccolte.
Buzzati ne elaborò anche una trasposizione teatrale, Un caso clinico, nel 1953 (in calce all’articolo potete trovare l’audioracconto di Sette piani).

Se ne deduce che certe tematiche (il sano, ovvero l’odierno asintomatico che diventa schiavo e poi vittima della sanità) abbiano ispirato certi autori particolarmente attenti e consapevoli già nel secolo scorso, fino alla realtà odierna fatta non più di centri di cura e assistenza ma di vere e proprie aziende sanitarie. Si pensi anche a Knock ou Le triomphe de la médecine (Knock o il trionfo della medicina), opera teatrale di Jules Romains del 1923, trasmesso in versione televisiva sulla RAI nello stesso anno del film di Tognazzi.

Copertina di una edizione illustrata del racconto “I sette piani” di Dino Buzzati

«Mi dica, dottore, come va il processo distruttivo delle mie cellule?»

Nel racconto di Buzzati un avvocato di nome Giuseppe Corte (vi ricorda qualcosa?) disturbato da un malessere leggerissimo non meglio specificato, si fa ricoverare in una moderna clinica specializzata proprio nella cura del raro morbo che lo affligge.
Il sanatorio è suddiviso in sette diversi piani: i pazienti con forme più leggere vengono ricoverati in quello più alto; con l’aumentare della gravità del caso si scende gradualmente di piano, fino al primo che ospita ricoverati senza più speranza.

Quello che sembra un ricovero di breve durata in un ambiente confortevole e rassicurante, con il rientro a casa programmato al termine di una serie di esami, si rivela invece una vera e propria discesa negli inferi.

Mentre la salute di Giuseppe Corte peggiora anziché migliorare, una catena di inconvenienti (sviste amministrative, ferie dei dipendenti, pignoleria di un dottore) fa sì che venga trattenuto e via via trasferito ai piani inferiori, nonostante le sue proteste comunque bloccate dalle continue rassicurazioni dei medici sulla non gravità del suo caso. In un crescendo di impotenza, tristezza e rassegnazione, l’avvocato troverà mestamente la fine dei suoi giorni internato nel primo piano.

Dino Buzzati

Nel film Tognazzi, coadiuvato nella sceneggiatura dal fidato duo Scarnicci-Tarabusa, da Rafael Azcona, romanziere e stretto collaboratore di Marco Ferreri e dal noto telecronista sportivo Alfredo Pigna, imbastisce un’operazione ancor più diretta al bersaglio e lontana da ogni spirito metaforico.

“produrre, consumare, gettare via!”

Il fastidioso fischietto che affligge la vita dell’industriale perfetto

Il protagonista, interpretato magistralmente dallo stesso Tognazzi, si chiama Giuseppe Inzerna ed è un imprenditore di successo nell’industria della carta.
Il suo motto è, come ripete più volte, “consumare e distruggere”. Già il tema musicale ricorrente, ‘La conta‘, un pezzo beat de Le Pecore Nere, ricorda ossessivamente per tutta la durata della pellicola che “oggi tocca a me, domani tocca a te”, a sottolineare una visione da catena produttiva anche del ciclo vita/morte.

Un molesto fischio prodotto dal suo naso, che gli causa imbarazzo in ambiti lavorativi e sociali, lo spinge ad accettare controvoglia dei controlli di routine presso la clinica di lusso “Salus Bank”: un nome, un programma…

“non si muore che in un momento di distrazione”

Viene ricoverato al primo piano della struttura, in attesa di tornare a casa ed alle sue attività in tempi brevissimi. Come nel racconto a cui si ispira il film, in realtà la sua permanenza non solo si prolunga come in un incubo, ma per motivi di vario genere Inzerna sarà gradualmente trasferito di piano: a differerenza dell’opera di Buzzati si tratta di una ascesa, invece di una discesa, dal primo al settimo piano.

La scalata diventa lentamente una prigionia soffocante, e da un’irrilevante fastidio come il fischio al naso spuntano fuori problemi inesistenti che alla fine lo fanno davvero ammalare. In questa “banca della salute” la salute si finisce per perderla del tutto. Non rigenerazione, ma annientamento.

Nella clinica modernissima vediamo all’opera fra l’altro la tecnologia applicata alla sanità per la quale gli uomini non sono altro che dei numeri (il 515 appeso al collo di Inzerna in qualsiasi piano si trovi). I medici agiscono come investigatori cibernetici: a forza di indagare trovano sempre e comunque qualcosa che non va.

La nota attitudine carnale di Tognazzi si manifesta negli approcci al personale medico e infermieristico femminile (attraenti come modelle ai primi piani per poi lasciare il posto a figure molto meno piacevoli via via che si sale di piano) e nel riuscire a far ricoverare anche la sua amante per averla vicino, salvo poi ritrarsi dall’intimità come svirilizzato dalle magagne fisiche che aumentano con il prolungarsi del soggiorno. Il fischio al naso infatti scompare velocemente, ma solo per lasciare posto a febbre, problemi ai reni, extrasistole, eczemi, debolezza e quant’altro.

“l’ammalato può essere una grande industria, lo so”

Durante il suo soggiorno nella clinica (riprese effettuate a villa Miani e villa Parisi, sui colli romani) facciamo la conoscenza di una serie di personaggi emblematici: tra tutti spiccano il Dottor Claretta interpretato dal noto caratterista Gigi Ballista, l’affascinante Tina Louise nei panni della Dottoressa Immer Mehr (in tedesco: sempre più…), il Dottor Salamoia, interpretato da Marco Ferreri.

Notevole lo sforzo interpretativo di Tognazzi, che riesce a calibrare le sue esuberanze e a dirigere se stesso assecondando la progressione di Inzerna dall’esuberanza imprenditoriale iniziale, alla sfiducia pragmatica nella medicina, al passare da rabbia e ribellione per il susseguirsi delle disavventure all’entrare nel meccanismo ipocondriaco fino ad uno stato di ansia e sfinimento che sfocia nella rassegnazione finale.

“curare il corpo, salvare l’anima”

Tognazzi e la Louise

Ma nell’opera si toccano anche altri temi.

A partire dalla connivenza, celata da una falsa contrapposizione, tra Chiesa e scienza, tra spiritualità di facciata e tecnologia: oltre alla tetra presenza di suore e frati, all’entrata della cappella ospedaliera è affissa la scritta curare il corpo e salvare l’anima; sopra il letto di Inzerna c’è un alloggio per immagini sacre intercambiabili con un tasto, crocefisso, Budda o altro a richiesta.

I medici ricevono i pazienti singolarmente in una grande sala della villa, in una sorta di anamnesi/confessione al termine della quale rilasciano l’assoluzione sotto forma di medicine da assumere…per arrivare alla scena nella sala in cui si sperimenta l’ibernazione e in cui si proclama che si può puntare alla ricerca dell’immortalità perché la Chiesa non si oppone alla medicina.

Si critica soprattutto, e la presenza di Ferreri e del suo sceneggiatore influisce, la borghesia incapace di avere un volto umano dedita com’è alla ricerca dell’accumulo di capitali.

Colpisce infatti l’atteggiamento dei familiari del protagonista: privi di emotività e incapaci di provare affetti veri, vivono il declino di Inzerna con estrema indifferenza.

Da rimarcare l’evoluzione del personaggio del padre di Giuseppe, che, dopo essersi tinto i capelli, prende in mano le redini della fabbrica del figlio e la converte alla produzione di santini e gadget religiosi, proclamando: “la Chiesa si prepara a vivere un’altra età d’oro”.

Una sequenza molto particolare e densa di simbolismi è quella della tentata fuga di Inzerna dalla clinica: dopo una corsa tra file di pini e olivi, in un crescendo onirico, si trova davanti un altissimo muro di pietra che lo blocca. Poi, sedotto da una nudità femminile intravista tra gli alberi, si distrae e viene catturato da due infermieri. Come dire che dal mondo del capitale e dal suo linguaggio non si scappa, si può solo essere sedotti o entrare in conflitto e finire internati.

“chi l’avrebbe detto… per un fischio al naso!”

Sono le ultime parole di Giuseppe Inzerna, ormai rassegnato e quasi assente ma con i capelli tinti in un ringiovanimento apparente e, date le circostanze, beffardo. E l’elicottero che sorvola la clinica negli ultimi istanti di vita del protagonista, come un avvoltoio tecnologico, è forse in attesa di organi freschi da trasportare? Si noti come la legislatura italiana abbia dato il via libera ad espianti e trapianti l’anno prima dell’uscita del film…

In questa vicenda e nella sua amara conclusione si palesa la trappola dell’ipocondria mascherata da moderno salutismo: vivere da malati per sperare di morire sani.

Come non vedere in questo, di nuovo, apparire la sinistra e disperata invocazione “Guariscimi, rendimi completo“?

Infermiere o incentivi?

IL TRAILER DEL FILM “IL FISCHIO AL NASO” DI UGO TOGNAZZI

Il fischio al naso (1967) di Ugo Tognazzi

Interpreti e personaggi: Ugo Tognazzi (Giuseppe Inzerna), Olga Villi (Anita, sua moglie), Alicia Brandet (Gloria, sua figlia), Franca Bettoja (Giovanna, amante di Giuseppe), Tina Louise (dott. Immer Meher), Gigi Ballista (il dott. Claretta), Marco Ferreri (il dott. Salamoia), Riccardo Garrone (il barbiere), Alessandro Quasimodo (Roberto Forges), Gildo Tognazzi (Gerolamo Inzerna, padre di Giuseppe).

Sceneggiatura: Giulio Scarnicci, Renzo Tarabusi, Alfredo Pigna, Ugo Tognazzi, Rafael Azcona

Fotografia (Panoramico, Eastmancolor): Enzo Serafin

Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni

Musica: Teo Usuelli

Montaggio: Eraldo Da Roma

Produzione: Alfonso Sansone, Enrico Chroscicki per Sancro International (Roma)

Distribuzione: Cineriz

AUDIORACCONTO DE “I SETTE PIANI” DI DINO BUZZATI – NARRAZIONE DI ROSANNA LIA

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Wounds (2019)

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

C'è un film assai diverso, che gravita nel circuito della celebre Netflix: onore e merito alla stessa per averlo inserito in palinsesto. E' "Wounds", di Babak Anvari.

Lorenzo - Daniele Pieraccini

Wounds del regista iraniano Babak Anvari è un curioso esperimento che analizza il mondo esoterico in chiave essoterica, usando cioè una visione materiale per spiegare ciò che è intangibile.

Dopo l’ennesima visione di questo film, che ci piace davvero tanto, ci siamo confrontati e sbizzarriti con amici sulle varie interpretazioni dei messaggi che questa pellicola suggerisce.

E’ necessaria la visione del film prima di procedere nella lettura. Questo sia per capire di cosa si sta parlando, sia perchè nell’articolo saranno presenti spoiler continui.

Wounds: La trama

Will è barista in un locale di New Orleans. Una sera, durante il suo orario di lavoro, scoppia una rissa tra Eric – cliente abituale del locale – e altri avventori. Il caos creatosi e l’aver chiamato la polizia provoca il rapido dileguarsi di tutti i presenti. Tra questi ultimi c’è anche un gruppo di giovanissimi che, dopo aver ripreso la rissa, si dà alla fuga dimenticando un cellulare.

Will, senza pensarci troppo, porta a casa il cellulare deciso a contattare ai ragazzi per restituirlo, trovando in esso un video sconvolgente. Questo provocherà l’inizio di strani avvenimenti che coincideranno con la fine di ogni razionalità nella vita di Will.

nell’articolo proporremo diversi livelli di lettura del film.

Locandina del film Wounds

Cuore Di Tenebra

L’opera inizia citando “Cuore di tenebra” di Conrad, un romanzo che raffigura il male come inconsapevole di sé, in questo indicando il protagonista con la sua vacuità confusa dall’assedio di assurdo e ignoto che non comprende se abbia un’origine esterna o provenga dal suo interno.

…Gli aveva sussurrato cose su di lui che egli stesso ignorava, cose che neppure sospettava… e quel sussurro si era rivelato irresistibilmente affascinante. Echeggiava forte dentro di lui poiché egli dentro era vuoto.

Joseph Conrad – Cuore di Tenebra (incipit del film Wounds)

Copertina di Cuore di tenebra di Joseph Conrad.

Ferite (Wounds)

introduciamo il significato di “ferita”, wound appunto: un termine che in lingua inglese è il più generico per definire il concetto. Wound può essere una ferita inflitta ad un tessuto vivente, ma può avere anche una connotazione morale. Può indicare un problema, una grande infelicità, uno stress causato da qualcun altro o da qualcosa.

Uno stato emotivo o psicologico, insomma, e il regista si muove tra tutti i possibili significati, toccandoli e collegandoli tra loro ed elaborando un horror fortemente mentale e metafisico.

«Sai cosa vuoi veramente? Niente. Perché non c’è niente che ti possa soddisfare. Tu sei una brutta persona, sei solo un corpo.»

Carrie, la compagna di Will, dopo la separazione

Scena di Wounds in cui si parla del rituale segreto gnostico della “Traslazione delle ferite”

Scarafaggi

Cosa rappresentano le blatte che infestano gli ambienti in cui si svolge la vicenda e che sono sempre più numerose ed invadenti man mano che cresce l’orrore? Sono raffigurazioni dell’impuro, della persistenza del male, sono simboli del disagio psicologico e relazionale (come in Kafka) o sono araldi del soprannaturale? Sono in qualche modo legati alle abitudini alcoliche del protagonista?

«Oggi sembrano esserci più scarafaggi che clienti»

Will, parallelismo tra persone e scarafaggi

Il simbolismo degli scarafaggi che si ripete continuamente in Wounds

Stress post-traumatico e allucinazioni

Le immagini violente e da incubo che si sovrappongono alla realtà sono dovute appunto all’alcolismo di Will o da qualche disturbo psicologico conseguente a traumi? Come gli scarafaggi (protagonisti infatti di molte delle allucinazioni del personaggio) crescono con l’aumentare dell’orrore, così si sviluppano paranoie soffocanti e manie di persecuzione al pari delle visioni terrificanti.

Allucinazione con scarafaggi simile al delirium tremens

Gnosticismo

Il film non tratta di un soprannaturale generico, infatti Anvari va a pescare nella tradizione gnostica, affiancando misticismo e rituali violenti e orripilanti e collocando efficacemente questo elemento in un contesto urbano e contemporaneo.

E’ importante capire cosa sia lo gnosticismo: di chiara derivazione dalla Dottrina Segreta teosofica (della quale è una rielaborazione distorta), questa corrente di pensiero, a grandi linee, definisce il mondo in cui viviamo come come frutto di un errore di un eone (esseri superiori emanati dal Divino, che formano tutti assieme, divisi in coppie maschile/femminile, il Pleroma).

L’errore in questione condusse alla creazione del Demiurgo, ovvero un falso Dio o divinità malvagia, creatore a sua volta della realtà materiale e “grande ingannatore”. Di conseguenza, per uno gnostico l’illuminazione (o scoperta del divino autentico) si ottiene attraverso l’apprendimento dell’esoterismo o realtà nascosta del mondo.

Alcune correnti gnostiche pensano che tutti gli esseri umani portino dentro sé la scintilla divina, altre sostengono che sia invece appannaggio solo di alcuni di noi e dividono gli uomini in tre tipologie: ilici, psichici e pneumatici.

Gli ilici, o terreni, sono quelli che sono legati esclusivamente al mondo materiale e destinati a scomparire con la carne, gli psichici sono quelli che sono dotati di anima e libero arbitrio e hanno possibilità di redenzione incompleta e di ascendere, un giorno, al divino assieme al demiurgo oppure dissolversi come gli psichici; i pneumatici sono uomini nei quali è stata nascosta, ad insaputa del Demiurgo, la scintilla divina (pneuma) e sono destinati a ricongiungersi, appunto, con il divino.

Il Demiurgo crea l’uomo come “tunica di pelle vuota“, inconsapevole di trasmettere ad alcuni di loro la propria natura psichica e che alcuni celino addirittura il pneuma.

Ricerca delle informazioni sulle conseguenze del rituale gnostico della “Traslazione delle ferite”

Will come personificazione dell’uomo psichico

Will è chiaramente un uomo psichico che reca con sè la spinta, l’urgenza, il “morso” ad evolvere: galleggiando nel materialismo ilico cerca qualcosa di più e affoga la sua insoddisfazione nella ricerca della facile gratificazione terrena. Ma la spinta interiore non gli dà pace, cominciando a mandare in pezzi la sua vita di comodo.

E dopo l’ennesimo confronto con la compagna Carrie, che lo accusa di essere appunto solo un corpo vuoto, sente lo strappo rabbioso di uscire da questa sua situazione di stallo ilico. Carrie dimostrerà poi di essere lei stessa una psichica arresa che finirà il suo cammino nella dissoluzione ilica, finendo totalmente preda dell’abisso che la prosciugherà della scintilla vitale.

Ma è la spinta che sta facendo a pezzi la vita di Will, oppure è lui che, in preda alla sofferenza, sta scegliendo la strada più facile (come il Cypher di Matrix), scegliendo di tornare guscio vuoto e quindi un alloggio perfetto per un’entità malvagia, che sta soltanto accelerando gli eventi e la “trasformazione”?

Il “demiurgo” Will, avvolto (un altro dei possibili significati di wound) nel suo isolamento e “ferito” nell’anima dalle conseguenze della sua incapacità di avere relazioni amicali e sentimentali funzionali e genuine, trova infine la scintilla divina che lo guarirà e lo completerà. La troverà avvolta (di nuovo) dal corpo del ferito, fisicamente e non solo, Eric, in un tripudio di scarafaggi e con la supervisione dell’occhio-simbolo.

Eric, personaggio chiave di Wounds

Will ha quindi compiuto i passi necessari per l’ottenimento della conoscenza divina tramite il “sacrificio di sangue” di Eric (vedasi anche il film “Branded” con il sacrificio del manzo rosso con lo scopo del raggiungimento della chiaroveggenza). Questa offerta lo porta a passare da “corpo vuoto” a portatore di “scintilla divina” («Guariscimi e rendimi completo!») ed è adesso il portatore del demiurgo.

L’occhio, simbolo che appare sempre più insistentemente in Wounds, in questo caso manifestazione del falso “Dio”

Nella sua opera Babak Anvari unisce tutti questi livelli mantenendo un notevole equilibrio, consentendo allo spettatore di interpretare la vicenda privilegiando questo o quell’elemento, a seconda della sua sensibilità e degli strumenti di lettura che possiede.

Altri elementi importanti sono L’abisso Nietzscheiano, i rimandi a Lovecraft e le citazioni a registi come il Carpenter de “Il seme della follia”, la critica alla religione dominante, sempre pronta a correre “in aiuto” per colmare vuoti interiori (con scarafaggi?).

Un livello di lettura più “pragmatico” evidenzia altre tematiche di base:

L’infelicità può portare le persone a decisioni terribili.

In assenza di significati, le persone possono scegliere qualunque cosa che abbia un richiamo “forte”.

Le ferite, che siano fisiche o non fisiche, hanno il potenziale per trasformarci.

Sei tu che scruti nell’abisso…o è l’abisso che scruta in te?

Conclusioni

Abbiamo quindi una perfetta analisi della vuotezza dell’umanità attuale che, con qualcosa, deve riempire le proprie ferite interiori, il proprio corpo reso vuoto dai traumi e dalla mancanza degli stimoli della vita reale, persa com’è dietro ad una tecnologia quotidiana che l’abbrutisce, privandola, appunto, di ogni realtà e della volontà di “costruire” un’anima.

 

“Guariscimi, rendimi completo!”

invocazione di Will al Demiurgo

“Guariscimi, rendimi completo!”: è necessario fermarsi a capire da dove questa frase arriva e il contesto nel quale è inserita. Un esempio:

Invocazione allo Spirito
Vieni, Spirito eterno di Dio Illuminami, Spirito eterno di Dio vieni, luce di splendore,
da’ un senso nuovo alla mia vita, mostrami ciò che è buono e giusto.

Vieni, Spirito di Dio e consola nel profondo la mia anima che non trova riposo.
Dammi la fede in Gesù, guariscimi e rendimi completo.

Spirito di Dio, dammi il coraggio, scaccia in me dubbi e paure.
Vieni, eterno Spirito di Dio, insegnami a riflettere e pregare, a chiedere perdono per i miei peccati.

Mostrami la mia vocazione nei giorni e negli anni della mia vita.
Spirito di Dio, luce ineffabile, apri i miei occhi per accorgermi di coloro che hanno bisogno
della mia amicizia e fraternità.

Con la tua grazia restami vicino e guidami in tutte le mie vie.
(Chiesa evangelica luterana finlandese)

 

IL TRAILER DEL FILM “WOUNDS” DI BABAK ANVARI

Wounds (2019)

 

Credits/Cast

Director: Babak Anvari

Producers: Babak Anvari, Megan Ellison

Writers: Babak Anvari & Nathan Ballingrud (from his novel ‘The Visible Filth’)

Release date: October 18, 2019

Cast:
Armie Hammer as Will
Dakota Johnson as Carrie
Zazie Beetz as Alicia
Brad William Henke as Eric
Karl Glusman as Jeffrey

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Limitless (2011) – Il Pensiero Laterale

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

«Hai sentito la storia del fatto che usiamo solo il 20% del cervello? Questa cosina qui, ti da accesso a tutto quello che non usi...»

Lorenzo

Quando sei vicino ai quaranta, in crisi profonda perchè non riesci a scuoterti da una situazione cortocircuitale nella quale non hai un lavoro, sei stato lasciato da entrambe le donne della tua vita, hai un progetto da anni ma l’insicurezza ti ha creato un blocco della creatività invalicabile… in pratica stai cercando le briciole di te stesso sotto al tavolo.

Cosa succede se arriva la soluzione a tutto questo sotto forma di pillola?

Di tutto.

Questo, in poche parole è Limitless. un film complesso e velocissimo, che affronta interessanti argomenti collaterali come il “Pensiero Laterale” dello psicologo e scrittore maltese Edward De Bono.

De Bono afferma che, se si affronta un problema con il metodo razionale del pensiero, si ottengono risultati corretti, ma limitati dalla rigidità dei modelli logici tradizionali. Quando si richiede invece una soluzione veramente diversa e innovativa, che contribuisca cioè ad un reale passo evolutivo rispetto alle condizioni preesistenti, si deve stravolgere il ragionamento, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze e addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali.

Si deve perciò abbandonare il pensiero verticale, cioè quello basato sulle deduzioni logiche, per entrare nella lateralità del pensiero creativo.

Dal Pensiero Laterale si sono poi sviluppate le carte delle “Strategie Oblique”, realizzate da Brian Eno e Peter Schmidt ed edite a partire dal 1975. Queste carte, contenenti delle particolari frasi guida, sono state usate da Brian Eno in molte delle sue produzioni musicali per altri artisti (Talking Heads, David Bowie, Devo).

Limitless è un film ben girato, ben diretto, con un uso efficace ed intelligente degli effetti speciali e un montaggio molto serrato, che ben si addicono alla velocità che la storia richiede. Pur essendo una pellicola a basso budget, ogni compito è stato svolto molto bene, fino ad ottenere un prodotto con uno stile personale e ben riconoscibile, lo si può già definire un film di culto.

E’ tratto dal romanzo “I territori oscuri” di Alan Glynn ma ne segue lo svolgimento solo in parte e i finali si sviluppano in modo diametralmente opposto, tanto che il film tende ad invogliare lo spettatore all’uso delle sostanze Nootrope, oggi comunemente definite Smart Drugs, senza troppe preoccupazioni circa la loro provenienza ed i possibili effetti collaterali.

UNA SCENA DEL FILM LIMITLESS CON L’APPLICAZIONE IMMEDIATA DEL PENSIERO LATERALE

Al contrario, il racconto di Glynn, calca la mano poderosamente proprio sulla provenienza e le motivazioni della creazione di questo preparato MDT-48 (nel film ribattezzato NZT-48), cosa che verrà ulteriormente sviluppata nel seguito del romanzo, “Under the Night”.

La pillola, quindi, diventa il solito rimedio veloce ma rischioso che l’era moderna pretende dall’uomo moderno, senza curarsi del percorso necessario alla crescita interiore: una scuola che può durare anche tutta la vita.

Molto più utile in questo senso sono stati gli studi di De Bono, che si riallacciano a quelli della Quarta Via di Gurdjieffiana memoria:

Gurdjieff e Quarta Via: la casa senza padrone

«Immaginiamo una grande casa dove il padrone non è presente. All’interno si trovano molti servi, il cui lavoro però non viene coordinato da nessuno. E’ una casa dove la servitù fa quello che vuole. Arriva il panettiere a consegnare la fornitura di pane, ma apre la porta lo stalliere che fa mettere il pane nella stalla. Arriva l’idraulico che deve riparare le tubature del bagno, ma apre la porta il cuoco che lo fa accomodare in cucina.

La mancanza di coordinamento fa sì che a determinati stimoli esterni non risponda mai chi di dovere. Accade la stessa cosa nell’essere umano. Ci presentiamo a un esame universitario, ma invece che entrare in azione solo il centro intellettuale, si intromette anche quello emotivo con il suo carico di ansia, paura e imbarazzo, il che rende molto più difficile, se non impossibile, il superamento della prova.

A un incontro galante con una bella donna o un bell’uomo, entra in azione il centro intellettuale anziché il Cuore, il che ci rende logorroici e poco attraenti. Nel bel mezzo di un rapporto sessuale a un dato momento il centro intellettuale prende il sopravvento con i suoi dubbi e le sue aspettative…secondo voi quale può essere la conseguenza?

Le cose all’interno dell’abitazione vanno così male che alcuni servitori un bel giorno decidono di eleggere un maggiordomo. Questi servitori sono gli io del Lavoro, cioè quegli io – quelle parti di noi – che a un certo punto sentono il bisogno di cambiare la situazione e ci costringono a intraprendere un Lavoro su noi stessi (…) Il maggiordomo inizia a osservare, a seguire passo, passo i vari servi per capire cosa effettivamente sta succedendo nella casa.

Egli deve imparare a conoscere la casa. Il solo fatto che un maggiordomo li osservi, va già a modificare il comportamento dei servitori. L’osservatore modifica l’oggetto osservato. Non giudica, non parla, non interferisce in alcun modo, ma la presenza costante di questo silenzioso testimone, giorno dopo giorno, quasi magicamente comincia a mettere a posto le cose e prepara l’arrivo del padrone di casa: l’anima.

L’Io osservatore, il “testimone” non è morale e non giudica in alcun modo gli atti dei vari io. Se stiamo giudicando è perché non stiamo guardando con il “testimone” ma con uno degli io, cioè con una parte della nostra personalità e questo può condurre a una pericolosa scissione interna della mente…. Il testimone è pura presenza, distaccata, priva di opinioni personali riguardo a ciò che fa la macchina e a ciò che fa il mondo intorno a lei.

L’Io osservatore non fa nulla per cambiare la situazione, ma si limita a osservare con distacco – senza farsi coinvolgere – ciò che accade nell’apparato psicofisico.

Osserva la rabbia, la felicità, il disappunto, la frustrazione… sperimentate di volta in volta dalla macchina biologica, con la medesima imperturbabile obiettività. Se di fronte a una rissa la personalità vuole intervenire il “testimone” non glielo impedisce, se la personalità vuole restare passiva il “testimone” non glielo impedisce. Guarda e basta.

Perchè “costruire” l’osservatore? Siamo contenti di come ci comportiamo? Oppure abbiamo capito che la nostra Vita può essere altro che le solite reazioni agli eventi?»

Fonte

Una drammatica applicazione del Pensiero Laterale tratta dal film Limitless

Limitless

Directed by Neil Burger
Screenplay by Leslie Dixon
Based on The Dark Fields
by Alan Glynn
Produced by

Leslie Dixon
Scott Kroopf
Ryan Kavanaugh

Starring

Bradley Cooper
Abbie Cornish
Robert De Niro
Andrew Howard
Anna Friel

Cinematography Jo Willems
Edited by

Naomi Geraghty
Tracy Adams

Music by Paul Leonard-Morgan
Production
companies

Virgin Produced
Rogue
Many Rivers Productions
Boy of the Year
Intermedia Film

Distributed by Relativity Media
Release date

March 8, 2011 (New York City)
March 18, 2011 (United States)

Running time
105 minutes
Country United States

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Swiss Made 2069 – 1969

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

Swissmade è una trilogia di minifilm sul futuro della Svizzera, il terzo dei quali, 2069, è la pellicola che vede all'opera un giovane H.R. Giger, agli inizi della sua carriera nel cinema.

The Boss

Yves Yersin, Fritz E. Mäder, Fredi M. Murer

Essendo un vecchio ammiratore di Giger, da lungo tempo speravo di poter guardare il suo primo lavoro per il cinema, il mediometraggio ‘Swiss Made 2069’, del quale si erano perse le tracce da molti decenni.

Capitò un giorno che, in concomitanza con l’annunciato scioglimento dei Daft Punk, mi tornasse in mente dopo tanti anni questo curioso esperimento cinematografico del buon H.R. in collaborazione col suo amico regista F.M. Murer, autore del documentario ‘Passagen’ dedicato a Giger stesso.

Tentando l’ennesima ricerca sul web, credendola anche stavolta infruttosa, trovai invece con grande meraviglia un link ad un video di 39 minuti: un altro vecchio sogno realizzato grazie al web.

Swissmade è una trilogia di minifilm sul futuro della Svizzera, nel primo, ‘1980 (Der Neinsager)’ di Yves Yersin, un rivoluzionario che torna dal Brasile e scopre che i suoi compagni rivoluzionari hanno perso la determinazione e l’entusiasmo iniziali. Viene visto come una caricatura del passato e finirà con il fare l’attore in una pubblicità per una banca.

Il secondo film, ‘Alarm’ di Fritz E. Maeder vede un operaio che vuole ribellarsi contro il sistema e ad una moglie megera.

Il terzo è il nostro ‘2069’.

Swissmade 2069 è scritto e diretto da Fredi M. Murer, collaboratore di lunga data di Giger, e le impronte di Giger stesso sono ovunque nel film.

Lo script nasce da un dubbio, come sarà la società svizzera tra 100 anni?

Il mondo del 2069 è un insieme di stati corporati che sono guidati ciascuno da un proprio ‘Brain Center’, ovvero un computer ad intelligenza artificiale che amministra e controlla i cittadini in ogni loro mossa. Tutti portano una macchina fotografica e si salutano scattandosi delle foto.

I cittadini possono e devono contattare periodicamente il “Braincenter” da innumerevoli colonnine intercom “Braincorner”. Niente può succedere senza stretto controllo, viene registrato anche il deterioramento dei dati del cibo, per il quale è stato istituito un sistema di allerta.

E’ una popolazione compiacente, che commette volontariamente atti di auto-sorveglianza e i patrioti vengono emarginati e liquidati come pazzi, per essersi voluti allontanare da questa società del controllo.

Sono i cittadini stessi a sottomettersi “volontariamente” a questa autodefinita ‘Democrazia Totale Scientifica’ basata sulla lettura del pensiero, la mancanza di individualità e di scelta: ogni decisione viene presa dalla AI, che gestisce anche i rapporti sessuali tra i cittadini con il “calcolo del compagno ideale giornaliero” che viene comunicato ai richiedenti tramite i Braincorner.

I rapporti sessuali vengono mantenuti strettamente occasionali per mantenere un distanziamento sociale che impedisca alle persone di potersi unire in possibili associazioni eversive; anche le mansioni lavorative e il posto di lavoro vengono continuamente cambiati, in modo che le persone non arrivino ad instaurare rapporti di conoscenza interpersonale.

Ogni forma di emozione, comprese quelle derivanti dal contatto con la natura, sono bandite.

Le famiglie sono strettamente programmate ed amministrate e i figli della famiglia tipo sono una coppia di gemelli.
L’età massima alla quale è consentito giungere è di 41 anni, dopodichè si viene eliminati.

Un “cittadino integrato con il sistema ma con una tendenza latente ad allontanarsene” viene incaricato dal “Brain Center”, un computer che controlla la società, di produrre un film report sulla missione sconosciuta di un essere alieno. L’alieno è un extraterrestre con una cinepresa Bolex, un microfono e un registratore a nastro Nagra incorporati, che viaggia per il pianeta Terra del 2069 per esplorarne le condizioni attuali.

Un “filosofo”, nel suo studio situato in una sorta di grande villa-cattedrale e aiutato da un team di 7 giovani ancelle, da lui stesso telecomandate attraverso vari impulsi di audiofrequenze, sta studiando il sistema per poter trasformare la Svizzera in un luogo dove le varie corporazioni-stato possano, pagando, scaricare i dissidenti del sistema in apposite riserve.

L’ultimo pensiero raccolto è quello di un tecnocrate che sottolinea – rivolgendosi con vigore e sprezzantezza al pacifico visitatore – quanto questo sistema di Democrazia Totalitaria sia vincente, poiché, essendo basato sulla raccolta dei dati elaborati e gestiti dal computer, «Non esistono cittadini superiori o subordinati. Non ne sai nulla della nostra Democrazia? Da quale pianeta in via di sviluppo provieni?»

L’osservatore silenzioso raccoglierà pensieri e testimonianze di vari campioni di umanità di questo mondo distopico, dagli allineati ai dissidenti (con preferenza verso i secondi), per poi venire sequestrato, privato di telecamera e registratore (testa e cuore) e quindi normalizzato da “scienziati” del Brain Center, coi volti celati da una mascherina, impedendogli il ritorno e di poter portare aiuto al proprio mondo.

Dopo questo ultimo terribile atto, l’umanità pensante sventola una simbolica bandiera bianca in fiamme e si prepara ad abbandonare completamente la società-automa.

Una velata critica alla società Svizzera apppare piuttosto chiara: la Svizzera viene mostrata come ormai completamente assente dalla mappa dell’Europa, al suo posto vi è ormai un immenso lago, come un mare interno.

Gli emarginati si sono riuniti su una barca e si allontanano sul lago verso l’orizzonte, abbandonando definitivamente questa società.

Il finale mostra come sarà qualche tempo dopo il “pianeta in via di sviluppo” dell’alieno, non lasciandogli alcuna speranza.

Il giornalista cinematografico è interpretato dallo stesso Murer. Tutti i partecipanti al film, nella vita reale erano autentici attivisti del 1968, alcuni dei quali in seguito fecero carriera politica o artistica.

In una breve scena è presente anche Li Tobler, allora compagna e musa di Giger, il quale appare nel film nelle vesti di un artista/eminenza grigia che produce i piani di questa società distopica, una sorta di ‘Architetto dell’Universo’ che si interfaccia con il Brain Center attraverso una poltrona con terminale, anticipando la postazione con la quale l’equipaggio della Nostromo si relazionava con il computer di sistema ‘Mother’ nel film Alien, idea che verrà sviluppata anche nel celebre ‘La fuga di Logan’ ma anche nel confessionale di ‘THX1138’ di George Lucas.

Li Tobler

H.R. Giger

Tina Gwerder è l’alieno

E’ quasi superfluo sottolineare come anche l’alieno stesso di Swissmade 2069 sia una anticipazione dello Xenomorfo del film Alien, esattamente come il Brain Center sia una versione in fasce e senza ‘filtri’ del computer Mother.

Chiudiamo segnalando l’evidente somiglianza tra il personaggio dell’alieno osservatore e e quello del Thomas Jerome Newton protagonista del romanzo di Walter Tevis ‘L’uomo che cadde sulla Terra’. Somiglianza resa ancora più evidente dalla scena finale di 2069 con quelle che descrivono il pianeta Anthea nella versione cinematografica del racconto di Tevis diretta da Nicholas Roeg.

UN RARO ESTRATTO DA UNO SPECIAL TV SU GIGER E “SWISS MADE 2069”

Credits/Cast

Buch, Regie, Kamera, Schnitt: Fredi M. Murer
Aufnahmeleiter: Giorgo Frapolli
Ton: Christian Kurz
Foto:
Doris Quarella
Future-Design:
H. R. Giger
Science-Couture:
Silvia Wolfensberger
Labor:
Cinegram SA, Zürich/ Genève
Lichtbestimmung:
Johannes Anders
Mischung:
Bruno Müller / Sonorfilm AG, Bern
Trick:
Charly Kresling / Probst film, Bern

Sprache: Hochdeutsch
Dauer:
40 min
Originalversiont: Farbe, 35mm
Verleih: FMM Film Verleih

Cast:
Humanoid (visitatore): Tina Gwerder

Reservatbewohner (abitanti della riserva)
Asther Altorfer, Hannes Bosshard, Carmen Corti, Ivett Epper, Kurt Eler, Kiky de Groot, Manon Küng, Anna Leskinnen, Ruth Murer, Sabine Murer, Robi Müller, Toni Holz Portmann, Lili Schiess, Hans Stamm, Verena Voiret, Paul Weibel

Integrierte Staatsbürger (cittadini integrati)
Dieter Ackerknecht, Gianni Bacchetta, Elisabeth Besmer, Sylvia Besmer, Alex Böckli, Pino Bühler, Ines Diemer, Doris Ehrler, H.R Giger, Cornelia Grossmann, Thomas Held, Peter Hürzeler, Daniela Indemini, Andreas Kappeler, Regine Kappeler, Su Kappeler, Bruno Klieber, Frieda Kurz, Egon Meichtry, Margrit Röllin, Raymond Scholler, Li Tobler

Ringraziamenti

Si ringrazia il sito del regista F.M. Murer per le immagini.

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La Mala Ordina – 1972

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

Quale si può considerare il film della carriera di Mario Adorf? Sicuramente il ruolo del piccolo ruffiano Luca Canali che, davanti alla disperazione, si rivela una trigre indomabile, potrebbe essere il candidato ideale.

Lorenzo

Fernando Di Leo con Woody Strode

Luca Canali è un piccolo sfruttatore di prostitute, ingiustamente accusato dalla sua organizzazione d’avere rubato a Corso, grosso trafficante, i proventi d’una spedizione di droga, incassati invece dal boss don Vito Tressoldi. Due mafiosi americani, David Catania e Frank Webster, giunti a Milano, si mettono sulle sue tracce, mentre Tressoldi, nell’intento di catturarlo e consegnarlo agli americani, ne fa uccidere la moglie e la figlia.

L’uomo, rivelatosi più duro del previsto, metterà in atto la sua vendetta…

L’interpretazione di Adorf è eccezionale, talmente realistica ed efficace da essere realmente rara nel suo genere.Personalmente considero questo uno dei massimi film di genere, dove la sceneggiatura e la regia di Di Leo e il montaggio di Amedeo Giomini, con contorno delle splendide musiche di Armando Trovajoli, contribuiscono a creare un’opera noir magistrale e indimenticabile.

La scena dell’inseguimento, dove sono palpabili il dolore, la forza della disperazione e il sudore è, a nostro parere, la più bella mai vista nella storia del cinema, talmente vivida ed indimenticabile da lasciare a bocca aperta e riuscire a mettere in disparte anche quelle dei classici d’oltreoceano quali “Il braccio violento della legge” o quelle dei polar francesi.

Il cast è stato ben concertato da Di Leo e tutti danno il loro piccolo o grande contributo. Henry Silva è eccellente nel ruolo del gangster italoamericano, trovando una valida spalla in Woody Strode. Adolfo Celi è eccellentemente spietato nel ruolo del boss Tressoldi, Luciana Paluzzi fa presenza con il suo tipico fascino, Franco Fabrizi dona la sua tipica simpatia nel piccolo cameo del meccanico zoppo e traditore ma realista.

Femi Benussi sorprende, superando il tipico ruolo della sgallettata e rendendo bene l’immagine dell’inasprita donna di vita, l’alttssima Francesca Romana Coluzzi è efficace nel ruolo della hippie che lancia i suoi messaggi politici e anche le apparizioni flash di Renato Zero hanno un loro perché, contribuendo a dare un colore lisergico alla pellicola. Silva Koscina appare quasi straniata nel ruolo della moglie di Canali, un ruolo fuori dalle righe per lei.

La cura di scenografie e costumi è perfettamente curata e i colori saturi e vividissimi, rendono ad hoc l’atmosfera calda di una tragedia che si svolge, improvvisa, in una estate milanese di 50 anni fa.

I clichè del mondo mafioso sono perfettamente esaltati, in questo secondo capitolo della Trilogia del Milieu di Di Leo, gangster che sbocciano e spargono denaro a fiumi in night club pieni di belle donnine discinte e sculettanti, costumi sgargianti e cafoni, dialoghi aggressivi e coloriti, battute salaci e spicce.

Ma su tutto svetta il personaggio di Canali, dotato di una simpatia contagiosa e per il quale non si può non parteggiare, impossibile non calarsi nei suoi panni di uomo braccato, un antieroe che si dimostra più valoroso, coraggioso e profondamente leale di ogni altro personaggio del film, anche quelli apparentemente puliti e che, al contrario di lui, vengono rispettati dalla società.

Il merito di Adorf è talmente evidente, lampante, scintillante, che non si capisce perché nel cinema italiano non gli siano stati offerti altri ruoli del genere, invece di relegarlo sempre in ruoli di contorno.

Attore dotato di una mimica facciale unica unità ad una fisicità imponente, riesce ad essere al tempo stesso a proprio agio ed impacciato, eppure eccellente nelle scene d’azione, fino a dimostrarlo pienamente nella già citata incredibile scena dell’inseguimento, autentico nodo centrale che trasforma quello che poteva essere un qualunque film di gangster in una pellicola epocale.

Da notare che l’attore esegue la scena il più delle volte direttamente, senza quasi l’utilizzo di controfigure, davvero impressionante.

LA SCENA DELL’INSEGUIMENTO DE “LA MALA ORDINA”

«A differenza di Melville e di Houston, io non avevo una visione romantica e idealizzata dei delinquenti, perché li conoscevo bene, essendo figlio e nipote di avvocati penalisti» dirà Di Leo del proprio cinema.

La mala Ordina è tratto da un racconto di Giorgio Scerbanenco, uno dei nostri vanti letterari a livello internazionale, autore di alcuni dei più bei racconti noir in assoluto.

Il racconto preso in esame è proprio quel “Milan by calibro 9” che Di Leo userà come titolo per il primo capitolo della sua trilogia.

Mario Adorf è Luca Canali

Henry Silva è David Catania

Woody Strode è Frank Webster

Adolfo Celi è don Vito Tressoldi

Luciana Paluzzi è Eva Lalli

Franco Fabrizi è il meccanico zoppo Enrico Morosini

Sylva Koscina è Lucia Canali

Francesca Romana Coluzzi è Triny

Femi Benussi è Nana

Trailer del film “La Mala Ordina” by Peripheral Visions con colonna sonora dei Calibro 35

Locandina minimal by Federico Mancosu

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Buone Notizie – 1979

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

L'ultimo film di Elio Petri è un testamento che contiene un grido silenzioso e disperato.

The Boss

Ombretta Colli, Giancarlo Giannini, Elio Petri

Dopo molti anni sono stato folgorato dal ritrovamento casuale di questo film e lo abbiamo visionato la sera stessa.

Questo articolo contiene spoiler (anticipazioni di trama) dall’inizio alla fine, si consiglia di guardare prima il film e poi tornare a leggere l’articolo.

In una Roma angosciantemente ricolma di immondizia ovunque, si svolge la tragedia di un uomo ridicolo, anzi, di una umanità ridicola e ipocrita, sempre più preda dell’ego e del vuoto narcisismo che contraddistingue i tempi attuali.

Il protagonista, innominato, è il simbolo incarnato di una umanità triste e puerile, che si nutre solo di materialismo, egoismo, sesso senza senso, dove i valori sono l’ombra di loro stessi, ormai solo un retaggio cattolico citato unicamente per salvare le apparenze e mettere a tacere la propria illuridita coscienza.

L’inversione dei costumi e un nuovo agguerrito femminismo sono alle porte, i metaforici “pantaloni” sono adesso un costume femminile, e la femminilizzazione della figura maschile è già in atto: è l’oggi.

In questa società devastata e devastante, si muove, malissimo, come il peggior pesce fuori d’acqua, l’innominato impersonato da Giannini, un ometto viscido al quale è stato affidato un ruolo di dirigenza in una grande stazione televisiva, fin troppo facilmente immaginabile di quale si possa trattare.

Questo omuncolo, che passa la sua vita tra il vittimismo e i continui tg catastrofici che emettono solo notizie terroristiche, è il centro di una storia surreale che si tinge di giallo.

Egli viene un giorno avvicinato da un vecchio amico di scuola ormai quasi dimenticato, che gli confessa il suo timore di venir presto ucciso da una ignota associazione che, per qualche non chiaro motivo, lo ha preso di mira con lo scopo di eliminarlo.

Gualtiero, lo strano personaggio interpretato da Paolo Bonacelli, sembra avere una forte attrazione verso l’innominato e dichiara più volte che questi è il suo più grande amico, cercandolo continuamente per tentare di coinvolgerlo nella propria vita, spingendolo anche tra le braccia della moglie, con la quale ha un rapporto di reciproca massima “libertà”, dicendosi felice che i due possano fraternizzare, visto che lui verrà presto ucciso e si dichiara unicamente interessato alla pratica della masturbazione, fatto che pare rafforzato da un manuale che si porta sempre dietro.

L’innominato ha una giovane moglie, insegnante, che ha spesso comportamenti infantili o adolescenziali e con la quale vive un rapporto di continui contrasti ma nel quale è comunque sempre viva la componente sessuale.

Nonostante questo, l’innominato cerca continuamente e goffamente conferme del proprio fascino da altre donne, che cerca sempre di circuire per soddisfare il proprio narcisismo, arrivando poi a non stringere mai nulla perché, come detto da Ada, moglie di Gualtiero, innominato non è altro che un mentalista moralista che non può godere naturalmente di nulla nella vita, nemmeno di 10 minuti di sesso liberatorio.

Il rapporto con il ritrovato Gualtiero si rivela sempre più sconvolgente per lui, che comincia a sospettare un interesse che và al di là dell’amicizia. Inoltre rivelerà di essere fortemente in difficoltà con la fissazione dell’amico, che vive in attesa del suo assassino, perché l’innominato stesso ha una paura folle di morire.

Non manca assolutamente nessun difetto a questo personaggio mai citato per nome, egli è proprio la perfetta allegoria di ogni bassezza umana e arriverà a rivelare del tutto la propria ipocrisia quando la moglie, che gli aveva dichiarato di essere incinta, gli confesserà di esserlo in realtà di Gualtiero, con il quale aveva una relazione, dicendogli di averla avuta perché Gualtiero gli ricorda lui.

Gualtiero verrà finalmente ucciso e l’innominato si recherà all’ospedale dove aveva lasciato l’amico, mettendo in atto una scena pietosa nella speranza di scagionarsi da un’eventuale  accusa di omicidio.

Il commissario di polizia che lo interroga sul posto, rimanendo fortemente colpito da questa ipocrita recita, comincia a dubitare che i due potessero avere una relazione e, ridendo, lo getta in faccia all’omuncolo, il quale, stizzito come suo solito, negherà quello che già dentro di sé in realtà teme.

Il film finisce nel solito parco dove il personale della emittente TV è solito andare durante le telefonate bombarole tipiche di questa società marcia. Sono proprio queste scene nel parco a puntare maggiormente il dito su quanto l’umanità si sia ridotta ad una puerile massa di adulti che sono in realtà adolescenti mai cresciuti.

Nell’ultima scena, l’innominato aprirà una busta che Gualtiero gli ha lasciato, sulla quale c’è scritto “da non aprire” e la quale contiene altre buste a matrioska con la stessa dicitura e alla fine una serie di biglietti con sempre scritto “da non aprire”, che innominato/umanità cercherà di buttare via e in seguito ad un ripensamento, raccogliere, come ultima risorsa per ritrovare sé stesso/a.

La citazione simbolica è ancora al famoso memoriale di Aldo Moro, già citato nel finale della sua opera precedente, ‘Todo Modo’, che fa capire che molto probabilmente ci troviamo davanti al secondo capitolo di una trilogia della quale il suo incompiuto “Chi illumina la grande notte” era il capitolo finale che, forse, mai vedremo.

Petri con il cast

Il comparto recitativo è eccellente: troviamo un Giannini in grande spolvero, un Bonacelli perfettamente in parte, il simpatico Ninetto Davoli in un ruolo molto marginale e un esilarante Franco Javarone nel ruolo del commissario.

Il misterico lato femminile si avvale di una giovane Angela Molina, già molto brava, nella parte di Fedora, la giovane moglie dell’innominato, Aurore Clément, eccellente nel ruolo di Ada, moglie di Gualtiero e una sorprendente ed affascinante Ombretta Colli nel ruolo della Tignetti, collega del protagonista. Si registra una apparizione della giovane e attraente Ritza Brown nel ruolo di Benedetta, amica di Fedora.

Venne proposto un ruolo anche a Giorgio Gaber, il quale rifiutò proponendo invece di prendere, appunto, la moglie Ombretta Colli.

Giancarlo Giannini è l’innominato

Angela Molina è Fedora

Paolo Bonuccelli è Gualtiero

Aurore Clément è Ada

Ombretta Colli è Tignetti

Di tutti i film di Petri, questo è sicuramente il suo più triste e sconsolato atto di denuncia, arrivato quasi in punta di piedi alla fine di una grande carriera dedicata al denudare l’umanità dalle ipocrisie e dal provincialismo e perbenismo cattolico.

Dopo la lucida ma arrabbiata analisi attuata nel precedente Todo Modo, scintillante pur nel suo essere profondamente ammantata di gesuitica oscurità, in Buone Notizie, come accade al suo protagonista, sembra non riuscire a trovare pace e non vede una possibile soluzione a questa società marcia e contorta nell’intimo.

I fiumi di immondizia presenti ovunque, strade, parchi, marciapiedi, lungo il tevere e sulle spiagge, sono il più chiaro e ovvio simbolo di quello a cui l’umanità si sta riducendo e allo stesso tempo sono il simbolo di malagestione che i personaggi alla guida della nostra società ci stanno imponendo da anni, annichilendo l’animo umano, costretto a questa immagine di marciume e bruttura.

La figura femminile è rappresentata come una sorta di scultura modiglianesca che, con un misterioso sorriso giocondiano (e senza astenersi dallo sferrare qualche salace giudizio critico), contempla la puerilità di questa umanità resa folle da preconcetti e ingegneria sociale, quelle armi che l’umanità stessa tollera e si autoinfligge per continuare a servire un ridicolo ordine sociale che non ha alcun altro scopo che rovinarla.

Con questo suo ultimo disperato atto di amore, Petri, spera di risvegliare l’umanità da questo sordido torpore di comodo, prima che arrivi all’inevitabile autodistruzione alla quale stiamo assistendo proprio adesso, in questo preciso istante.

Giannini e Petri

Trailer del film “Buone Notizie”

hanno cambiato faccia

…hanno cambiato faccia – 1971

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

Cade quest’anno il cinquantesimo compleanno di questo incredibile film, altrettanto incredibilmente e ingiustamente dimenticato.

The Boss

Corrado Farina tra Giuliano Disperati e Geraldine Hooper

E’ capitata l’occasione, dopo tanti anni, di poter nuovamente visionare questa particolare pellicola di Corrado Farina, che contiene un messaggio urgente ed attuale, e ci siamo sentiti talmente chiamati in causa da avere la necessità di recensirlo per contribuire a dargli la visibilità che merita.

E’ un lavoro che si snoda attraverso un preciso utilizzo della simbologia e un uso peculiare della macchina da presa e delle tesissime musiche dell’ottimo Amedeo Tommasi di Avatiana memoria (purtroppo recentemente scomparso), che saranno anche fonte di forte ispirazione del futuro cinema “argentiano” (I Goblin prenderanno a piene mani).

Durante tutto il film viene urlato, con urgenza, un messaggio inquietantemente sempre più attuale: attenzione al potere della tecnologia che, vista come un mostro, irretisce e intimorisce l’uomo, rendendolo suo succube e estinguendo in lui ogni spirito di autocoscienza, critica e ribellione.

Data la natura del film, è impossibile non fare anticipazioni sulla trama, perciò consigliamo caldamente di visionarlo e tornare in seguito su questo articolo, per confrontare le proprie opinioni con le nostre.

Trama:

Il dr. Alberto Valle, (Giuliano Esperanti, alias Giuliano Disperati), impiegato dell’importante Auto Avio Motor, viene convocato dal presidente dell’azienda e invitato a recarsi presso la villa del proprietario, l’ing. Giovanni Nosferatu (Adolfo Celi).

Giunto nella località rurale che circonda la dimora, Valli incontra Laura (Francesca Modigliani), una hippy che viaggia senza meta precisa, alla ricerca di esperienze che la portino lontano dalla quotidianità.

Una volta arrivati alla villa, Laura decide di attendere il suo accompagnatore in automobile, mentre quest’ultimo si reca all’incontro con il magnate. L’atmosfera, che già nei dintorni del villaggio appariva sinistra, all’interno della tenuta di Nosferatu diventa ancora più gravosa e opprimente.

Lungo il viale d’ingresso, Valle viene scortato da due Fiat Cinquecento bianche, guidate da strani uomini che non rispondono alle sue domande. Varcata la soglia della casa, trova ad attenderlo l’algida segretaria personale dell’ingegnere, Corinna (Geraldine Hooper).

Il successivo colloquio con Nosferatu porta con sé delle grosse sorprese: l’uomo d’affari propone infatti a Valle di diventare il nuovo presidente della compagnia, e per questo lo invita a trattenersi alla villa affinché maturi la propria decisione.

Gli eventi si susseguono a ritmo incalzante, e Alberto si ritrova coinvolto in una strana ma coinvolgente relazione con Corinna. Tuttavia, durante alcune solitarie perlustrazioni fa una scoperta inquietante…

Le Cinquecento che, usate come cani da guardia, pattugliano la villa, sono un’ovvia metafora della classe operaia resa ottusa e sensorialmente deprivata per servire il padrone tradendo la propria anima e la propria individualità.

Stessa cosa che accadrà al protagonista, nel momento in cui sceglie di abbandonare la propria purezza – qua simbolizzata da Laura (L’ Aura, con anello di ametista), la giovane ragazza incontrata per strada – per varcare il cancello di villa Nosferatu, accettando il richiamo e la corruzione del potere e poter scoprire “quanto è profonda la tana del Bianconiglio”.

Disperati non sarà forse un attore perfetto ma riveste bene il ruolo e la sua mimica facciale rende bene la parte di un uomo alle prese con un dilemma di vitale importanza, la Hooper incarna perfettamente l’algida e filiforme Corinna, personaggio enigmatico ancora più dello stesso Nosferatu. Celi, al solito, è solidissimo in un ruolo perfetto per lui.

Giuliano Disperati è Alberto Valle

Geraldine Hooper è Corinna

Francesca Modigliani è Laura

Adolfo Celi è Giovanni Nosferatu

Farina sfrutta totalmente la propria esperienza in campo pubblicitario ed evita efficacemente di finire racchiuso nel film di genere, sfruttandone al contempo efficacemente l’onda per urlare il suo messaggio al mondo.

Nonostante ciò, la vena gotica che pervade il film finirà per influenzare profondamente proprio quello che è considerato il più famoso dei registi italiani del film di genere.

Inoltre, la freschezza delle idee trattate pare addirittura precorrere i tempi per sposarsi bene agli attuali, quasi una ‘premonizione’.

Una sequenza eccellente mostra una serie di bambini in culla e un enorme registro dove si leggono i nomi e i “destini” dei bimbi presenti e passati. Lì Alberto trova il proprio nome e una sua foto da bambino con la previsione che sarebbe diventato Presidente della Auto Avio Motor.

Nosferatu alleva i figli prediletti perché nel futuro ricoprano un ruolo alle sue dipendenze, mantenendone un assoluto e stretto controllo, tentando di impedire loro il libero arbitrio. Questa immagine è logicamente estendibile a tutti gli italiani, dei quali il destino, che ne siano coscienti o meno, è quasi sempre deciso da “altri”.

E’ immediata l’associazione del personaggio dell’ingegner Nosferatu con una ben nota figura dell’industria automobilistica di allora ma è, al tempo stesso, ancora più in sintonia con i tempi correnti.

La seduta del consiglio di amministrazione è un capolavoro di sottile ironia, perché al tavolo di Nosferatu siede ogni tipo di potere, persino quello ecclesiastico.

La parte metafilmica dei caroselli non è solo esilarante ma perfettamente al passo con i tempi odierni.

Ci troviamo insomma davanti ad un piccolo art-film che ha però il pregio di parlare in faccia ed essere quindi fruibile da chiunque.

Celi, Farina e Disperati

Corrado Farina nel carosello LSD

Dal punto di vista estetico, i canoni del tempo sono ben rappresentati da complementi di arredo in stile Space Age, tra cui le splendide lampade Platea Artemide disegnate da Ferrari-Mazzucchelli-Tartaglino, che si mischiano con elementi più classici, conferendo un’atmosfera algida alla pellicola, atmosfera dove i colori vengono mantenuti su tenui tinte pastello tranne che per qualche studiata rottura improvvisa con colori accesi (vedasi il maglione giallo, simbolo di conoscenza e intelletto, del Disperati nelle scene diurne in esterni e nella cripta).

Tre splendide lampade Platea di Artemide, ad adornare il soggiorno

Singolari l’inserimento di continui jingle pubblicitari interattivi che entrano in funzione nel momento in cui si utilizzano oggetti all’interno dei locali della villa e i pasti a base di cibi fluidificati, definiti ‘socialismo gastronomico’ e volutamente resi privi di forma e sapore, perché possano evitare di evocare inutili piaceri che si tradurrebbero in energie sprecate invece che utilizzate a fini ‘produttivi’.

Il ‘socialismo gastronomico’ di Nosferatu

Cinquecento da guardia

Come già accennato, Argento prenderà molto da questo film, dalle inquadrature e movimenti di camera (specialmente durante le esplorazioni per i corridoi e nella cripta), alle musiche, dalle luci-colori-scenografia della scena in cui Nosferatu suona il pianoforte di spalle e persino l’utilizzo della Hooper come caratterista per il personaggio dell’androgino Massimo Ricci in Profondo Rosso.

E’ impressionante quanto la scena del ritrovamento del registro dei ‘predestinati’, durante l’esplorazione dei corridoi, ricordi Suspiria (ma anche Inferno) per musiche ed accadimenti ma ovviamente non può non richiamare alla mente anche la celebre scena dei campi di coltivazione degli umani in Matrix.

Le culle dei predestinati

Il registro dei predestinati

Alcuni degli ‘slogan’ lanciati come mantra diabolici durante il film:

‘Gli uomini, li obblighi a lavorare e ti dicono grazie’

‘pubblicità e sesso’

‘Alice nel paese del consumo’

‘La vendita delle indulgenze’

‘La futura occupazione di tutti i bambini è di essere consumatori specializzati’

‘Ritorno alla culla’

‘Psicoseduzione dei bambini’

‘Reclutamento di nuovi consumatori’

‘La regia del consenso’

‘Come si coltiva l’ottimismo’

‘Il consumatore và aggredito quando meno se lo aspetta, nell’intimità del soggiorno, della cucina, della camera da letto’

‘Narcisimo di massa’

‘Attacco all’inconscio’

‘I capricci del consumatore’

‘La materia su cui lavoriamo è la sostanza stessa di cui è fatta la mente umana’

‘I simboli del prestigio’

‘Gli ami vengono calati’

‘L’anima in scatola’

Incredibilmente, il film di Farina venne osteggiato proprio da quella sinistra liberista che avrebbe dovuto abbracciarlo ed eleggerlo a proprio baluardo e, contro ogni ovvietà, scelse invece di snobbarlo e addirittura stroncarlo apertamente dalle pagine de L’Unità con una recensione che lascia a bocca aperta:

«Diremmo che per un’opera prima essa si mostra nell’insieme terribilmente datata con tutti i vezzi paraintellettuali che ostenta, con tutte le compiaciute “citazioni” del cinema di periodi gloriosi tipiche degli incanagliti frequentatori di cineclub, con tutto l’armamentario apparentemente dissacratorio di miti e di presenze del nostro tempo contro i quali, se si vuole davvero averne ragione, occorrono ben altre energie, ben altra lucidità, ben altro coraggio che non le funamboliche e puerili metafore di Hanno cambiato faccia»

«Spiace dire parole così severe per un’opera prima quale quella di Corrado Farina ma il fatto è che in essa l’apparente carica di azione eversiva si tinge di tali e tante corrive banalità contro le quali secondo noi sarebbe colpevole restare indifferenti o peggio acquiescenti» – Sauro Borelli, Mediocrità variabile al XXIV Festival di Locarno, in L’Unità, 10/08/1971.

Di ben altra opinione furono al Festival di Locarno di quell’anno dove, il film vinse il Pardo d’oro come opera prima.

Corrado Farina con il Pardo D’oro

Chiudiamo con le ottime parole di Salvatore Incardona, tratte dal suo articolo sul film, e una considerazione di Corrado Farina stesso:

Salvatore Incardona:

-Non ci dilungheremo su quali rovinose conseguenze ebbe all’epoca un certo tipo di commenti, ma è facile immaginare come tale ostracismo finì per condizionare il giudizio del pubblico (specializzato e non), impedendo così alla pellicola di ricevere un’adeguata distribuzione. Anzi, a frenarne sul nascere ogni possibile diffusione su larga scala arrivò anche il blocco della censura che appose un arbitrario quanto incomprensibile V.M. 18.

E a tal proposito non possono che risultare emblematiche le parole rivolte da Giovanni Nosferatu al proprio dipendente Alberto Valle dopo la proposta di mettere lui a capo di una delle società: «Lei sta pensando che questo discorso sia sproporzionato rispetto all’offerta che le faccio. Ma non è così. Io non possiedo soltanto un certo numero di fabbriche, di aziende, di grandi magazzini. Possiedo anche giornali, partiti politici, gruppi di opposizione».

A quasi cinquant’anni di distanza, a noi rimane comunque un’opera audace, preziosa, alla quale si può rimproverare forse qualche leggera pecca di regia – dovuta più che altro al limitatissimo budget a disposizione [Cfr. Corrado Farina, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono (a cura di), Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001. ] – ma che nell’insieme appare come un magma di fantasia e simbolismo, di reale e irreale, di narrazione avvincente e di critica impietosa che costituisce il suo carattere specifico e il suo miglior pregio.-

Corrado Farina:

-Non ho cambiato il mio punto di vista. Se non altro, è ancora più negativo. Considero ancora un certo tipo di pubblicità – quella che persuade o manipola, piuttosto che informare – come un volano per spingere gli esseri umani in direzioni forse utili e positive dal punto di vista economico, ma pericolose e sbagliate da un punto di vista etico e sociale. Come potrebbe dire Erich Fromm, crea un focus sull ‘”avere”, piuttosto che sull’ “essere”.-

Scheda Tecnica

… HANNO CAMBIATO FACCIA (1971) DI CORRADO FARINA

Anno 1971

Durata 97 min

Genere Fantastico – Horror – Satirico

Regia Corrado Farina

Soggetto Corrado Farina

Sceneggiatura Corrado Farina, Giulio Berruti

Casa di produzione Filmsettanta

Fotografia Aiace Parolin

Montaggio Giulio Berruti

Musiche Amedeo Tommasi

Interpreti e personaggi

Giuliano Esperati (Disperati): Alberto Valle

Adolfo Celi: Giovanni Nosferatu

Geraldine Hooper: Corinna

Francesca Modigliani: Laura

Doppiatori italiani

Renato Turi: Giovanni Nosferatu

Benita Martini: Corinna

Rassegna Stampa

Il trailer del film “…HANNO CAMBIATO FACCIA”

Corrado Farina era una persona poliedrica e si è occupato di molte cose. Sono interessanti i suoi corti e gli spot, che si possono trovare facilmente online, sono interessanti i suoi libri e gli altri suoi lavori. Si consiglia una visita alla sua pagina web.

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I Due Mondi Di Kevin (Didn’t You Hear…?) – 1971

By Cinema, Personaggi StoriciNo Comments

KARL KROGSTAD è venuto a mancare esattamente un anno fa.
Nell'occasione dell'anniversario del suo passaggio ad un'altra dimensione, vogliamo fargli omaggio di questo articolo, con il quale viene ufficialmente inaugurata la sezione cinema di Classic2vintage.

The Boss

Karl Krogstad

Vi chiederete chi fosse il signor Krogstad. Ebbene, non solo era uno dei registi/sceneggiatori indipendenti più stimati della scena di Seattle ma è stato, appunto, lo sceneggiatore e regista de “I due mondi di Kevin” (Didn’t you hear…?).

Adesso vi chiederete cosa sia “I due mondi di Kevin”…va bene, basta con questo giochetto: si tratta di uno dei film più particolari e difficili da reperire.

Tanto per iniziare ha una storia travagliata: dichiarato come uscito nel 1983, risale in realtà al dicembre 1970 e uscì in contemporanea in alcune sale del circuito di Seattle il 24 febbraio 1971, proprio in coincidenza di una tremenda tempesta di neve, così che venne visionato solo da uno sparutissimo gruppo di persone.

Pare in seguito sia stata programmata una più vasta distribuzione nelle sale attraverso la Futurama International per il luglio 1972 ma in realtà non sono state reperite prove di ulteriori proiezioni oltre a quelle di Seattle.

La Skip Sherwood Productions rinnovò il copyright nel 1983 (motivo per il quale gli è stato erroneamente assegnato l’83 come anno di uscita) e il film iniziò i passaggi tv in tarda serata, cominciando finalmente a raccogliere un suo seguito di fan.

Venne poi riedito nel 1985 in VHS dalla American National Enterprises (A.N.E.) Home Video/Prism Entertainment, in tiratura talmente bassa che è molto difficile da trovare anche negli Usa.

Non è nemmeno chiaro se sia stata prodotta una versione DVD o meno.

Insomma, il classico film fantasma, del quale forse si sono perse le tracce…se non fosse che Classic2vintage possiede quella che sicuramente è l’unica copia in italiano esistente in VHS, pazientemente registrata oltre 25 anni fa durante un passaggio tv.

Ed è anche di qualità più che accettabile.

Sinceramente non sappiamo nemmeno come sia possibile che esista un’edizione italiana di questo film.

E dopo aver fatto un po’ di cronistoria, andiamo adesso a parlare del film stesso.

In un’epoca nella quale il cinema psichedelico e sperimentale era cosa all’ordine del giorno, si pensò di lanciare Didn’t You Hear come “il primo film con colonna sonora totalmente elettronica! Sperimenterete suoni e sensazioni che non avete mai avuto prima“.

Della composizione della soundtrack, appunto, si occupò lo specialista in elettronica Mort Garson, operandola con il suo Moog modulare, mentre oggetto/sceneggiatura e regia (erroneamente attribuita al produttore Skip Sherwood) furono opera del nostro signor Krogstad.

Copertina del vinile

Mort Garson

Ma di cosa tratta il film?

Dunque, Kevin è uno studente del college con un’elevata sensibilità e con parecchi problemi a confrontarsi e vivere a contatto con i propri coetanei.

In pratica quello che oggi verrebbe facilmente liquidato come nerd sociopatico: estremamente timido e con una grande difficoltà a rapportarsi con l’altro sesso, vive in pratica quella difficile situazione nella quale una persona si trova ad essere quando è più matura e sensibile rispetto alla propria età fisiologica.

Impossibilitato a legare con gli altri nella realtà, si rifugia in sogni psichedelici ad occhi aperti dove lui e i compagni di classe (gli amici che non riesce ad avere nella realtà) si impadroniscono di un veliero abbandonato a pochi metri dalla riva, lo battezzano Regina di Saba e giocano alla vita dei pirati, solcando in lungo e in largo un arcipelago di isolette (principalmente Lopez Island e le San Juan Islands).

In questi viaggi, infarciti di dialoghi e considerazioni filosofiche interessanti e simboliche (“perchè gli umani ad un certo punto della vita smettono di giocare?” – ci stanno derubando della nostra individualità), incontrano gli abitanti delle isole e ne nescono situazioni spesso surreali e colorate.

E’ questa la parte degna di nota del film, assieme alla fotografia psichedelica e alle gestualità rituali e votate al simbolismo.

Per quanto riguarda invece la parte “reale”, girata nel campus della Washington University, è sicuramente prevedibile ma serve appunto come efficace preambolo di lancio per la parte onirica.

Krogstad si occupò anche della fotografia ed è piuttosto chiaro che il progetto gli stesse parecchio a cuore. Il risultato non è affatto male, la colonna sonora di Garson, ricca di sonorità particolari e atmosfere vintage, è sognante e psichedelica e si sposa ottimamente alle immagini surreali delle avventure che i novelli pirati psichici vivono tra le isole.

Passiamo al comparto recitazione: Kevin è interpretato da un giovanissimo Dennis Christopher, caratterista super prolifico e protagonista di alcune pellicole di culto come All American Boys e Dissolvenza in Nero (Fade to Black), probabilmente però in Italia il suo ruolo più famoso è quello di Eddy Spaghetti nella prima, ottima, versione di IT realizzata da Tommy Lee Wallace e Larry Cohen.

James, unico amico di Kevin nel mondo reale, è il noto Gary Busey e Paige, compagna dei sogni di Kevin, è l’affascinante Cheryl Waters, qua al suo debutto.

Dennis CHristopher

Gary Busey

Cheryl Waters

L’unico trailer reperibile è però virato sulle scarse scene d’azione presenti e non rende quindi un’idea reale del film.

Trailer del film

“I due mondi di Kevin” è una pellicola che, tutto sommato, conserva una buona freschezza e tiene vivo l’interesse alla visione e al suo messaggio giovanile che in realtà vale per tutte le età.

Il parere di Classic2vintage è che il film meriti la visione; l’augurio, a questo punto, è di riuscire a trovarlo.

Recensione del film alla prima