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Chitarre Vintage Italiane

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EKO 700 “Spaghetti alla Bolognese”

By Chitarre Vintage ItalianeNo Comments

Con questo articolo, Classic2vintage da spazio ad un nuovo collaboratore, il giovane liutaio Matteo Fontana, che ci presenta uno dei suoi ultimi lavori, una splendida Eko 700 uscita dalla capsula del tempo.

Lorenzo

Ma lasciamo la parola a Matteo:

«La serie Eko 700 venne prodotta dal 1961 al 1965 e tutti i modelli erano caratterizzati dalle tre spalle mancanti; quella posta sul lato inferiore della chitarra era ideata per suonare da seduti, con il manico rivolto verso l’alto, come da impostazione classica. Questa idea delle tre spalle mancanti, tipica dei modelli anni ’60 e chiamata anche “triple cutaway”, sembra essere frutto di Bartolini e dei fratelli Cingolani.

La serie 700 è ricca di dettagli ed è l’esempio perfetto per ricordare gli albori della Eko, quando si prendevano ancora i pezzi delle fisarmoniche, in particolare la celluloide, per costruire delle chitarre totalmente diverse rispetto a quelle che venivano prodotte in America.

La chitarra in mio possesso è una Eko 700 modello “Spaghetti alla Bolognese” e l’ho acquistata da un signore che l’aveva “dimenticata” per 58 anni nella sua custodia, dentro ad un armadio. Proprio per questo motivo lo strumento è in ottime condizioni, con colori e cromature ancora perfette.

Gli unici interventi che ho dovuto fare sono stati una leggera rettifica della tastiera, pulizia dell’elettronica e, ovviamente, un meritato cambio corde.

DESCRIZIONE DELLA CHITARRA

Questo strumento venne prodotto nella seconda metà del 1963, la datazione è facile perché nel corso di quell’anno i designer della Eko modificarono per l’ennesima volta piccoli dettagli nell’estetica della chitarra.

Viene chiamata “Spaghetti alla Bolognese” per il top in celluloide di colore rosa e oro. Il retro dello strumento, sempre in celluloide, è di un colore chiamato variegato all’amarena rosa; top e back sono uniti da un filetto in metallo color oro che sormonta le due coperture in plastica.

Il manico è unito al body con piastra a 4 viti, le meccaniche sono aperte, con bottoni ovali in plastica bianca, (presumibilmente meccaniche Van Gent). Il capotasto è in plastica bianca, la tastiera in palissandro ha sui lati un binding bianco; i tasti sono 21, più il tasto zero. Una particolarità delle Eko 700 sono i segna tasti in plastica bianca, la cui forma ricorda vagamente quella delle navicelle spaziali.

Il body, in multistrato come quasi tutti gli strumenti Eko dell’epoca, è sormontato da un battipenna bordeaux con il logo Eko in sovraimpressione. È proprio osservando il battipenna che si può affermare che questa chitarra è stata prodotta nella seconda metà del ’63 in quanto, rispetto alle chitarre prodotte nel primo semestre, questo battipenna è più arrotondato e gli è stato aggiunto anche un minijack con switch per remotare gli effetti.

Al di sotto del battipenna è ancorata tutta l’elettronica, con selezione dei pickup a 6 pulsanti, un volume e un tono. Il circuito viene chiamato a fisarmonica in quanto utilizza alcune parti, selettori compresi, che precedentemente erano utilizzati per la costruzione delle ormai antiquate fisarmoniche.

IL SUONO

Il suono è quello di una tipica chitarra vintage, quattro pickup single coil non molto potenti che ti obbligano a tenere le corde molto vicine; la cosa bella è che la selezione pickup funziona per preset e si hanno a disposizione 5 tipi di suono diverso.

Con il primo selettore chiamato M, tutti i pickup lavorano in contemporanea e si ottiene un suono molto bilanciato, perfetto per arpeggi e linee melodiche; è quello che potremmo paragonare al pickup al manico di una Fender.

Il secondo selettore chiamato 1, fa lavorare solo il primo pickup al manico, il suono è molto pastoso e mette in risalto i bassi, a discapito delle frequenze più alte.

Il terzo selettore, chiamato 4, fa lavorare solo il quarto pickup, quello al ponte. Il suono è l’opposto del precedente, molto tagliente ed elimina quasi completamente le frequenze basse.

Il quarto selettore invece è una combinazione tra il pickup al manico e il pickup al ponte, infatti è chiamato 1+4; il suono è potente, meno impastato rispetto ad M ed è molto gradevole.

Il quinto selettore è l’ultima combinazione e fa lavorare insieme i pickup in mezzo per questo è chiamato 2+3; anche in questo caso il suono è tagliente, simile al suono del terzo selettore ma con più volume, dovuto alla combinazione tra i due pickup.

Infine l’ultimo selettore è chiamato 0 (zero) e praticamente è un Off che, se selezionato, disattiva tutti e quattro i pickup.

CONCLUSIONI

Come in tutte le chitarre vintage, i difetti ci sono, ma la cosa più bella di questo strumento, oltre al suono che ti trasporta in un’altra epoca, è l’estetica, un’estetica davvero particolare ed innovativa, per il tempo futuristica e che rispecchia a pieno gli intenti della Eko nei suoi primi anni, cioè differenziarsi dalle già diffusissime chitarre americane.

Un’altra caratteristica meravigliosa è il riadattamento delle parti delle vecchie fisarmoniche, dalla copertura in celluloide alle componentistiche dell’elettronica. Il tutto è stato fatto così bene da non ricordare i vecchi strumenti popolari, ma porta piuttosto a pensare alla chitarra come ad un oggetto di design, ricco di dettagli e di peculiarità che ormai da anni non si vedono più.»

-Matteo Fontana-

«Liuteria Fontana è un progetto giovanissimo, nato dopo aver conseguito il diploma presso la Civica Scuola di Liuteria di Milano. Sono un giovane liutaio che ha voglia di imparare e migliorarsi, questo articolo è stata una grande occasione per esprimere il mio parere a riguardo di uno strumento davvero unico. Se vorrete vedere i miei lavori potete visitare le pagine Facebook e Instagram»

Demo dei suoni di questa Eko 700 “Spaghetti alla Bolognese”.

Come suona in saturazione una Eko 700 a quattro pickup.

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The mysterious Serrini Bros

By Chitarre Vintage ItalianeNo Comments

Proseguiamo il nostro viaggio negli strumenti d'epoca con un altro rarissimo esemplare, probabilmente uno dei più rari al mondo, con buona probabilità che possa trattarsi addirittura di un prototipo mai entrato in produzione.

Lorenzo

Capita, fin troppo spesso, che nella sterminata produzione di strumenti italiani della regione delle Marche saltino fuori dei prototipi o degli esemplari rimasti ad una piccola produzione artigianale a scopo dimostrativo e mai entrata in produzione, era cosa comune in quel folle calderone di idee che erano gli anni 60 e 70 italiani, dove gli esempi di ottimo design si “sprecavano”, spesso anche letteralmente (in seguito altri in cerca di idee ne avrebbero approfittato e possiamo vederne esempi recentissimi anche nella produzione di arredo ed illuminazione di note multinazionali del settore).

Sembra proprio che questa Serrini Bros sia stata prodotta da una ditta che si ooccupava, com’era di prassi nella zona delle Marche, di fisarmoniche.  Le sparute notizie che si trovano in rete indicano la probabile appartenenza del marchio a Randolfo Serrini che, al ritorno dagli USA, fondò la ditta Lira a Castelfidardo, mantenendo i legami commerciali con l’ex socio Zoppi a Chicago.

Lo strumento si presenta con un design irregolare e slanciato, abbastanza atipico per la produzione italiana dell’epoca e ricordare i lavori di Jim Burns e Neal Moser e, in alcuni particolari, anche Wandrè e Dean Zelinsky.

Presente anche qua la tipica pulsantiera per la selezione della combinazione dei pickup che ritroviamo in gran parte degli strumenti di produzione marchigiana dell’epoca, molto simile a quelle che venivano installate anche su alcuni strumenti giapponesi di ispirazione italica. Tipici anche i quattro pickup single coil installati a coppie.

Ciò che desta particolarmente l’attenzione sono la paletta, che diventa biforcuta sulla sommità, la bella forma irregolare del corpo con i due corni audacemente sottili e slanciati e il particolare sunburst della finitura. E’ presente anche un tremolo di forma non proprio usuale. In complesso uno stumento dall’estetica piacevole e con una spiccata personalità.

Il possessore della chitarra, il collezionista Gordy Ramz, ha acquistato la Serrini Bros direttamente dall’Australia nel 2011 e molto gentilmente ci ha inviato immagini, video e la documentazione in suo possesso, un post del 2008 reperito su un forum e dal quale risulta che lo strumento è stato rinvenuto nel 2007 in una discarica.

Lo strumento è stato sottoposto ad una approfondita manutenzione e attualmente si trova in perfetto stato di funzionamento.

Per il momento è tutto, speriamo di poter aggiornare l’articolo quanto prima con nuove ed interessanti informazioni e magari anche con il ritrovamento di altri strumenti della Lira/Serrini.

Alcuni video della Serrini Bros.

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Godwin “The Organ”

By Chitarre Organo, Chitarre Vintage Italiane, Sintetizzatori Vintage ItalianiNo Comments

Ad un certo punto la magica follia tecnologica degli anni 60 partorì il suo “mostro”: dopo che Bob Murrell ebbe presentato i suoi primi esperimenti e la Vox ebbe pensato bene di trasferire il modulo sonoro del suo organo Continental dentro il corpo di una chitarra Phantom VI, altri furono gli esempi che seguirono e tra i vari non si può non menzionare il progetto probabilmente più affascinante e tecnicamente meglio riuscito, la Godwin The Organ. Di anno di nascita incerto, c’è chi la assegna alla metà degli anni 70 e chi all’inizio, sicuramente lo strumento prodotto per Godwin/Sisme è quello più affascinante della famiglia delle chitarre riproducenti suoni di organo.

Lorenzo

Vera antesignana del guitar synth, la The Organ vede la genialità Italiana spingersi al suo massimo: ogni tasto del manico, diviso in 6 segmenti, aveva collegamenti elettrici in modo che quando entravano in contatto con la corda si otteneva lo stesso effetto dello spingere un tasto su un organo; il contatto elettrico si chiude e la nota suona perfettamente e senza possibilità di errore. In questo la Godwin non ha rivali: nessuna latenza o sfarfallio dovuto ad un pessimo tracking (tracciamento della nota), difetto presente in quasi ognuno dei primi guitar synth e spesso anche negli attuali. Questo la pone, dicevamo, come vera antesignana delle chitarre synth.

Oltre al suono di organo elettronico, la The Organ è anche una “normale” chitarra elettrica, equipaggiata con una coppia di pickup che ricordano lo stile lipstick, con bilanciamento e volume regolabili. L’elettronica è alloggiata dentro allo strumento, in uno scomparto posto sul retro e sotto al largo battipenna che ospita i vari controlli (19 switch e 13 potenziometri sul modello di punta e 16 switch e 4 pot sul modello “economico”), mentre il complesso sistema elettronico è alimentato da un apposito power pack racchiuso in un box nel quale è inserito anche un pedale del volume. Fondamentalmente, gli interruttori rotativi assurgono alla funzione dei drawbars e ciascun “drawbar” può essere inserito o disinserito, il musicista può così aggiungere o sottrarre i suoni di “strumenti” desiderati e regolare la velocità del tremolo tramite i controlli on board.

L’estetica di questo strumento parla da sola e si nota al volo che fu pensato per il mercato Usa (come spesso avveniva con gli strumenti a marchio Godwin): una particolare e moderna versione del doppio Florentine cutaway arricchisce le forme sinuose di questa hollow body interamente costruita in acero con una splendida buca a forma di S e altri cinque sound-holes di varie lunghezze, anche questi con retina argentata, vanno ad ornare il top. Il comodo manico panciuto in 3 pezzi, anch’esso in acero, è assicurato al body da una piastra a 4 viti con pin reggi-tracolla, numero seriale e la dicitura “Made In Italy”.

I segnatasti di tipo micro dot neri si trovano lateralmente, sul binding che corre ai bordi della tastiera, mentre la bella e moderna paletta stilizzata recante il bel logo Godwin Organ è equipaggiata con le ottime meccaniche Grover Rotomatic. La tastiera in palissandro è dotata di 21 tasti suddivisi in 6 segmenti per altrettanti contatti elettrici individuali. Il ponte è tipicamente regolabile in altezza, con 6 sellette anch’esse regolabili individualmente ed ha copertura poggiamano, mentre il piacevole attaccacorde a trapezio con la G del logo è ancorato con 3 viti.

La forma della Organ ha una personalità che si distingue ed ogni particolare è decisamente ben equilibrato: ci troviamo davanti ad un’estetica di grande fascino ed è un peccato non sia stata commercializzata anche come chitarra elettrica hollow body a sé stante perché sicuramente avrebbe riscosso un successo tutto suo.

L’endorser più conosciuto di questo strumento fu Peter Van Wood, che ne fu evidentemente tanto entusiasta da dedicargli addirittura un album dal titolo “Van Wood and His Magic Guitar Organ”, facendosi ritrarre in copertina con la The Organ in bella mostra.

Purtroppo non si riescono a trovare molti file video, tranne questi pochi che non rendono bene l’idea del funzionamento e delle sonorità dello strumento (nell’ultimo la chitarra non ha più nemmeno la sezione elettronica dell’organo). Nel primo è però possibile vedere il frammento di una esibizione dal vivo di Van Wood con la sua chitarra organo.

Video di Van Wood con la chitarra Organo.