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Nomads (1986) – N’y sont pas… sont des Inuat!

By Cinema2 Comments

«N'y sont pas... sont des Inuat!»
«Non ci sono... sono degli Inuat!»
Questa è la frase che tormenta durante la visione di "Nomads", film che segna l'esordio di John McTiernan alla regia e di Pierce Brosnan come protagonista.

Lorenzo

E’ curioso come molti registi famosi abbiano avuto i loro natali cinematografici con il genere fantastico (horror) e John McTiernan non fece eccezione, occupandosi anche della sceneggiatura, che ricavò da un racconto di sue anni precedente della romanziera Chelsea Quinn Yarbro, già autrice di una novellizzazione della sceneggiatura dell’oscuro film“Morti e Sepolti”, scritta da Dan O’Bannon e Ronald Shussett per il film omonimo diretto da Gary Sherman nel 1981.

«N’y sont pas… sont des Inuat!»

Nomads è una storia di persecuzione.

Nelle credenze Inuit è presente la figura dell’Inuat o Innuat (Possessore o Dominatore), uno spirito o forza spirituale che pervade ogni essere vivente, sia animale che vegetale o comunque facente parte della natura come laghi, montagne, mare e sarebbe assimilabile al concetto di Mana, l’energia vitale che si può accumulare in combattimento, con la sapienza e mangiando un nemico.

Nella visione fantasy holywoodiana di Yarbro, tradotta in immagini da McTiernan, l’Inuat assume una caratteristica demoniaca negativa, diventando un’entità che prende aspetto umano per entrare in contatto con i viandanti delle infinite distese desertiche di ghiaccio e tormentarli fino alla pazzia, portandoli alla morte per poi assumerne le sembianze.

«I nomadi vivono nel deserto, che si tratti di una distesa di sabbia o di ghiaccio non fa nessuna differenza.

A quanto pare gli eschimesi passano la vita a vagabondare sul ghiaccio e gli inuat sono degli spiriti malvagi che, stando alla leggenda, sono capaci di assumere sembianze umane. Abitano in posti in cui siano successe delle disgrazie e rendono pazzo qualunque essere umano entri in contatto con loro.

E’ solo una leggenda naturalmente ma anche nel 20° secolo gli antropologi hanno notato che gli eschimesi sono molto cauti quando gli si avvicinano degli sconosciuti sul ghiaccio.»

In Nomads gli inuat hanno assunto l’identità di vagabondi punk.
Delinquenti che vivono al margine e che, ignorati dal resto del mondo, si muovono ovunque gli aggradi a seminare violenza, tentando di attirare l’attenzione di qualche persona abbastanza sensibile da notarli in mezzo alla monotona piattezza della matrix/vita nella società occidentale moderna che, intontita dalla tecnologia, si è resa insensibile e cieca perfino all’essenza del male.

Dopo aver girato il mondo per studiare le popolazioni nomadi, ad un certo punto Pommier, un antropologo franco-canadese, si trasferisce in pianta stabile con la moglie a Los Angeles per insegnare in un college e “caso” vuole che prenda come abitazione una villetta costantemente al centro dell’attenzione di una banda di delinquenti che fa di tutto per attirare l’attenzione del nuovo arrivato tramite atti vandalici e lasciandogli messaggi offensivi di sfida e indizi delle loro malefatte.

Pommier logicamente è di natura un personaggio curioso e, avendo egli stesso una forte tendenza alla vita nomade, viene immediatamente ossessionato dal desiderio di osservare questi “esseri che vivono al di fuori di ogni struttura”.

Quindi, armato della sua fida Nikon, parte alla ricerca della banda per poi pedinarla e osservarla ininterrottamente per due giorni nelle loro inarrestabili scorribande.

Ad un certo punto finirà però per attirare la loro attenzione e, come da manuale, i giochi si invertiranno, facendo scivolare l’antropologo nella tela del ragno che lo condurrà verso la follia.

Noi assistiamo alla sua vicenda attraverso la dottoressa che lo prende in cura al pronto soccorso all’inizio del film, anche lei neoarrivata in città e che viene morsa da lui in un eccesso di follia, assumendone così i ricordi che rivivrà sotto forma di allucinazioni sempre più forti e prolungate, tanto da farle perdere il contatto con sé stessa e la realtà, fino a rischiare di scivolare anch’ella nella pazzia.

Nomads è condotto con maestria dal giovane Tiernan, che fa sfoggio della sua abilità tecnica sperimentando tramite inconsueti movimenti di camera che passano dal ralenty alla velocità improvvisa e mischiando una fotografia di gran gusto, con l’uso di filtri artistici, a inquadrature distorte e deliranti, in un montaggio spezzato di scene che spesso saltano di palo in frasca coinvolgendo e confondendo volutamente lo spettatore per incutergli un forte senso di estraniamento.

Nomads agisce come gli Inuat, colpisce e permane a lungo… a tutt’oggi rientra tra i film preferiti del sottoscritto, quelli che tendo a riguardare molto spesso.

La scrittura è molto particolare, McTiernan crea un film intimista parlando della vita di coppia di Pommier e al tempo stesso inserendo richiami tribali nel contesto della jungla metropolitana. Fa utilizzo di simboli e anche di numerologia. E’ perfino riuscito ad inserire in qualche modo, sempre funzionale al racconto, una scena in stile gotico che omaggia lo splendido “I Diavoli” di Ken Russell e i film italiani di genere degli anni 70.

Tutto questo avviene attraverso l’uso sapiente di un’ottima fotografia che passa dai toni caldi al gelo metropolitano e una direzione degli attori che richiama il cinema punk lisergico di inizio anni 80, risultando in un lavoro immersivo e che possiede tutti i pregi che un ottimo film, colto ma tensivo al tempo stesso, ha sugli spettatori sensibili e attenti, coinvolgendoli in un mix di forte curiosità, alternando momenti di stress e rilassamento apparente che mantengono viva l’attenzione e l’empatia verso il personaggio dello sventurato Pommier.

Un buon contributo è dato dal contrapporsi del bel tema malinconico di Bill Conti alla chitarra acida e ossessiva di Ted Nugent, che pervade le scene più aspre e anche i 3 brani “Strangers” (cantata da Dave Amato, ai tempi chitarrista-cantante della band di Nugent), “Nomads” e “Dancing Mary”, offrono una buona colonna sonora, nervosamente adeguata alla tensione emotiva.

Ottima la scelta dei tre protagonisti, Brosnan (qua al suo debutto come protagonista in un film), la Down e la Monticelli, che partecipano con impegno e sentimento, rendendo interpretazioni credibili ma anche tra gli inuat troviamo volti noti ai tempi come Adam Ant, l’impressionantemente adrogina Mary Woronov, la cantautrice Josie Cotton e si intravede anche l’ormai scomparso Frank Doubleday, storico Romero e “Street Thunder” di carpenteriana memoria.

Una menzione va alla caratterista Jeannie Elias, interprete di Cassie, collega e amica della Down, che si distingue in una scena fondamentale del film che potete vedere nel video qua sotto.

Un’altra particolarità del film è l’auto di Pommier, una italianissima Fiat 131 Super Brava 2000 USA, scelta non comune e non spiegabile nemmeno come sponsorizzazione, dato che la 131 era ormai arrivata a fine produzione nel 1985.

Nomads è un inizio notevole per il regista McTiernan che, grazie a questo film come curriculum, già l’anno seguente debutterà nella serie A di Hollywood con il super classico Predator per poi proseguire una carriera di successo con Caccia a Ottobre Rosso e Die Hard.

«Hai mai fatto un sogno senza sapere com’è iniziato? Il vecchio Diatvak raccontava di quanto sia pericoloso andare troppo lontano, a caccia, da soli, sul ghiaccio… e di come uno non capisca più che cosa è… vero…
Ci siamo allontanati troppo da casa, sai… tutti noi. Ci siamo allontanati troppo da casa.»

TRAILER DEL FILM

Nomads (USA, 1986)

Durata: 93 min e 92 sec
Rapporto: 1,85:1
Genere: thriller, orrore
Regia: John McTiernan
Sceneggiatura: John McTiernan
Produttore: George Pappas, Cassian Elwes
Produttore esecutivo: Jerry Gershwin
Distribuzione in italiano: Titanus Distribuzione
Fotografia: Stephen Ramsey
Montaggio Michael John Bateman
Musiche: Bill Conti
Scenografia: Marcia Hinds

Interpreti e personaggi:

Lesley-Anne Down: Eileen Flax
Pierce Brosnan: Jean-Charles Pommier
Anna Maria Monticelli: Niki
Jeannie Elias: Cassie
Adam Ant: Number One
Mary Woronov: Dancing Mary
Nina Foch: Agente immobiliare
Hector Mercado: Ponytail
Josie Cotton: Silver Ring
Frank Doubleday: Razors
Michael Gregory: Agente

does it really happen

Does It Really Happen? …Yes!

By Cinema, Musica, Narrativa e saggisticaNo Comments

VUOI IMPORRE UN CONCETTO?

  • Scrivi un testo che esplichi il concetto in maniera semplice e diretta, studiando bene le frasi e le parole che vuoi impiantare nella mente.

  • Crei una musica emotivamente esplosiva, possibilmente suonata e prodotta in maniera innovativa, così da attirare l’attenzione e calamitarla, aprendo i canali ricettivi.

  • Ci innesti sopra il testo, scandendo bene frasi e parole, ripetendole ad hoc nei punti giusti.

  • Appoggi il tutto su una sequenza di immagini martellanti ben precise  e con un grosso appeal:  “libertà”, bei visetti e sesso aiutano sempre.

  • monti sequenze brevi e veloci con colori forti, possibilmente con flash e sequenze stroboscopiche e…

Adesso l’attenzione è tutta tua ed ecco che hai creato l’imprinting
per una o più generazioni

Come dici, “è solo la musica dagli anni 80 ad oggi“?

NO, è MARKETING

ma…

Testo

That’s what you say
Does it really happen to you
Does that explain
This is the season for this display.
To take a look
In time to move together
Time is the measure before it’s begun
Slips away like running water
Live for the pleasure, live by the gun
Heritage for sun and daughter
Down to the slaughter up for the fun
Up for anything.
Could this be true
Does it ever happen to you

And can you prove
That wheels go ‘round in reason
You take a step
In time,
To move together
Time is the measure before it’s begun
Slips away like running water
Live for the pleasure, live by the gun
Heritage for sun and daughter
Down to the slaughter up for the fun
Up for anything.
You walk, the way

You take, the path
To be, assured
You draw, a graph
The scale, you use
Is all, on black
Be brave, the weight
Will make, the heat
There is, no way
To take-it back.
Time is the measure before it’s begun
Slips away like running water
Live for the pleasure, live by the gun
Heritage for sun and daughter
Down to the slaughter up for the fun
Up for anything.

Aster

Beau o I Dolori del giovane Aster

By CinemaNo Comments

L'ultima fatica di Ari Aster potrebbe essere il perfetto capitolo finale di una sua virtuale “Trilogia della condizione umana nel nuovo millennio” o di come possa essere difficile conservare traccia di sanità mentale nell’escalation di pazzia che la sta travolgendo.

The Boss

Si narra che le pene d’amore nascano nel 1774 con l’uscita del romanzo I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe, sua opera giovanile simbolo dello Sturm und Drang e che precorre di poco il romanticismo tedesco.

 

Si narra che il libro fosse maledetto e che qualcosa scattasse nella mente dei giovani, una sorta di cieca follia contagiosa o un comando ipnotico che li conduceva alla decisione di compiere l’insano gesto… O forse era solo imitazione modaiola da parte di annoiati ragazzotti di ricca famiglia… O forse semplicemente l’inizio del marketing e dell’influencing basato su invenzioni e menzogne.

Prima edizione del romanzo I dolori del giovane Werther

Ma analizziamo pure le connessioni con i rituali magici, o meglio i rituali di magia Nera: è ben noto agli studiosi di esoterismo (ma anche agli appassionati di letteratura e cinematografia fantastica/horror) il fatto che i rituali magici servano a creare/nutrire una egregora o forma pensiero con uno scopo ben preciso che è chiaro fino in fondo solo al creatore di questa.

E’ altresì ben noto che tale forma pensiero necessiti di esser fortemente nutrita, ragion per cui servono adepti che prestino la loro energia e volontà, non è detto però che debbano per forza essere al corrente dello scopo di tale egregora o addirittura della sua creazione/esistenza (esempio spiccio e futuristico sono i “campi dove gli esseri umani vengono coltivati” visti in Matrix).

Tali rituali nel tempo potrebbero aver cambiato faccia e assunto altre sembianze come scuole (alzi la mano chi ha pensato a Suspiria), professioni (…L’avvocato del diavolo?), corporazioni con marchi aventi simboli “magici” come logo o addirittura occasioni considerate di svago come i grandi concerti e festival che attirano enormi quantità di persone, perlopiù giovani (più si è giovani e meno saggi si è e più energia si è in grado di produrre), verso i quali si può venir adescati con un miraggio o scopo esistenziale/religioso.
Potrebbe essere facile immaginare un piccolo tempietto o sala di controllo, anche celato, nelle immediate vicinanze o nella struttura stessa (qualcuno penserà al film Quella casa nel bosco).

La miglior maniera di spremere energia da una persona è l’indottrinarla (programmarla) ad uno scopo tramite trauma, dolore, paura.

E qua mi fermo perché mi rendo conto che sto deviando dallo scopo principale che è parlare del cinema di Ari Aster e soprattutto del suo ultimo Beau ha paura, eventuale perfetto capitolo finale di una virtuale “Trilogia della condizione umana nel nuovo millennio” o di come possa essere difficile conservare traccia di essa nell’escalation di pazzia che la sta travolgendo.

Aster parla sempre di rapporti di famiglia e coppia, non parla della scuola

E questo è strano perché la scuola è un mostro sociale, la prima fonte di traumi: separazione netta dalla famiglia, indottrinamento e verifica di questo tramite interrogatori, test, giudizi perentori provenienti da docenti che più spesso instillano confusione invece che insegnare e chiarire dubbi.

La scuola è la prima esperienza con la violenza e il bullismo (spesso provenienti dall’istituzione stessa), con la divisione in classi sociali e l’esclusione dalla vita di gruppo.

Non è un caso che il malessere degli anni di scuola non lo dimentichi mai nessuno e che il suo imprinting si spinga fino al sognare interrogazioni, esami e altre situazioni spiacevoli e/o trascinarsi certi traumi anche nella vita adulta anche per molti anni.

Oggi tutti parlano della scuola, molto in male e poco in bene, basta che se ne parli, che si distrugga la scuola come istituzione, o meglio il concetto originale con cui è stata istituita: fornire gli strumenti per formare e accrescere la propria cultura. Questo e non altro.

Aster invece la scuola la aggira, lui parla della famiglia, della coppia, della madre.

Ari Aster

La visione asteriana della famiglia

Ari Aster è uno dei pochi davvero interessanti nel mainstream oggi, un ragazzo notevolmente dotato sia come soggettista/sceneggiatore che come regista di gran livello tecnico.

Che Aster (o chi per lui) non facesse prigionieri lo si era capito fin dal debutto Hereditary, dove analizzava la famiglia odierna paragonandola ad una figura malata e maligna: una matrigna che si muove attraverso trame demoniache ben coadiuvate dalla porzione femminile che, ormai malata di un’ingombrante ego ipertrofico, si sente l’unica parte irrinunciabile dell’equazione, calpestando come uno schiacciasassi ogni figura maschile, che sia la metà “donatrice” della famiglia o il suo “prodotto”.

E nel caso dei figli non si fa problemi a calpestare anche il femminile.

Il secondo film asteriano, Midsommar, analizza il mondo femminile odierno attraverso il distorto punto di vista femminista e wiccano della questione, costantemente nutrito da un ipocrita e strumentale vittimismo strisciante che si spinge fino a ribaltare ogni logica e verità.

E’ un film gonfio e pesante, anche noioso (la tipica sindrome del capitolo centrale delle trilogie) costantemente pervaso da un’atmosfera malata e ben descrittivo anche della situazione scandinava.

Aster/Beau

In Beau invece, a chiudere questa sorta di trilogia “asteriana”, viene analizzato il punto di vista maschile ed è ovvio che nella società degli anni 20 del 2000 sia anche il più sofferto e che necessita i suoi tempi.

E’ un film che tutti dovrebbero guardare ma che oggettivamente potrà essere capito fino in fondo solo dagli uomini.

Esagerata la metafora della società?
No, tanto da non essere affatto una metafora ma pura descrizione della realtà odierna: un incubo.

Esagerata la figura della ragazzetta Toni?
No, è esattamente la condizione mentale della femmina new generation: instabile, violenta, manipolatrice e ricattatrice.

Esagerata la figura della madre folle dall’egoistica possessività, manipolazione e impositività?
No, tanto da essere addirittura sottotono, pietosamente contenuta verso la figura materna follemente esaltata dalle correnti femenwoke di oggi.

Però il finale pesta a tavoletta sulla criminale colpevolizzazione messa in atto contro il maschio bianco fin dalla nascita (il film è ovviamente “BLM safe”) anche dai vari conniventi (la scena finale , che cita The Truman Show, con l’accusa criminalmente traditrice maschile mentre la madre osserva compiaciuta – un grosso parallelo con la Mother del The Wall di watersiana memoria).

Joaquin Phoenix è Beau Wessermann

“Non ci sono più gli uomini di una volta”

Aster è ben chiaro: il maschio viene sacrificato dalla società perché senza il maschile la figura della famiglia soccombe sotto lo strapotere del femminile lasciato a sé stesso e inconsapevolmente sofferente di questo.

Dal Peter di Hereditary, al Christian di Midsommar fino a Beau, i maschi moderni di Aster sono degli esseri svuotati della loro consapevolezza a forza di traumi e manipolazione, ridotti a dei recipienti che vengono poi forzosamente riempiti di una sorta di forma-pensiero perversamente distorta, una egregora che ha preso piede oggi in occidente: il Neofemminismo Nero.

E dopo questa preparazione, che dura anni, vengono TUTTI regolarmente SACRIFICATI.

“Non ci sono più gli uomini di una volta” è la lamentosa litania vittimista, ripetitiva e provocatoria, che da anni ci sfonda gli attributi, la forma-pensiero nera studiata da una “regia occulta” e tramandata da megafoni umani eternamente insoddisfatti pure della loro stessa ampissima “libertà” odierna, loro stessi ormai ridotti a degli automi.

Automi dissociati che per sentirsi vivi sono eternamente bisognosi di un continuo confronto bipolare e violento con una figura maschile che amano e odiano, con l’inconsapevolezza tipica di chi, non avendo conoscenza diretta col vero maschile, vive tramite un programma di memorie distorte imposto dalla regia occulta che le manovra e senza avere la minima coscienza che con il loro comportamento non fanno che contribuire a cristallizzare questa frase rendendola reale anche tramite l’egoismo con il quale interpretano il loro ruolo di madre, anche questo imposto e regolato dallo stesso programmatore esterno a loro.

In tutto questo però non hanno nemmeno coscienza del fatto che, per contro, “non esistono più nemmeno le donne di una volta”, essendo quelle di oggi nient’altro che la versione femminile esaltata della da loro tanto odiata idea di figura maschile (forma-pensiero distorta sempre derivante da programmazione esterna).

Non è un caso che in Hereditary tutte le tre generazioni femminili della famiglia perdano fisicamente e simbolicamente la testa in favore dell’entità alla quale si sono votate.

Conclusioni

Beau è un film estremamente drammatico, una sorta di pellegrinaggio dentro una mente profonda, sensibile ma disfunzionale, perseguitata da una sfortuna atroce e consequenziale: forse il vero viaggio nell’orrore più profondo.

Eppure Aster lo ha pensato come una commedia buffa e triste e quando lo riguarda scoppia ancora a ridere (lo ha fatto uscire come anteprima il primo di aprile).
Per certi versi concordo col fatto che la commedia amara della vita andrebbe osservata così, soprattutto se contiene elementi autobiografici.

Ed è probabilmente anche la via meno letale per guardare questo film che, con tutta le difficoltà che si porta dietro, si rivela un vero e proprio calvario; un lavoro interiore al quale è consigliabile prestare il massimo dell’attenzione anche nell’analisi dei simboli, tanti e sparati a raffica, perché sarà assai difficile venga voglia di soffrire una seconda volta le 3 ore dell’epopea di questo “povero cristo”, stracolma di dolore e talmente piena di messaggi da non dare scampo (e fortunatamente neppure noia).

Lavoro certosino, visionario ancora più dei precedenti e tecnicamente perfetto sotto ogni punto di vista e con grande sfoggio di recitazione da parte di Phoenix, contiene anche una bella sequenza di 12 minuti in animazione stop-motion, usanza ormai assimilabile al nuovo neorealismo americano.

Il film dentro il film, il sogno dentro al sogno.

 

Buona visione e Buon Lavoro.

“Beau Ha Paura” (Beau Is Afraid) – USA, 2023

Regia: Ari Aster
Soggetto e sceneggiatura: Ari Aster
Produzione: Ari Aster, Lars Knudsen

 

Interpreti

Joaquin Phoenix: Beau Wessermann
Armen Nahapetian: Beau da giovane
James Cvetkovski: Beau da bambino
Patti LuPone: Mona Wessermann
Zoe Lister-Jones: Mona da giovane
Amy Ryan: Grace
Nathan Lane: Roger
Kylie Rogers: Toni
Denis Ménochet: Jeeves
Parker Posey: Elaine Bray
Julia Antonelli: Elaine da giovane
Stephen McKinley Henderson: dott. Jeremy Friel
Richard Kind: avvocato Cohen
Hayley Squires: Penelope
Maev Beaty: Angelo
Julian Richings: uomo sconosciuto
Bill Hader: fattorino UPS
Patrick Kwok-Choon: eroe
Alicia Rosario: Liz
Michael Gandolfini: figlio di Beau
Théodore Pellerin: figlio di Beau

Fotografia: Pawel Pogorzelski
Montaggio: Lucian Johnston
Musiche: The Haxan Cloak
Compagnie di produzione: A24, Access Industries, IPR.VC, Square Peg

Data di uscita

1 aprile 2023 (April Fools’ Day event at Alamo Drafthouse Cinema)
21 aprile 2023 (Stati Uniti)
27 aprile 2023 (Italia)

Durata
179 minuti

Candidature e premi

Hollywood Critics Association Midseason Film Awards:

Best Actor Joaquin Phoenix (Nomina)
Best Supporting Actress Patti LuPone (Nomina)

pontypool parola

Pontypool (2008): La scomparsa della Parola

By Cinema, Narrativa e saggisticaNo Comments

Per la vostra sicurezza evitate ogni contatto con i membri della vostra famiglia ed evitate anche di usare ogni termine affettuoso come Tesoro o Amore mio. Quando parlate con i bambini evitate discorsi retorici. Per maggiore sicurezza evitate anche di tradurre questo messaggio… per favore evitate di tradurre questo messaggio.”

The Boss

Un nuovo tipo di virus che si diffonde attraverso l’uso del linguaggio appare nella cittadina di Pontypool, nell’Ontario. Le vittime perdono la capacità di dare un senso comprensibile ai discorsi, spingendole in attacchi di follia e rabbia animalesca.

Nel romanzo Pontypool Changes Everyting di Tony Burgess un’epidemia di una strana piaga, la AMPS (Acquired Metastructural Pediculosis), fa scivolare le persone di tutto l’Ontario nell’afasia e poi in una rabbia cannibalesca da zombi.

L’AMPS viene trasferito attraverso la parola e l’unico modo per fermarne la diffusione è bandire la comunicazione. Questo virus metafisico e decostruzionista richiede un approccio multidisciplinare e medici, semiotici, linguisti, antropologi e persino critici d’arte presentano teorie sulla sua origine e trattamento.

Ma Grant Mazzy, un conduttore radiofonico misantropo e fuori dagli schemi, ha una sua soluzione.

Da questo racconto, facente parte della trilogia di Pontypool, sono state tratte una versione radiofonica e una riduzione filmica, Pontypool: Zitto… o Muori!

 

Pontypool è un racconto allegorico ma molto diretto che affronta l’enorme problema della mancanza di comunicazione, della distorsione del linguaggio e della parola che di conseguenza portano distorsione dei costumi e della comunicazione non verbale, fino alla totale incomprensione tra individui e particolarmente tra sessi opposti.

 

La scomparsa della Parola, del linguaggio, della comunicazione

La parola è un potente mezzo di comunicazione e di evoluzione ergo la parola è benefica, è una cura.

Ma cosa succede se la parola viene manipolata finché da un significato bello ne assume uno brutto? Cosa succede se da carezza diventa un pugno? Cosa succede se diventa ordine dittatoriale? Cosa succede se non rispetti questo ordine eseguito da una moltitudine prona a questa dittatura?

Succede che o ti arrendi o la parola ti uccide socialmente o addirittura diventa un cancro che ti consuma lentamente in un’agonia nella quale sei costretto a non affermare mai il tuo pensiero per poter sopravvivere nella società dittatoriata.

Questa e altre allarmanti questioni vengono estrinsecate in Pontypool, un film degli anni 2000 pensato per gli anni 2000.

L’incomunicabilità, la non accettazione dell’individuo e delle sue idee, la massificazione dei modi di vivere e di pensare secondo diktat imposti alla società tramite mode, marketing, influencing becero e passivamente violento e addirittura imposizioni illegali spacciate per “leggi”: questo sono gli anni 2000.

Ma a questo siamo arrivati tramite un lungo percorso di ingegneria sociale, di rimbecillimento delle masse durato decine di anni.

 

Le origini dell’oggi

Si dice che tutto sia iniziato con lo yuppismo degli anni 80 ma a fine decennio ‘70 c’era già il seme dell’imbecillità che era ben visibile in Italia con l’esplosione della moda popolare come Benetton prima e poi Fiorucci ma anche con certo abbigliamento che proveniva da oltreoceano,

Ricordo chiaramente un giorno che sull’autobus per la scuola una tizia di un paio di anni più grande mi disse con invidia, “hai i levis, costano un casino…” e io che avevo forse 10 anni e non sapevo nemmeno cosa fossero “i levis”, tranne che avevo un paio di jeans smessi arrivati di rimbalzo da chissà quale parente.
Quel giorno lì il verme dell’imbecillità mentale derivata dai diktat distrusse questa mia “verginità” intellettiva e lo ricordo ancora con disgusto, come una profanazione mentale appunto: percepii chiaramente che l’egregora era stata creata e iniziava a nutrirsi delle masse istupidite.

Pochissimi anni dopo gli spin doctors fecero esplodere il paninarismo e lo yuppismo e fu l’inizio della fine: tramite un’organizzazione capillare che fece larghissimo uso dei media cineradiotelevisivi e la stampa, i giovani vennero sistematicamente riempiti di sciocchezze e inquadrati come militari: si veniva facilmente snobbati da coetanei che comunicavano con un linguaggio da ritardati e appiccicavano gli appellativi più cretini: si veniva discriminati e isolati fin da ragazzini se non si era dotati di una costosissima “divisa” consistente in vestiario di pessimo gusto e qualità, con alcuni marchi creati ad hoc e altri recuperati dagli USA per spingere l’americanismo sempre più a fondo.

Ed era altrettanto chiaro che esistesse già l’influencing sociale e commerciale: romanzetti e film decerebranti come “Sposerò Simon Le Bon” sono un’autentica testimonianza di quei tempi perché è tutto vero: i ragazzini erano già imprigionati in quell’ingorgo mentale e i genitori ce li tenevano, quando non ce li spingevano, perché gli anni 80 dovevano essere stupidi, sfoggiosi, sgargianti e pretenziosi: “gallisti” come i film che arrivavano da Hollywood.

La separazione sociale c’è sempre stata ma negli anni 80 divenne la cosa sotto gli occhi di tutti, accettata e spinta dalle mode e dai genitori stessi, che per dimostrare uno status sociale erano disposti anche a diventare “mangiatori di cipolle” pur di poter apparire e tentare una ridicola concorrenza col vicino abbiente.

Ovviamente insicurezza, ansia, stress e panico era diventati la quotidianità e fiumi di droghe e di alcool diventarono di uso comune poiché se non si era all’altezza di sopportare simili stress si veniva tagliati fuori dalla società.

È storia vissuta da tanti che preferiscono dimenticarlo, sia i vessati che i vessatori: alcuni dei secondi li ho rivisti anni dopo e abbassavano lo sguardo, altri semplicemente facevano finta di nulla e continuavano il loro “gallismo” sotto altre mentite spoglie e sono i distrutti dalle droghe e alcool di oggi, rimasti “vuoti a perdere” come allora e spesso genitori di altrettanti “successi umani”.

Il risultato di una tale pressione fu che il commercio andava alla grande, si, ma sulla pelle di tutti.
I giovani venivano compressi come pazzi per soddisfare le aspettative dei genitori, della famiglia, del datore di lavoro, del kapò che li torturava per farli rendere al massimo sul lavoro col miraggio della carriera: nella vita dovevi essere carico h24 ed essere sempre pronto a sbocciare senza mai un capello fuori posto, insicurezza e panico erano banditi come nemici della patria… un solo cedimento e venivi tagliato fuori.
In tutto questo la coca regnava sovrana.

A quel punto la famiglia, se avevi il tempo e la voglia di fartela, era diventata sia il motore che l’ultima ruota del carro, come la comunicazione con i figli che erano in buona parte già finiti in giri di droga pesante.
Questo erano in realtà i “brillanti e coloratissimi anni ‘80”

Gli anni 90, per quanto tristi e risibili con la loro depressione grunge, rimisero un po’ in carreggiata i cervelli ma i duemila hanno logicamente riportato l’ondata di piena dell’ottantismo decuplicata in quanto a vuotezza e stupidità disarmanti: “Sotto il vestito niente” oggi è appannaggio di tutti.

 

Stephen McHattie è Grant Mazzy

Distopia oggi

Oggi, in questi vuoti anni duemila, alcune parole hanno praticamente perso il loro vero significato, Amore è sicuramente la prima ma è certamente seguita da Fascismo e Nazismo e ormai lo sappiamo tutti come sappiamo che la massa non ha il coraggio di affermare le proprie idee e volontà perché mal tollera il confronto e soprattutto quello che viene effettuato tramite mezzucci aggressivo-passivi dal sistema, perciò preferisce arrendersi ad un indottrinamento per lo più passivo, piuttosto che “crearsi problemi”.

Il risultato però non lo si vede sugli adulti, che ancora sanno quale sia il vero significato di parole come fascismo, ma sui figli, i nipoti, i pronipoti e via così.
Perché il fenomeno va guardato in prospettiva e se già oggi appena si dichiara la propria opposizione ai diktat, persino alla follia arcobalenista che ci vorrebbe privare di una identità sessuale ed arrivare ad imporci la promiscuità, arrivando addirittura a mettere al bando la naturale eterosessualità (avviene già illegalmente nelle scuole in molti paesi del mondo tra cui il nostro), si subisce la continua martellante accusa di fascismo, ci si può immaginare cosa potrà accadere domani se i genitori non si responsabilizzano verso i propri figli.

Siamo già in una società distopica in stile Swiss Made 2069, dove la vita sociale avviene già attraverso siti “social” che sono strettamente controllati da una polizia virtuale denominata Fact Checkers che assume delatori per pochi spicci e dove degli “influencer” di dubbia provenienza fanno da opinionisti forzosi con l’aiuto di troll (più facilmente bot gestiti da qualche algoritmo) che sono pronti a dare immediatamente del fascista a chiunque voglia diversificarsi dai diktat.

Gli scambi sessuali e sentimentali (o tentati tali) si svolgono tramite dei siti d’incontri dove dei fantomatici personaggi femminili – con altrettanto fantomatiche fotografie di profilo e biografie – dichiarano di cercare un individuo “standard e perfetto” che non esiste altro che nelle loro fantasie deviate dal sistema e soprattutto che non sia “basso e fascista”!

Attraverso questi profili, probabilmente dei bot gestiti dall’algoritmo stesso del sito, il sistema ti dice che o sei “alto e liberal” o come uomo nella società non esisti: non essere mai “basso e fascista” o non ti riprodurrai mai e resterai solo perché la donna del 2000 programmata dal sistema non ti vorrà mai, non si concederà mai e non ti sposerà per avere figli da te e divorziare portandoteli via con tutti i tuoi averi e la dignità.
Qualcuno forse obietterà che è una visione pessimistica ed esagerata ma se si gira ad osservare un amico immagino dovrà smettere di obiettare.

Il risultato di tutto questo è che la donna oggi è infelice perché a quanto pare gran parte degli uomini, temendo le possibili pesanti conseguenze di una relazione, cercano solo sesso mordi e fuggi e immancabilmente la colpa viene riversata su di loro, come se il maschio invece fosse davvero felice di una situazione nella quale dover continuamente difendersi dalla donna, come se nessuno desiderasse avere accanto una VERA compagna.

Il problema è che mancano comunicazione e maturazione da entrambe le parti e la donna per ora continua a scegliere la strada larga: in questa specie di felliniana “Città delle donne” che è diventata la società, ha scelto di abbracciare il punto di vista limitato che gli è stato fornito dal diktat femminista che la spinge ad essere autopermissiva, a giustificare molto sé stessa accusando sempre “il maschio” di tutto, non volendosi rendere conto che la responsabilità è in buona parte anche sua per aver ceduto alle lusinghe di un femminismo isterico che le ha portato solo la solitudine più profonda e il sogno eternamente irrealizzato di un inesistente principe azzurro o anche solo degli “uomini di una volta che non ci sono più”.

Diceva un Ferreri, fin troppo simbolico, che “Il futuro è donna”.
Si, ma una donna sola.

Nel film Pontypool questa donna è incarnata dal personaggio di Sydney Briar, da qui il motivo della frase «Sydney Briar è ancora viva».

Lisa Hoult è Sydney Briar

I “successi” del Liberalismo

Se il liberalismo – nella teoria – è una filosofia politica e morale fondata sul concetto dei diritti inalienabili e il sostegno per le libertà civili, nella realtà odierna è stato completamente distorto come concetto ed espressione, fino a diventare un sistema che circuisce le persone e che con il pretesto di tutelare e liberare invece devia e imprigiona.

Il liberalismo oggi si è ormai rivelato per quello che è: una parola deviata scelta per rappresentare un sistema carcerario utilizzato con comodo dal sistema.

Il liberalismo è ormai il cancro dell’umanità, il liberalismo viene propagato tramite la parola.

Ma la speranza del liberalismo è la separazione degli individui, l’imporgli un pensiero unico spacciato per libertà e il tentare con ogni mezzo di privarli della comunicazione, del rapportarsi tra loro e risolvere le incomprensioni prima che diventino guerra.

Il liberalismo vuole che questa guerra ci sia perché la massa la controlli bene quando è compattata dal pensiero unico, spaventata e rancorosa, portata alla meschina vendetta e alla delazione, che avviene sempre tramite parola ed è l’unico tentativo di sfogo per gli esseri arresi alla dominazione.

Non è un caso che il liberalismo spinga alla perversione sessuale: al liberalismo piace la promiscuità spacciata per libertà, l’orgia, il sadomasochismo, il bondage, il sesso fatto con distacco tra elementi dello stesso sesso o masturbato tramite giocattoli gommosi che, per una popolazione di eterni immaturi, sostituiscono quelli dell’infanzia anelata al posto dell’incubo nel quale si trova immersa e costretta da adulta.

Perché quindi stupirsi che le relazioni vere e durature vengano impedite con ogni mezzo?
Eppure non c’è bisogno di andare a studiare cosa sia il Matrimonio Alchemico per capire che l’individuo evolve pienamente solo in coppia, confrontandosi con il partner di sesso opposto tramite la parola, l’accoglienza, il confronto, il conforto, il contatto sentimentale e infine sessuale: senza la chiave non si apre la porta e senza la porta la chiave è inutilizzabile.

Non è un caso che Amore sia la prima parola che è stata volutamente distorta e abusata.
Non è un caso nemmeno che Amore in inglese sia Love, che letto al contrario è Evol, una storpiatura di Evil, cioè Male.

Non è un caso neppure che un gesto tanto di moda oggi e presente nei selfie di giovani (ma anche tristi semi-anziani) sia il gesto del dito medio che pare tutti si siano dimenticati simboleggiare in realtà una grande offesa verso la persona a cui lo si rivolge. Un segno che ferisce il prossimo e che indica un’aggressiva chiusura e isolamento in chi lo porge.

E non è un caso che il film tratto dal racconto Pontypool Changes Everything si svolga nel giorno di S. Valentino è anzi molto simbolico, come lo fu la famosa “strage” mafiosa.

 

 

Il film

 

Il film Pontypool qua da noi è quasi scomparso di circolazione già da anni ma i suoi creatori non hanno mollato la presa e negli anni ne hanno prodotto lo spin-off Dreamland oltre ad avere in lavorazione il sequel Pontypool Changes, entrambi sempre con protagonisti Stephen McHattie e la moglie Lisa Hoult e la regia di Bruce McDonald.

L’impossibilità di comunicare, di esprimere le proprie idee, sensazioni, opinioni dovendole reprimere in sé stessi per evitare di venire prima isolati, evitati e poi messi alla gogna dalle masse che sono state talmente irregimentate dalla “parola fatta ordine”, dalla paura e dalla paura della paura stessa addirittura, tanto da farla diventata una vera e propria epidemia di terrore cieco. Questo è ciò che viviamo oggi e che viene estrinsecato daPontypool.

Questo porta o alla resa o alla misantropia, che sia forzata dalla necessità di sopravvivere o scelta liberamente per evolvere come individui.

Forse però non è ben chiaro cosa sia la misantropia e tantomeno lo insegneranno loro con le galere e gli isolamenti, materiali e mentali.
Si può essere misantropi anche in mezzo alla folla, in maniera anche maggiore anzi. E non è disprezzo, è l’avere ben chiaro chi sei tu e chi sono gli altri.
Si impara a conoscere il mondo evitando di venire travolti dalle dinamiche di massa.

Questo è proprio lo spirito di Grant Mazzy, il conduttore radiofonico protagonista di Pontypool: Un Individuo con uno sguardo lucido e distaccato all’umanità ma pieno d’amore verso di essa, con la consapevolezza della propria impotenza nell’aiutarla a cambiare ma che non per questo smette di provarci.

Perché il titolo del racconto è vero: “Pontypool cambia tutto” e Pontypool siamo noi, se lo vogliamo.

Pontypool è dentro di noi e sta a noi scegliere se essere un Grant Mazzy o parte della massa.

 

Il racconto di Tony Burgess

Locandina del film

“Pontypool – Zitto… o muori” (Canada 2008) di Bruce McDonald

Regia Bruce McDonald
Soggetto e sceneggiatura Tony Burgess
Produzione

Jeffrey Coghlan

Ambrose Roche

              Interpreti Stephen McHattie: Grant Mazzy
Lisa Houle: Sydney Briar
Georgina Reilly: Laurel-Ann Drummond
Hrant Alianak: Dr. Mendez
Fotografia Miroslaw Baszak
Montaggio Jeremiah Munce
Musiche Claude Foisy
Compagnie di produzione Ponty Up Pictures
Shadow Shows
Data di uscita

6 settembre 2008 (Toronto International Film Festival)
6 marzo 2009

Durata
96 minuti

 

Candidature e premi

30th Genie Awards – Best Actor, Best Director, Best Adapted Screenplay (Nomina)

Trailer del film Pontypool – Zitto… o muori

La Terra Silenziosa

La Terra Silenziosa (1985) – La fine è solo l’Inizio

By Cinema, Personaggi StoriciOne Comment

Il 5 luglio inizia come una normale mattina d'inverno vicino a Hamilton, in Nuova Zelanda. Alle 6:12, il sole si oscura per un momento e in un lampo si scorge brevemente una luce rossa circondata dall'oscurità e una sensazione di “particelle” in movimento. Con questa forte sensazione impressa nella mente Zac Hobson si sveglia dal suo sonno. Accende la radio ma non è in grado di ricevere alcuna trasmissione. Si veste e si dirige alla volta della città, che trova deserta. Sul luogo di un incendio scopre il relitto in fiamme di un aereo passeggeri ma a bordo ci sono solo sedili vuoti. Ogni essere vivente umano e animale sembra essere svanito di colpo.
Così inizia il film La Terra Silenziosa.

The Boss

Nel 1985 il regista Geoff Murphy dirige un bel film il cui finale è stato per anni introvabile in edizione italiana e che è tratto liberamente da un racconto di Craig Harrison che per anni è stato ancora più raro, persino nell’edizione originale neozelandese: La Terra Silenziosa (The Quiet Earth).

Si tratta di un film pregno di significati metafisici ma che può essere facilmente guardabile da chiunque, pur risvegliandogli un forte senso di estraniamento e di incanto ed è proprio così che il cinema surreale dovrebbe funzionare sulla mente umana.

E’ doveroso far presente che essendo questa una analisi dettagliata anche e soprattutto della parte simbolica del film, saranno presenti SPOILER continui perciò si raccomanda la visione del film prima di leggere quanto segue.

Murphy, assistito alla prima unità dalla futura star Lee Tamahori, si avvale della prova di un ottimo Bruno Lawrence (anche coautore della sceneggiatura con Bill Baer e Sam Pillsbury), perfettamente a suo agio nella parte del protagonista Zac Hobson, uno scienziato profondamente deluso e amareggiato dalla sua vita e dal suo stesso lavoro a cui fanno da spalla gli unici altri due attori che diventano a loro volta forzatamente coprotagonisti: la rossa Alison Routledge e il Maori Peter Smith.

A partecipare al donare questo senso di incantata irrealtà contribuiscono l’ottima fotografia di James Bartle e le ovviamente pochissime musiche evocative di John Charles.

Sinossi

Solo?

Il 5 luglio inizia come una normale mattina d’inverno vicino a Hamilton, in Nuova Zelanda.

Alle 6:12, il sole si oscura per un momento e in un lampo si scorge brevemente una luce rossa circondata dall’oscurità e una sensazione di “particelle” in movimento.

Con questa forte sensazione impressa nella mente Zac Hobson si sveglia dal suo sonno.
Accende la radio ma non è in grado di ricevere alcuna trasmissione. Si veste e si dirige alla volta della città, che trova deserta.

Sul luogo di un incendio scopre il relitto in fiamme di un aereo passeggeri ma a bordo trova solo sedili vuoti. Ogni essere vivente umano e animale sembra essere svanito di colpo.

Si scopre che Hobson è uno scienziato impiegato alla Delenco, parte di un consorzio internazionale guidato dagli Stati Uniti che lavora sul “Progetto Flashlight“, un esperimento volto a creare una griglia energetica globale wireless atta ad alimentare le apparecchiature militari.

Zac arriva alla Delenco, ma non riesce a contattare nessuno degli altri laboratori situati in tutto il mondo.
In un laboratorio sotterraneo scopre il cadavere di Perrin, il suo superiore, e nel pannello di controllo principale della griglia Flashlight un monitor visualizza il messaggio “Operazione Flashlight completata”.

La scomparsa di massa sembra coincidere con il momento in cui è stata attivata la griglia del Flashlight da Perrin.
Il laboratorio viene improvvisamente automaticamente sigillato a causa delle radiazioni, Zac quindi improvvisa una bomba a gas per tentare di uscirne.

Egli tiene un diario su nastro che incide su un registratore portatile e dal quale si viene a conoscenza del fatto che lui fosse già in rotta con la Delenco, che accusa di occultare volutamente i dati di un progetto che lui definisce come dotato di un “potenziale distruttivo fenomenale”, situazione dalla quale dice mestamente di intravedere “un’unica via d’uscita”, quindi osserva:

«Zac Hobson, 5 luglio. Primo: c’è stato un malfunzionamento nel Progetto Flashlight con risultati devastanti. Secondo: a quanto pare sono l’unico sopravvissuto sulla Terra.»

Si riferisce al fenomeno come “l’Effetto“.

 

Dopo una settimana di disperati tentativi di contattare sopravvissuti, Zac si trasferisce nella villa di un quartiere signorile ma il suo stato mentale inizia a deteriorarsi per l’improvvisa e inaspettata solitudine.

Va a giro per centri commerciali a fare incetta o distruggere quello che trova, alterna euforia e disperazione e una sera, rendendosi conto del fatto che probabilmente non rivedrà mai più una donna, indossa una camicia da notte femminile e davanti ad un’assemblea di figure in cartone di politici e celebrità varie, tra fanfare ed esultazioni di folla registrate, tiene un amareggiato discorso dal balcone:

«Io ho dedicato tutte le mie conoscenze e capacità scientifiche per progettare qualcosa che sapevo poteva essere usata a scopi nocivi.
“Per il bene comune” mi dicevano.

Com’è facile credere nel bene comune quando tale convinzione è ripagata con lo ‘status’… la ricchezza… e il potere!
E’ difficile credere nel bene comune quando ogni fibra del mio essere mi dice che le forze spaventose che ho creato sono state messe nelle mani di questi pazzi!

Sono stato ingannato dal vomito della mia stessa corruzione!
Non è quindi normale che io sia il Presidente di questa Terra Silenziosa? Sono condannato a vivere…».

Su queste parole cala il blackout energetico.
Il giorno dopo, preso da un attacco di disperazione, irrompe in una chiesa, spara alla statua di Gesù sul crocifisso, distrugge l’impianto voci del pulpito e dichiara:

«E ora sono io Dio».

Poi inizia a distruggere tutto con un escavatore e, dopo aver schiacciato accidentalmente una carrozzina vuota, si mette in bocca la canna del fucile e la scena si chiude su una delle esplosioni provocate da lui attorno a sé.
Questo evento forse serve a spezzare la sua follia.

La scena si riapre su Zac che schizza nudo fuori dal mare e corre sulla spiaggia di uno splendido scorcio di costa neozelandese: forse un nuovo inizio.

Un Nuovo Inizio?

Venti giorni sono passati dall’Effetto e Zac si è stabilito in una villa sulla costa, munendosi di generatori a gasolio e adottando una routine più normale, pur continuando a monitorare lo stato del sole.

Una mattina d’improvviso appare alla sua porta una giovane donna di nome Joanne, i due si abbracciano e Zac finalmente si scioglie mormorando «Finalmente ho trovato qualcuno», Joanne annuisce maternamente.

I due si raccontanto le rispettive esperienze e Zac realizza che «Qualcosa è cambiato, non so cosa ma me lo sento. E’ come se fossimo stati spostati altrove, il polo nord è ancora a nord ma l’acqua del rubinetto scende nello scarico nel senso sbagliato.
Mi sa che… o siamo morti o siamo in un altro universo.»
«Sei anche tu di un altro universo? Sei una donna… o una bambina?» le chiede sommessamente mentre lei si è appisolata.

Joanne è una ragazza vitale e con una mente peculiare che le fa elaborare teorie interessanti anche sulla fisiognomica e l’attrazione animica, Zac è molto affascinato da lei e dopo pochi giorni fanno l’amore.

Altri strani effetti fisici sulla materia continuano a verificarsi e, nonostante sia preso da un nuovo entusiasmo vitale grazie alla presenza della giovane, l’uomo continua i suoi test di monitoraggio realizzando che la carica degli elettroni è cambiata e sta adesso oscillando tra due valori, aumentando continuamente l’ampiezza di tale oscillazione e rendendo di conseguenza fortemente instabile la composizione della materia.

Quando la vita di Zac pare essersi finalmente stabilizzata con Joanne accanto, durante una delle loro scorribande esplorative in città egli trova un terzo sopravvissuto, un uomo Maori di nome Api dal quale Joanne rimane subito attratta.

I tre determinano il motivo per cui sono sopravvissuti: nell’istante dell’ Effetto, erano tutti nel momento della morte: Api stava annegando durante una lite, Joanne era stata fulminata da un asciugacapelli difettoso e Zac era in overdose di pillole in un tentativo di suicidio a causa dei sensi di colpa per i pericoli creati dal suo progetto.

La scoperta del suo corpo, con accanto il suo ID di laboratorio e il registratore, avrebbe avuto la conseguenza di esporre il Progetto Flashlight e terminare l’esperimento prima che fosse troppo tardi.

 

Zac

Joanne

Api

Si sviluppa un triangolo amoroso che non manca di incomprensioni e gelosie ma Zac è adesso più preoccupato che mai per le sue osservazioni scientifiche: le costanti fisiche universali stanno cambiando, facendo fluttuare l’uscita del Sole e diventando altamente instabile.

Zac teme che l’effetto si ripresenti (e che il Sole crollerà presto in ogni caso e cancellerà la Terra) e Api ne da una possibile spiegazione: se la griglia dello Spotlight è ancora attiva e destabilizza continuamente il sole, l’eliminazione della struttura eliminerebbe la griglia, scongiurando il pericolo.

I tre mettono da parte i loro conflitti personali e decidono di distruggere il laboratorio Delenco portando un camion carico di gelignite all’installazione dello Spotlight ma si fermano al perimetro quando Zac rileva livelli pericolosi di radiazioni ionizzanti emanate dall’impianto.

Dice che andrà in città per recuperare un dispositivo di controllo remoto per inviare il camion nella struttura.

In assenza di Zac Joanne e Api fanno l’amore e in seguito, Api dice a Joanne che sarà lui a guidare il camion; dubita che il dispositivo di Zac sarà in grado di controllare il veicolo e sente che debba essere lui a sacrificarsi.

Poi sentono il rumore del camion: Zac aveva solo inventato una scusa per poter pagare il suo debito per la mostruosità che ha creato.

L’uomo guida il camion sul tetto del laboratorio indebolito dalla bomba a gas che crolla e, proprio mentre si verifica il Secondo Effetto, fa esplodere la gelignite.

E di nuovo…

Ancora una volta, si vede una luce rossa brillante in fondo ad un tunnel buio pieno di “particelle” in movimento.

Zac si sveglia su una spiaggia al crepuscolo.
Ci sono strane formazioni nuvolose, simili a trombe d’acqua, che emergono dall’oceano.
Cammina fino al bordo dell’acqua poi vede un enorme pianeta inanellato sorgere lentamente all’orizzonte.

Essendo l’unico sopravvissuto a questo nuovo Effetto, Zac osserva confuso e disperato ciò che lo circonda e lo attende.

Un’analisi esoterica del film

 

Si può facilmente interpretare il film come una discesa nel limbo, un purgatorio a più livelli: Zac potrebbe effettivamente essere morto in seguito al suicidio e trovarsi animicamente auto-segregato in un luogo di mezzo dove affrontare le conseguenze del gesto e capire esperendo che non è scappando che si risolve una responsabilità come quella che sente di avere.

Potrebbe in seguito non aver retto alla solitudine del luogo senza tempo dove si trova e aver tentato la fuga tirando davvero il grilletto al momento in cui si è posto la canna del fucile in bocca ed essersi ritrovato in un altro limbo nel quale sono arrivati in suo soccorso i due spiriti guida Joanne e Api.

I due paiono incarnare in effetti rispettivamente lo yin e lo yang e agiscono quasi come due genitori esoterici nei suoi confronti, lei donandogli con accoglienza l’affetto, la bellezza “venerea” e il calore materno e lui, con il suo incedere affettuoso ma “marziale” (notare che è sempre abbigliato da militare ed è esperto di quell’ambiente e dei suoi mezzi e materiali), dandogli protezione e porgendogli la soluzione al dilemma che lo dilania: poter rimediare al suo karmico senso di colpa.

C’è un punto nel quale Zac ha la forte sensazione che Api e Joanne si conoscano da sempre e allo stesso tempo che in quel mondo esista solo lui e che loro due siano un parto della sua mente, al che Api (che già in precedenza aveva dichiarato la sua sensazione di essere uno spirito) improvvisamente dice a Joanne che lei potrebbe essere una Patupaiarehe e che in tal caso Zac avrebbe ragione a pensare che loro due in realtà non esistano.

Nella tradizione Maori i Patupaiarehe sono “il popolo fulvo della notte(perché sensibili alla luce), esseri soprannaturali dalla carnagione pallida e dai capelli biondi o rossi posti a guardia dei segreti della Terra e che hanno da sempre un fortissimo legame animico con i Maori stessi (da notare il profondo dolore di Joanne per la scomparsa del genere umano e anche il fatto che nella scena dove i tre si incontrano per la prima volta lei indossi un costume da fata).

 

 

Patupaiarehe – Illustrazione di Isobel Joy Te Aho-White

Gli errori di Zac a questo punto sono la gelosia cieca che gli ha fatto travisare il ruolo dei due spiriti amici e il voler risolvere in maniera matericamente rapida (senza cioè darsi il tempo di affrontare, esperire ed elaborare) il suo debito karmico verso l’umanità: non accettando i ruoli dei due spiriti tenta la via di fuga per la terza volta facendosi esplodere, finendo invece stavolta alle porte di un autentico inferno.

Unico sopravvissuto poiché morto durante il Secondo Effetto è adesso alle prese con un mondo che è pieno di pericoli annunciati già dal suo arrivo: cataclismi naturali (che rappresentano dolori karmici potenziati da dover per forza affrontare) e l’annunciarsi di Saturno, Signore dell’astrologia karmica e che rappresenta il bagaglio di limitazioni che un individuo si porta appresso, alla nascita, dalle incarnazioni precedenti del proprio spirito.

E’ comprensibile che il povero Zac si trovi adesso perso e disperato poiché si trova ad affrontare, tutte assieme, le difficili prove che ha sfuggito finora.

La soluzione per lui è capire che ogni prova se l’è inviata da solo con lo scopo di proseguire il proprio cammino evolutivo: realizzato questo troverà finalmente il coraggio di risolvere i suoi nodi karmici e proseguire il suo cammino di maturazione interiore.

Oppure, come suggerito dal romanzo di Harrison, potrebbe essere tutto un premonitore “Sogno dentro a un sogno” (Nolan ne sa qualcosa e prima di lui Herk Harvey con il suo Carnival of Souls).

Da notare che nel finale del racconto di Harrison, Hobson (che nel libro si chiama John) si risveglia dal “sogno” e nota che anche nella “realtà” l’orologio si è fermato alle 6:12 come all’inizio della storia.

Da un punto di vista numerologico molto spicciolo si nota una persistenza del 6.

L’ora 6:12 si riferisce al Numero della Bestia, 666 (6–12 = 6 e 6 più 6) e ad Apocalisse 6:12, con il discorso del capitolo biblico degli uomini che si nascondono dal volto di Dio: verso la fine della sua solitudine Zac dichiara di essere diventato lui stesso Dio ma come vedremo in seguito si tratta in realtà una falsa presa di coscienza di sé, poiché probabilmente si è di nuovo suicidato per sfuggire alla solitudine e comunque anche nel seguito non assume né le responsabilità e nemmeno l’accettazione della solitudine che il lavoro su di sé porta.

Non a caso il numero 6 si ripropone nel film durante la ricerca di sopravvissuti: il cartellone che Hobson lascia come appello, solamente di numeri, contiene almeno due somme che danno un doppio 6 (numero indirizzo sommato alle cifre del numero telefonico ovvero 396121 e 2 cioè 22 + 2 ovvero 2+2+2= 6 oppure 24+2=6 e il prezzo nell’angolo in alto a sinistra ovvero $ 1.50 e cioè 1+5=6) ai quali si possono aggiungere le cifre della falsa legge da lui recitata al megafono dell’auto di polizia per far uscire allo scoperto eventuali superstiti (legge 366025 art. 2 ovvero 22 e 2, 2+2+2=6 oppure 24 ovvero 2+4=6).

Mi fermo qua e lascio al lettore il compito di approfondire ulteriormente.

 

Conclusioni

 

Il romanzo risulta ancora più incentrato sul pessimismo, pregno di paranoia e isolamento rispetto al film poiché il personaggio di Joanne praticamente non esiste e non è presa in considerazione nessuna forma di spirito guida e Matrimonio Alchemico ma è al contrario molto “inglese” e immerso nella codardia e meschinità umana, molto di stile “ballardiano” in questo (Craig Harrison è un inglese trasferito in Nuova Zelanda).

La Terra Silenziosa rappresenta il film della vita per Geoff Murphy e gli aprirà le strade di Hollywood per quella che sarà una carriera di tutto rispetto come regista di genere e che gli permetterà di lavorare con alcuni degli attori più iconici del periodo ma che logicamente non vedrà mai la creazione di un altro film di questa caratura e profondità.

E’ un film molto ermetico, occorrono deduzione e chiavi di lettura che si acquisiscono con la ricerca, lo studio e talvolta “incontri fortunati” sul proprio cammino.

Quello che regista e produzione non ci hanno detto è che il film, più che un estratto fedele del romanzo di Harrison, è piuttosto un mix tra quello e una rielaborazione del film del 1959 “La fine del mondo” che è a sua volta tratto dal romanzo del 1901 “La nube purpurea” di M.P. Shiel, molto apprezzato sia da Welles che da Lovecraft.

La terra silenziosa è in assoluto uno dei film da me preferiti e un altro fatto peculiare è che io possegga da molti anni, senza peraltro ancora averlo letto, il romanzo “La nube purpurea”, acquistato usato ad una bancarella poiché attratto dal titolo.

Solo un’altra conferma che in questa esperienza chiamata Vita nessun accadimento è casuale.

 

Edizione originale del romanzo di Craig Harrison

Locandina del film

“La Terra Silenziosa (The Quiet Earth)” (NZ 1985) di Geoff Murphy

Regia Geoff Murphy
Soggetto e sceneggiatura Bill Baer
Bruno Lawrence
Sam Pillsbury
Produzione Sam Pillsbury
Don Reynolds
              Interpreti Bruno Lawrence
Alison Routledge
Peter Smith
Fotografia James Bartle
Montaggio Michael J. Horton
Musiche John Charles
Compagnie di produzione
  • Cinepro
  • Pilsbury Productions
  • Mr. Yellowbeard Productions Limited & Company
Data di uscita

18 October 1985 (US)

Durata
91 minuti

 

Candidature e premi

Avoriaz Fantastic Film Festival 1986

Nominee
Grand Prize
Geoff Murphy

Fantafestival 1986

Winner
Best Actor
Bruno Lawrence
Winner
Best Direction
Geoff Murphy

New Zealand Film and TV Awards (I) 1987

Winner
Film Award
Best Film
Don Reynolds
Sam Pillsbury
Best Performance, Male in a Leading Role
Bruno Lawrence
Best Performance, Male in a Supporting Role
Pete Smith
Best Director
Geoff Murphy
Best Screenplay – Adaptation
Bill Baer
Sam Pillsbury
Bruno Lawrence
Best Cinematography
James Bartle
Best Editing
Michael Horton
Best Production Design
Josephine Ford

Trailer del film La Terra Silenziosa

Il film La Terra Silenziosa (purtroppo con colonna sonora inziale cambiata)

Censor

Censor o l’oscura storia dei Nasty Tapes (2021)

By CinemaNo Comments

Il pregio di questo film è la sua stessa condanna: chi lo capirà e potrebbe apprezzarne il messaggio sono perlopiù invece quei nerd che lo odieranno perché mette in luce la pericolosità di quella monnezza della quale sono tanto appassionati e ovviamente loro per primi sono nemici dichiarati della censura.

The Boss

Al volgere degli anni 80 in Gran Bretagna avvenne una vera e propria caccia alle streghe verso quelli che vennero definiti Nasty tapes, ovvero i nastri VHS che contenevano horror perlopiù estremi che furono pesantemente censurati quando non addirittura bannati dal paese albionico.

Fu uno dei rari casi nei quali alla censura non si poteva che dare ragione data la voluta qualità estremamente violenta e traumatizzante di queste pellicole a basso budget, girate apparentemente con mezzi di fortuna il che rendeva il tutto ancora più credibile poiché essi apparivano simili per qualità a dei filmetti casalinghi come quelli che si era soliti girare in famiglia con la cinepresa amatoriale (ad esempio Axe, Non aprite quella porta).

In queste pellicole l’attenzione viene ripetutamente puntata su volgari simboli di depotenziamento come decapitazioni, evirazioni, squartamenti e sugli occhi cavati, simbolico monito e al tempo stesso invito alla cecità.

Questa produzione vide i suoi inizi negli anni 60 con il gore di Herschell Gordon Lewis e si sviluppò accanitamente durante gli anni 70 soprattutto in Usa e in Italia con i vari generi e sottogeneri fino ad arrivare all’assurdo accanimento dell’inzio degli anni 80, nei quali si diffusero a macchia d’olio lo slasher (del quale abbiamo uno dei primi e migliori esempi in Reazione a Catena di Mario Bava e più puramente nel Torso di Sergio Martino) e il cannibal movie.

Il primo conteneva a volte un’incredibile quantità di violenza grafica e psicologica gratuità a sfondo fisico e sessuale appoggiata al trauma infantile e alla violenza sessuale e il secondo faceva di violenza, trauma e gore gratuiti il suo addirittura vantato marchio di fabbrica-

I registi che hanno partecipato alla produzione di questa immondizia hanno assunto lo status di autori di culto grazie soprattutto al solito onnipresente Tarantino, abbracciato dal movimento liberal come grande artista e cultore del cinema di genere.

Di conseguenza sono stati rispolverati titoli talmente imbarazzanti che spesso anche i loro autori avrebbero preferito dimenticare se non fosse che grazie a questi hanno raggiunto il successo postumo che non avevano ricevuto ai tempi, quando la critica li schifava apertamente, aiutando a creare quell’aura di culto che oggi assoluta immondizia come i cannibal hanno raggiunto.

Scena del film L’Aldilà di Lucio Fulci

Bisogna ammettere che quasi ogni autore ha al suo attivo almeno un lavoro di pregio anche nel campo dell’horror.
E’ il caso di Lucio Fulci che già aveva all’attivo almeno tre gialli notevoli con contaminazioni horror e arrivò spavaldamente nel genere estremo partorendo alcune pellicole davvero particolari come Zombie 2 e L’Aldilà ma anche lo stesso Lewis aveva al suo attivo un film particolare con particolare simbolismo e venature sociologiche come The wizard of gore.

Ben altra considerazione merita il Massaccesi Aristide alias Joe D’Amato, detto “Er paiata” per la sua predilezione all’uso della trippa nei suoi film, il quale da inizi da mestierante western, erotico e lercia pornografia, si spostò verso un horror cruento e cupo fine a sé stesso e volto a scioccare volutamente lo spettatore, fino ad arrivare agli assurdi crossover tra horror, cannibalismo e pornografia. Finirà poi la sua carriera tra eros e pornografia.
I suoi film horror gore di maggiore culto sono il terzetto Buio Omega, Antropophagus e Rosso sangue e vedono tutti mischiare il gore al grottesco con incursioni nel cannibalismo.

Ovviamente parlando di cannibal movie non si può non citare l’orrendo Cannibal Holocaust (che com’è noto costò un processo al suo autore Ruggero Deodato) che oltre alla violenza gratuita “mimata” sugli umani annoverava anche quella reale sugli animali. Ma non si può evitare di citare anche la produzione altrettanto violenta di Umberto Lenzi, che del cannibal fu l’iniziatore nel 1972 con Il paese del sesso selvaggio.

Ovviamente in questa atmosfera cupa e violenta vede la sua affermazione la figura del serial killer, figura alla quale negli slasher si da spesso una giustificazione psicologica più risibile che reale e tra i film maggiormente violenti in questo campo troviamo Nightmare di Romano Scavolini, già autore di un paio di gialli nei primi anni 70 e del particolarissimo mafia-thriller Servo Vostro ma anche Driller Killer, primo lungometraggio “serio” di Abel Ferrara.

Discorso a mio avviso diverso va fatto sul versante degli zombie movies, praticamente sempre volti ad una critica sociale ben precisa come nel caso di George Romero, considerato a ragione il padre del genere, il quale esprime il suo aspro giudizio su società, costume e religione anche nei suoi ottimi Martin – Wampyr, La stagione della Strega e il distopico La città verrà distrutta all’alba.

Con la nuova popolarità delle videocassette nei primi anni ’80, tutta questa mole di vecchie e nuove produzioni di horror cruento approfittando del mercato dell’home video del Regno Unito, allora non regolamentato, arrivarono nelle case delle famiglie britanniche, liberamente accessibili ai minori che, grazie all’aura di film proibiti acquisita negli anni, ci si gettarono avidamente sopra.

A causa di una scappatoia nelle leggi sulla classificazione dei film, a questi film era stato permesso di aggirare un tipico processo di revisione dal British Board of Film Classification (BBFC), e una sorta di panico e corsa ai ripari si instaurò quando le autorità iniziarono ad avere grosse preoccupazioni su cosa avrebbe causato l’esposizione a contenuti così espliciti al pubblico, soprattutto di minori.

A seguito di una campagna condotta da vari membri della stampa, opinione pubblica e organizzazioni religiose (tra cui la National Viewers’ and Listeners’ Association, guidata dall’influente attivista Mary Whitehouse), l’allora direttore della pubblica accusa pubblicò un elenco di titoli ritenuti “sporchi” (“nasty” appunto) in violazione alle leggi sull’oscenità e la polizia avviò il processo di sequestro dei nastri e di persecuzione contro coloro che erano coinvolti nella loro distribuzione.

Di questo tratta il soggetto del film Censor, opera prima di una giovane regista che risponde al curioso nome di Prano Bailey Bond.

Una breve sinossi

Nel 1985, Enid si occupa di censura cinematografica ed è addetta proprio alla selezione dei tagli da effettuare sulla pioggia di Nasty Tapes che stanno invadendo il mercato dell’home video britannico.
Ad un certo punto del persorso si imbatte in una pellicola che contiene elementi a lei familiari. Decide quindi di indagare sia sulla produzione di questo film che sul suo passato, che riguarda la scomparsa della sorella e questo la condurrà ad una discesa negli inferi del suo trauma personale.

Il pregio di questo film è la sua stessa condanna: chi lo capirà e potrebbe apprezzarne il messaggio sono perlopiù invece quei nerd che lo odieranno perché mette in luce la pericolosità di quella monnezza della quale sono tanto appassionati e ovviamente loro per primi sono nemici dichiarati della censura.

Il soggetto è estremamente interessante come le considerazioni sull’effetto subliminale di questi cosiddetti nasty movies che, ognuno di noi non potrà che riconoscerlo, hanno sempre volutamente avuto un’atmosfera estremamente torbida e melmosamente malata e disturbante.
Chi abbia visionato il famoso Axe o anche delle esagerazioni di quei tempi come i già citati Buio Omega di Massaccesi o l’esageratissimo e inspiegabile Nightmare di Scavolini (che andò addirittura negli states per girarlo, come se l’Italia di allora non fosse già la patria del cosiddetto “exploitation”) sa bene di cosa parlo.

L’omicida che non ricorda nulla dell’omicidio compiuto è un ottimo rimando anche ai fin troppi casi simili verificatisi nella realtà, dei quali Brandon Cronenberg ha dato una propria interpretazione nel suo ottimo Possessor.

 

Alla fine di tutto resta la domanda: i nasty movies furono veramente prodotti per influenzare gli spettatori tramite immagini e situazioni fortemente subliminali richiamanti paure e istinti ancestrali, creando sia possibili killer che ciechi paranoidi verso di essi?

 

“Censor” (UK 2021) di Prano Bailey-Bond

Regia Prano Bailey-Bond
Soggetto e sceneggiatura Prano Bailey-Bond, Anthony Fletcher
Produzione Silver Salt Films, British Film Institute, Film4 Productions, Film Cymru Wales

 

Interpreti

Niamh Algar: Enid Baines
Nicholas Burns: Sanderson
Vincent Franklin: Fraser
Sophia La Porta: Alice Lee
Adrian Schiller: Frederick North
Michael Smiley: Doug Smart
Fotografia Annika Summerson
Montaggio Mark Towns
Musiche Emilie Levienaise-Farrouch
Distribuzione MGM, Prime Video(Italia)
Data di uscita

28 gennaio 2021 (Sundance Film Festival 2021)

Durata
84 minuti

 

Trailer del film Censor

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Keith Mansfield – Our Coming Attraction

By Cinema, Musica, Personaggi StoriciNo Comments

Keith Mansfield, famoso per la sua Funky Fanfare resa celebre da Quentin Tarantino con i film Kill Bill e Grindhouse, è un compositore anglosassone autore di un sorprendente quantitativo di temi da librerie musicali davvero ottimi, capaci di evocare positività nell’ascoltatore.
Nel settore della cosiddetta Muzak è facilmente considerabile un genio, elevandosi ad un livello superiore rispetto agli altri compositori di quel filone e, con un’impressionante curriculum di oltre 60 album pubblicati in circa 30 anni di carriera, anche uno dei più prolifici di sempre.

Lorenzo

Mansfield, classe 1941, londinese, negli anni ’60 e ’70 è stato una figura fondamentale nella scena musicale delle librerie musicali anglosassoni e ha registrato un grande numero di brani per l’etichetta specialistica KPM (iniziali di Keith-Prowse-Maurice, allora divisione della EMI).

Nel settore della cosiddetta Muzak è facilmente considerabile un genio, elevandosi ad un livello superiore rispetto agli altri compositori di quel filone e, con un’impressionante curriculum di oltre 60 album pubblicati in circa 30 anni di carriera, anche uno dei più prolifici di sempre.

Le sue capacità compositive spaziano agilmente dal funk e soul di “Morning Broadway”, “Bogaloo”, “Exclusive Blend”, “Big Shot”, “Soul Thing” (che verra poi trasformata appunto nella celebre Funky Fanfare) alla disco di “Night Bird”, alle allegre ed energiche sigle televisive come Grandstand per la BBC. “Teenage Carnival” (che venne utilizzato come tema della serie televisiva per ragazzi degli anni ’60 Freewheelers), “The Young Scene” (nel 1968 sigla del programma calcistico The Big Match), “Light and Tuneful” e “World Champion” (utilizzati da BBC e NBC come apertura e chiusura dei campionati di tennis di Wimbledon), “World Series” (usato per le trasmissioni di atletica leggera della BBC), ai lenti atmosferici easy jazz di classe come “Je Reviens”, “Life of Leisure”, “Love De Luxe”, alle contaminazioni world music/jazz come la bellissima “Husky Birdsong”, alle svolte synthpop come le fantascientifiche “Superstar Fanfare” e “High Profile”.

Keith Mansfield è probabilmente meglio conosciuto dal pubblico americano per la già citata “Funky Fanfare” che venne usata per sonorizzare la serie di jingle cinematografici psichedelici Astro Daters (“Our Feature Presentation” e “Our Next Attraction” che introducevano i film – “Prevues of Coming Attractions” che introduceva i trailer dei film – “Intermission” che introduceva l’intervallo tra i vari tempi del film), prodotta dal National Screen Service alla fine degli anni ’60.

Gli Astro Daters vennero poi inseriti dal regista Tarantino nei film Kill Bill e Grindhouse, rendendoli famosi e iconici a livello mondiale e con essi anche Funky Fanfare.
Ma l’inossidabile Funky Fanfare è attualmente ancora usata come sigla in vari programmi televisivi e podcast.

Ha anche composto colonne sonore per i film Loot (1970) e Taste of Excitement (1970) e il western Ehi amigo! Tocca a te morire (1971) ma suoi brani da libreria si possono trovare anche in Tuono Rosso (1980), Fist of Fear, Touch of Death (1980) Kung Fu Killers (1981), programmi e serie tv e chissà dove altro.

Gli Astro Daters sonorizzati con Funky Fanfare

Mansfield ha anche scritto la già citata “Superstar Fanfare“, che è stata utilizzata tra le altre (in diverse varianti) da Channel Television nelle Channel Islands, dal programma di notizie di RTL plus 7 vor 7, Worldvision Enterprises e dalla Services Sound and Vision Corporation (SSVC) come jingle identificativo della British Forces TV nella Germania occidentale, Berlino, Cipro, Isole Falkland e Gibilterra negli anni ’80 e ’90.

Nel corso del tempo i suoi brani sono stati coverizzati (tra gli altri Soul Thing, di cui fu fatta una versione vocale da James Royal, “House of Jack”, e una rielaborata nel lento psichedelico “Queen St. Gang” dai canterburiani Uriel/Arzachel di Steve Hillage e Dave Stewart), rielaborati e remixati (Skeewiff, Simon Begg) ma anche campionati e riutilizzati da produttori hip-hop (Danger Mouse, Madlib, Fatboy Slim, Kal Banx).

Molte sue composizioni vengono utilizzate anche dalla NFL per i suoi film monografici delle squadre e i documentari sul Super Bowl e altre vengono usate come sigle di trasmissioni di vario genere.

Mansfield è stato anche produttore (Maynard Ferguson) e arrangiatore e direttore d’orchestra per Dusty Sprigfield (diversi brani dell’album “Dusty… Definitely”) nonchè arrangiatore orchestrale in alcuni successi dei Love Affair (“Everlasting Love“), Marmalade (“Reflections of My Life“) ed altri.
Insomma uno dei musicisti più incredibilmente talentuosi, prolifici e versatili della scena musicale, quelli che rimangono dietro le quinte mentre ti chiedi sempre chissà chi avrà scritto quel piccolo pezzo di musica che ti fa stare così bene e una volta ascoltato non ti esce più dalla mente.

Keith Mansfield in tempi recenti

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Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi (2017)

By CinemaNo Comments

Cell Block 99 è un film che o lo ami o lo odi, non ci sono vie di mezzo.
Con il suo taglio da pellicola pulp anni 70, i suoi effetti speciali volutamente amatoriali, i suoi fantastici scoppi di eccesso, è una perla corroborante nel piattume in stile "algoritmo" della scena cinematografica contemporanea.

Lorenzo

Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi: amo appassionatamente questo film, in tutto il suo splendore fatto di esagerazioni pulp e simbologia grezza e sguaiata, persino il numero del titolo ha un suo perché, perfino il numero del divieto ai minori di 18.

Cell Block 99 è un film che o lo ami o lo odi, non ci sono vie di mezzo.
Con il suo taglio da pellicola pulp anni 70, i suoi effetti speciali volutamente amatoriali, i suoi fantastici scoppi di eccesso, è una perla corroborante nel piattume in stile “algoritmo” della scena cinematografica contemporanea.

Questo film è un grido di amore disperato, un non mollare mai a nessun costo: si va a diritto, fino in fondo e al diavolo tutto.

 

S. Craig Zahler è un gran sceneggiatore e regista, non si vergogna di nulla. In Italia è stato ripudiato, deriso e quasi massacrato per questo film meravigliosamente esagerato e qua ormai praticamente dimenticato…
Un film che è già un piccolo cult dove Vince Vaughn è stato ottimo: uscendo dalle solite commedie rosa o sciocche alle quali è abituato, si è gettato anima e corpo in un ruolo assurdo che gli calza a pennello.

La scelta delle musiche è divina e ci troviamo davanti ad una colonna sonora di grande pregio, ricca di grandi pezzi soul degli anni 70.

Se questo film fosse stato firmato dal solito Tarantino oggi sarebbe assurto allo status di mito assoluto della cinematografia di genere.

Ma va guardato in lingua originale perchè il doppiaggio italiano è pessimo e si perdono molte sfumature grazie all’adattamento demenziale che è stato fatto dei dialoghi che ridicolizzano una storia che nonostante alcune scene esilaranti è in realtà molto seria. Oltratutto si perdono gli accenti e nel caso del protagonista, Vaughn ha fatto un lavoro eccellente.

Sinossi

Bradley Thomas è un ex pugile dall’incredibile forza e resistenza, una brava persona, una di quelle davvero rare, oneste, di parola, fedeli e dotate di una capacità di amare che trascende ogni cosa.

Dopo aver perso il lavoro, per mantenere sé stesso e la propria famiglia, Bradley si vede costretto ad accettare un impiego come corriere della droga.
In seguito ad un lavoro finito molto male a causa di commercianti chicanos senza scrupoli, egli si ritrova in uno scontro con la polizia, nel quale cerca di fare in modo che nessuno di loro si faccia del male.

Nonostante questo, grazie al suo deciso rifiuto di fare la spia e di un giudice black razzista, finisce in carcere col massimo della pena.

Inizialmente assegnato ad un carcere “liberal”, si vedrà costretto sotto un terribile ricatto a farsi trasferire in un carcere punitivo di massima sicurezza e qua avrà inizio la sua discesa agli inferi, una discesa che però non farà da solo e come un novello Sansone si porterà dietro diversi filistei…

S. Craig Zahler

Zahler è un regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, romanziere, fumettista, animatore e musicista americano.

Dopo aver iniziato la sua carriera lavorando brevemente come direttore della fotografia, Zahler si è concentrato sulla sceneggiatura fino a quando non ha debuttato alla regia con Bone Tomahawk (2015) per poi proseguire con Cell Block 99 (2017) e Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite (2018), per i quali ha scritto e composto anche la musica.

Ha anche scritto diversi romanzi e varie sceneggiature per altri film.

Il suo stile è secco e diretto, spesso facendo uso di scene molto forti sconfinanti nello splatter senza fare sconti a nessuno, protagonisti compresi.
In tutto questo conserva ocmunque una sua poetica molto evidente, ammantata di un grande senso di giustizia umana, dimostrando affetto verso i suoi personaggi.

Prende evidente ispirazione al cinema italiano Baviano, Fulciano e Lenziano e nelle musiche originali di Cell Block 99 si percepisce l’amore verso le colonne sonore di Fabio Frizzi, con largo uso di tappeti di synth dai suoni con modulazione profonda e ben presente.

Presentato in anteprima il 2 settembre 2017 fuori concorso a Venezia, ha avuto una distribuzione limitata nelle sale cinematografiche statunitensi per poi passare al VOD.
In Italia, il film è stato distribuito direct to video dal 18 aprile 2018.

Il film è stato inserito tra i migliori del 2017 ed è stato proiettato nello stesso anno al MOMA di New York per essere poi incluso nella collezione permanente.

Locandina del film

Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi (Usa – 2017)

Regia S. Craig Zahler
Soggetto e sceneggiatura S. Craig Zahler
Produzione Assemble Media, Cinestate, IMG Films
Interpreti Vince Vaughn: Bradley Thomas
Jennifer Carpenter: Lauren Thomas
Don Johnson: direttore Tuggs
Udo Kier: l’uomo calmo
Geno Segers: Roman
Victor Almanzar: Pedro
Marc Blucas: Gil
Dion Mucciacito: Eleazar
Fotografia Benji Bakshi
Montaggio Greg D’Auria
Musiche Jeff Herriott, S. Craig Zahler
Distribuzione Universal Pictures
Data di uscita

October, 6, 2017

Durata
132 minuti

 

Il trailer originale del film

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UPGRADE (2018) – Tutto è Fantascienza finché non accade a TE

By CinemaNo Comments

Con l'esasperazione del concetto di specializzazione siamo giunti ad un mondo che separa in compartimenti stagni i vari campi della conoscenza umana.
Ogni prospettiva di progresso tecnologico è indipendente da considerazioni etiche, filosofiche, sociali, antropologiche. Il messaggio che ci arriva è: lo facciamo perché si può fare.
Upgrade (2018) è un film fantascientifico riuscitissimo, una vera sorpresa, intelligente e a tratti piuttosto violento e splatter, dotato di un certo umorismo e di twist funzionali alla trama.
Un B-movie di classe, dal basso budget ma dall'alto contenuto di idee che offrono molti spunti di riflessione.

Daniele Pieraccini

«Gli uomini ora sono diventati strumenti dei loro strumenti»

(Henry Thoreau, “Walden”, 1854).

Upgrade (2018) è un film fantascientifico riuscitissimo, una vera sorpresa, intelligente e a tratti piuttosto violento e splatter, dotato di un certo umorismo e di twist funzionali alla trama.

Sceneggiatore, regista e produttore è l’australiano Leigh Whannell, conosciuto per aver creato, insieme a James Wan, la saga di Saw e per aver ideato soggetto e sceneggiatura dei film del franchise Insidious.

Con Upgrade Whannell sembra muoversi con una certa libertà, dando vita ad un film relativamente indipendente che omaggia pellicole vecchio stile, soprattutto anni ’80, calando però la vicenda in un contesto molto più attuale.
Un B-movie di classe, dal basso budget ma dall’alto contenuto di idee che offrono molti spunti di riflessione.

Sinossi

(Contiene spoiler)

La storia si svolge in un futuro in cui ogni aspetto della vita umana è controllato dai computer: dalle auto a guida autonoma alle attività lavorative alla routine casalinga (spesa, pasti, regolazione della temperatura ambientale ecc.)
Il protagonista, Grey Trace, è un meccanico piuttosto avverso alla pervasività delle nuove tecnologie, accettate di buon grado invece dalla moglie Asha.

Una delle auto vintage rimesse in sesto da Grey appartiene a Eron Keen (nome interessante…), un giovane prodigio a capo dell’azienda Vessel, all’avanguardia nel campo della biomeccanica.
Proprio dopo aver consegnato l’auto al miliardario, l’auto a guida autonoma (ovviamente Vessel)  in cui si trova la coppia è hackerata: senza poter controllare il mezzo Grey e Asha hanno un incidente, in seguito al quale, feriti, sono assaliti da una banda di malviventi. L’esito è tragico: Asha viene uccisa a sangue freddo, Grey sopravvive ma paralizzato completamente.

 

Grazie agli ausili tecnologici la vita di Grey può proseguire in maniera abbastanza autonoma, ma solo tecnicamente. L’impossibilità di provvedere a se stesso, il dolore per la perdita della moglie e l’incapacità della polizia di arrivare ai colpevoli del delitto lo prostrano profondamente, tanto che prova, inutilmente, a spingere il robot medico a somministrargli una dose letale di tranquillanti.

Le cose cambiano quando Eron Keen gli propone di sottoporsi ad un trattamento ancora sperimentale, facendosi impiantare un chip di nuova generazione nella spina dorsale.

Così facendo Grey recupera le funzionalità del proprio corpo, ma si rende conto che le capacità di STEM (il nome dell’intelligenza artificiale ospite del suo apparato neurale) vanno ben oltre.

Il chip è in grado di parlargli e interagire con lui e di prendere il comando del suo corpo: per prima cosa si offre di aiutarlo a trovare gli assassini della moglie…

Riflessioni

Progresso o regresso?

Ogni strumento inventato dall’uomo, inevitabilmente, lo depriva dell’allenamento necessario a mantenere una data abilità. Per esempio, un sicuro risultato ottenuto dalle auto a guida autonoma sarà quello di allevare generazioni di umani incapaci di guidare un veicolo. Ogni macchina che sostituisce l’abilità umana in una attività causa la perdita della capacità dell’uomo di svolgere quella stessa azione. Si pensi alle calcolatrici o ai navigatori, che sostituiscono le nostre capacità aritmetiche e di orientamento.
Contemporaneamente, nella nostra interazione con le “intelligenze” artificiali, siamo costretti ad abbassare la nostra intelligenza compiendo azioni stupide: digitare dei tasti per poter ottenere un servizio, contare quanti semafori sono presenti in un immagine ecc.
L’impressione è che ci stiano programmando, usando per accrescere il potenziale delle macchine mentre dilapidiamo il nostro.
Forse siamo dentro un esperimento che coinvolge la razza umana: la più grande regressione intellettiva della nostra specie, mascherata da progresso tecnologico.

Chi manovra chi?

Grey è un uomo di altri tempi, un artigiano, un “homo faber”, non riesce ad adeguarsi alle innovazioni tecnologiche, preferisce avere il controllo, mentale e manuale, sulle proprie azioni.
I superpoteri derivati dall’innesto del chip nel suo corpo possono apparire una gran figata, all’inizio.
Poi si realizza che il protagonista è solo uno strumento, temporaneamente necessario a STEM per interagire fisicamente con il mondo reale.
Anche prima di questa presa di coscienza, l’uso pervasivo dei supporti tecnologici mostra nel film un rovescio della medaglia: la macchine possono amplificare la malvagità umana.
Affidarsi in toto alla tecnologia consente a chi detiene il potere di controllare ogni aspetto della nostra vita, fino a poterci cancellare con un click.

Il pericolo degli algoritmi

Upgrade può essere considerato un prequel dei soliti Matrix o Terminator, la visione della genesi di un mondo dominato dalle macchine.
Come mostrato nel film, dei chip possono prendere il controllo di ogni aspetto della vita comune. La tendenza attuale porta ad immaginare un’epoca in cui le persone, soprattutto quelle più anziane, interagiranno solo con macchine. Ogni aspetto della vita, necessità di sostentamento e di salute, manutenzione della casa, intrattenimento, potrebbe essere regolato dalle intelligenze artificiali.
Amicizie, interazioni sociali, persino i bisogni sessuali saranno appannaggio delle macchine.
Molti si emozionano quando vedono un robot che si muove e parla come gli umani, anche se si tratta di una invenzione sommariamente inutile, puro marketing. Ben più reali e pervasive sono altre macchine, quelle che distribuiscono cibo, bevande, biglietti del treno e altri servizi.
Cosa succederà quando non ci sarà più nessuna necessità di interagire con altri umani? Gli algoritmi potrebbero creare un mondo in cui non ci sarà più bisogno del pensiero umano, quindi non ci sarà più bisogno dell’umanità. Si avvicina il metaverso, nel quale, come Grey nel finale del film o come l’umanità di Matrix, l’uomo può compiere la migrazione definitiva.
Lasciare la realtà ad altri, o alle macchine, per vegetare in una realtà simulata.
Il metaverso è stato fantascienza fino a poco tempo fa, adesso è una prospettiva tragicamente reale, all’accettazione della quale siamo stati guidati nel tempo anche dalle saghe letterarie e cinematografiche, dal Signore degli anelli a Star Wars: generazioni di ragazzi allettati dall’idea di vivere in mondi immaginari interagendo con i personaggi dei loro sogni.

Conclusione

Con l’esasperazione del concetto di specializzazione siamo giunti ad un mondo che separa in compartimenti stagni i vari campi della conoscenza umana.
Ogni prospettiva di progresso tecnologico è indipendente da considerazioni etiche, filosofiche, sociali, antropologiche. Il messaggio che ci arriva è: lo facciamo perché si può fare.
Non si considera che immettere delle innovazioni così totalizzanti e pervasive in un sistema mondiale dominato da rapporti di forza ed interesse di pochi può portare a danni enormi.
Il progresso tecnologico è comunque buono e indiscutibile, la scienza è assurta al rango di fede religiosa e dogmatica.
Domina un’attitudine che va oltre il più sfrenato positivismo e che sta mettendo le nostre sorti in mano a dei pazzi con il senso di responsabilità di un adolescente deviato, degli Eron Keen che ci porteranno fino al punto omega.
Lo scopo del test di Turing è quello di stabilire quando possiamo dire che una macchina è diventata intelligente come gli esseri umani. Forse dovremmo rovesciarlo: quando possiamo dire che gli esseri umani sono diventati stupidi come le macchine?

Locandina del film

Upgrade (Australia – 2018)

Regia Leigh Whannell
Soggetto e sceneggiatura  Leigh Whannell
Produzione Jason Blum
Kylie Du Fresne
Brian Kavanaugh-Jones
Interpreti Logan Marshall-Green: Grey Trace
Betty Gabriel: detective Cortez
Harrison Gilbertson: Eron Keen
Melanie Vallejo: Asha Trace
Benedict Hardie: Fisk Brantner
Linda Cropper: Pamela Trace
Fotografia Stefan Duscio
Montaggio Andy Canny
Musiche Jed Palmer
Distribuzione Universal Pictures
Data di uscita

10 marzo 2018 – 22 novembre (Italia)

Durata
100 minuti

 

Il trailer originale del film

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1997 – Il principio dell’arca di Noè: quando il riscaldamento NON è globale

By CinemaNo Comments

In un ipotetico 1997, sulla stazione spaziale euro-statunitense “Florida Arklab”, orbitante intorno alla Terra e in grado di controllare il clima ovunque sul pianeta, si svolgono rilevamenti meteorologici ed esperimenti scientifici per modificare il clima di alcune zone del mondo.
Un progetto che, nato come civile, potrebbe essere in realtà usato come arma offensiva, poiché in grado di causare devastazione a qualsiasi potenziale avversario semplicemente creando disastri naturali come tempeste e inondazioni.

The Boss

1997 – Il principio dell’arca di Noè (Das Arche Noah Prinzip) è un film di fantascienza scritto e diretto da Roland Emmerich come tesi per la scuola di cinema HFF di Monaco di Baviera. Il film mette in evidenza problematiche sui rapporti tra Stati Uniti d’America ed Europa e tra scienziati e militari.

Sinossi

Il film si svolge nel 1997, 13 anni nel futuro rispetto all’uscita nelle sale. La pace nel mondo sembra raggiunta e le tipiche armi di distruzione di massa risultano ormai abbandonate. Tuttavia sulla stazione spaziale euro-statunitense “Florida Arklab”, orbitante intorno alla Terra e in grado di controllare il clima ovunque sul pianeta, si svolgono rilevamenti meteorologici ed esperimenti scientifici per modificare il clima di alcune zone del mondo.
Un progetto che, nato come civile, potrebbe essere in realtà usato come arma offensiva, poiché in grado di causare devastazione a qualsiasi potenziale avversario semplicemente creando disastri naturali come tempeste e inondazioni.
La stazione spaziale diventa presto il punto centrale delle crescenti “tensioni politiche” tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Successivamente a un colpo di Stato in Arabia Saudita, ai due astronauti presenti sulla stazione, Max Marek e Billy Hayes, viene chiesto di effettuare pesanti irraggiamenti in Medio Oriente. I due, rifiutatisi, verranno sospesi e sostituiti da Gregor Vandenberg e da Eva Thompson, moglie di Max.

Max e Billy scopriranno tuttavia che le attività di irraggiamento altro non sono che tentativi militari di mascherare una controffensiva al colpo di Stato in Arabia. Vandenberg si rivelerà essere una spia che saboterà il reattore della stazione, il quale, non reggendo al sovraccarico, costringerà i due sopravvissuti Billy ed Eva a fuggire in extremis a bordo dello shuttle.
Tornato sulla Terra, Billy fa rapporto al suo superiore, Felix Kronenberg, e questi gli confessa che gli americani hanno tentato di usare la stazione come arma ma hanno commesso un errore e hanno causato tempeste e inondazioni con milioni di vittime.
La loro testimonianza è chiaramente pericolosa, quindi i due astronauti verranno portati altrove, mentre il telegiornale informa della loro morte a causa di presunte radiazioni assorbite nello spazio.

Roland Emmerich

Emmerich è nato a Stoccarda, nella Germania occidentale, ed è cresciuto nella vicina città di Sindelfingen. Da giovane, ha viaggiato molto in tutta Europa e nel Nord America durante le vacanze finanziate da suo padre, Hans, ricco fondatore di un’azienda di produzione di macchine da giardino.
Nel 1977, iniziò a frequentare l’Università di Televisione e Cinema di Monaco con l’intenzione di diventare scenografo. Dopo aver visto Star Wars, decise invece di iscriversi al corso di regia della scuola.
Dovendo portare un cortometraggio come tesi finale nel 1981, egli invece scrisse e diresse il lungometraggio The Noah’s Ark Principle e mentre i suoi compagni studenti in genere riuscivano in media a raccogliere sui 20.000 marchi tedeschi per finanziare il loro lavoro finale, Emmerich riuscì invece ad ottenere un budget di 1.200.000 DM (circa 600.000 dollari USA).

Il film, girato a colori con audio mono, venne proiettato come opera di apertura del 34° Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1984, ricevendo consensi per abilità tecnica ed effetti speciali, pur non vincendo premi ma venendo comunque distribuito in ben 20 nazioni.

Dopodichè Emmerich volò a lavorare ad Hollywood con la sorella Ute e il resto è storia conosciuta, fatta di eccessi arcobalenici, fama e risibili e tronfi colossal catastrofici hollywoodiani che non ci interessano.

Quello che invece vorremmo sapere è come potesse un “oscuro” laureando in cinematografia ad essere a conoscenza delle attuali guerre climatiche già ad inzio anni 80 e oggi diventare, al contrario, accanito “avvocato” di un presunto ma tanto sbandierato riscaldamento globale.
Questo resta un mistero che solo lui potrebbe svelarci.

Interessante in merito il seguente articolo di cui si consiglia la lettura.

Locandina del film

1997 – Il principio dell’arca di Noè (Germania Ovest – 1984)

Regia Roland Emmerich
Soggetto e sceneggiatura Roland Emmerich
Produzione Wolfgang Längsfeld
Hans Weth
Peter Zenk
Interpreti Richy Müller: Billy Hayes
Franz Buchrieser: Max Marek
Aviva Joel: Eva Thompson
Matthias Fuchs: Felix Kronenberg
Nikolas Lansky: Gregor Vandenberg
Fotografia Egon Werdin
Montaggio Tomy Wigand
Musiche Hubert Bartholomae
Distribuzione Filmverlag der Autoren
Data di uscita

February 22, 1984

Durata
100 minuti

 

Il trailer originale del film