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Amplificatori Vintage Italiani

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Eko – gli anni ’80

By Amplificatori Vintage Italiani, Bassi Vintage Italiani, Chitarre Vintage Italiane, Oliviero Pigini, Sintetizzatori Vintage ItalianiNo Comments

Siamo giunti al termine dell'epopea Eko, un'avventura che corre lungo tre densissimi decenni e che vede la sua conclusione con le serie Master, Performance e SA, al tempo stesso punta di diamante e canto del cigno dello storico marchio.

Lorenzo

La fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 avevano visto la nascita di grandissimi strumenti interamente in massello e con tavola armonica in abete Val di Fiemme, come la Alborada e la Giuliani per le chitarre classiche e la Korral Special e la Chetro per le acustiche.

Della Giuliani, il catalogo del 1981 citava:

“Chitarra da concerto costruita solo su ordinazione. Strumento eccezionale sotto tutti i punti di vista etc. E segue: “La Giuliani è l’unica chitarra oggi reperibile per la quale il fabbricante può garantire il livello sia di potenza che di qualità del suono. Soltanto gli strumenti che superano le severissime prove di collaudo finale dell’ E.A.R.L. (LABORATORIO DEI RICERCHE ACUSTICHE) ottengono infatti il nome Giuliani.”

Sul versante elettrico erano nati gli strumenti in monoblocco, sia bassi che chitarre, come la M24, la M20, la CX7 ed i bassi BX7 e MB21. L’hardware era in ottone massiccio e veniva prodotto nelle officine interne assieme agli ottimi pick-up (antironzio in esaferrito di bario ed in alnico 5° americano – speciale lega di alluminio, nickel, cromo, cobalto e rame) che venivano offerti come alternativa ai DiMarzio.

Articolo su Strumenti Musicali 1981 – clicca sulle immagini per leggere

Ci fu anche una piccolissima produzione di DM, ovvero le versioni doppio manico della M24 che furono create a 10 (chitarra e basso), 16 (chitarra 12 corde e basso) e 18 corde (manico 6 e manico 12).
Altri nuovi modelli furono la C33 e la C44 con il corpo in acero massiccio dello spessore di 42 mm e manico sempre acero.

Sempre nel periodo fine anni 70 inizi anni 80 nacque anche la famosa M33 Short Gun, conosciuta comunemente come “Fuciletto” per la strana forma del corpo (sempre in massello di Val di Fiemme) a forma di calcio di fucile.
In quegli anni iniziò anche una collaborazione con la Camac per il mercato tedesco.

Unibody M24

Unibody M24 e SC800 nel film “In viaggio con papà”

Unibody M20

Unibody DM 10, 16 e 18

Camac

Con la stessa tecnica nacque anche la C11, ispirata alla SG di Gibson. Anche la serie dei bassi si rinnovò con una nuova serie: a fianco alle chitarre C01 e C02 fu creato il B02 con le stesse tecniche costruttive e manico a scala corta.

Per i bassi scala lunga stile Fender nacquero il B55 ed il B55S, sempre con il corpo abete Val di Fiemme con finiture Natural, Cherry e Walnut (ordinabile anche fretless).

Discorso a parte fu la rara C22, una bella Les Paul molto leggera ed estremamente suonabile, costruita con un legno particolare di nome Jelutong. Ne furono fatte talmente poche che è quasi irreperibile e chi ne ha un esemplare lo tiene o se lo fa pagare caro.

Anche per queste linee era prevista la scelta tra pickup Eko o DiMarzio (la lettera S finale nella sigla significava che lo strumento montava i DiMarzio).

C11

C02

B55

CX7 Artist

C22

Il primo sistema di elettrificazione delle acustiche fu lo Shadow piezoelettrico (i migliori pickup sul mercato di allora) e di conseguenza nacque anche l’esigenza di avere un amplificatore da abbinare allo scopo. Al reparto della sezione amplificatori, il cui responsabile era Ferdinando Canale (poi fondatore della SR-Tecnology e della Sound Engineering), crearono il meraviglioso ed eccellente SC800, con cabinet in Val di Fiemme, del quale vennero prodotti due lotti da 50 esemplari.

Nei primi anni 80, per quanto riguarda la produzione delle chitarre, la sezione delle classiche vide, oltre alle già esistenti Alborada e Giuliani, la nascita delle Conservatorio 51 e Conservatorio 53, entrambe con tavola armonica in Abete Val di Fiemme massello e la Carulli tutta completamente in massello.

Per le acustiche, dal 1983 anche la Eldorado acquistò la tavola armonica in massello di Val di Fiemme e nacque il modello D100FP sempre con tavola in massello in pregiato Val di Fiemme.
Nel 1984 Korral e Chetro rimasero in produzione, scomparve la Ranger e subentrò la AW nelle versioni a 6 e 12 corde con amplificazione elettromagnetica al manico oppure rilevatore piezoelettrico al ponte.

La linea delle acustiche

Il modello di punta della chitarra classica divenne la TK Classic, a cassa bassa interamente in massello e con sistema di preamplificazione, della quale furono costruiti solamente una trentina di pezzi.
La Tk venne introdotta anche in versione Acoustic, sempre a cassa bassa e con preamplificazione (modello molto simile alla Takamine Ef391MR).

Ai tempi i più grandi musicisti italiani utilizzavano gli strumenti acustici EKO. Le Korral e Chetro erano comunemente suonate da Guccini, Franco Mussida, Teresa De Sio, Stefano Rosso, Ricchi e Poveri, Mauro Pagani, Mario Castelnuovo, Marco Ferradini, Lucio Violino Fabbri, Claudio Baglioni (anche con SC800), Ivan Graziani, Goran Kuzminac, Ricky Gianco, Fausto Leali, Francis Kuipers, Edoardo Bennato.

TK Classic

Per gli strumenti elettrici, nel 1983 arrivarono la M6 e la M7 che montavano Pickup “Magnetics”, entrambe attive, e i bassi MB9 e MB10, anch’essi con Pickup “Magnetics”.

Nel 1984 vide la luce la serie Master con i modelli M4, M4 e M4S Electroacoustic (presentate alla fiera di Milano appena prima del fallimento), la M5, la M7 e la M7 Deluxe. Il sistema Electroacoustic era un brevetto EKO che prevedeva un pickup piezoelettrico con 6 sellette separate inserite nel ponticello di una chitarra elettrica.

Nacque anche la serie Performance con le chitarre P100, P100 DeLuxe, P200, P200 DeLuxe. Tali modelli avevano corpo in ontano massello e manico in acero. La P100 Gipsy era come la P100 ma aveva un amplificatore incorporato con altoparlante tra il pick-up al ponte ed il manico.
I bassi della serie performance erano i B25 ed i B55.

M4S

P100

M4 Electroacustic

M5 (foto di Atraz)

M7 DeLuxe

Per venire incontro alle esigenze di un pubblico giovane rockettaro nacque anche la serie Tunderbolt, con il modello T40 (pick-up humbucker DiMarzio al ponte) e la T50 con due pick-up e nuovo design del corpo.

Anche le semiacustiche furono rinnovate, con i modelli SA29, SA39, SA39 Custom. I modelli di punta erano la SA396 e la SA396 Custom, entrambe con cassa da 60 mm e pick-up Attila Zoller oppure DiMarzio DP106.

Nel 1984 cominciarono a venire al pettine tutti i nodi dei problemi finanziari dell’azienda che, di conseguenza, chiuse nel 1985. L’istanza di fallimento è in data 21 maggio 1986 a cui segue una vendita gestita dal curatore fallimentare e così, tristemente, finisce la storia della VERA EKO.

Thunderbolt

Le semiacustiche SA

SA39

Ekoisti anni ’80

Franco Cerri con M-24

Ivan Graziani con Korral

Ivan Graziani con M-55 “Fuciletto”

Edoardo Bennato con Ranger 12 Electra

Edoardo Bennato con Korral e Lucio Bardi con M-24

Edoardo Bennato prova la sua E85 nella sala prove Eko

Franco Mussida (PFM) con DM-18

Patrick Djivas con MB-21

Patrick Djivas e Franco Mussida

Flavio Premoli (PFM) con Ekosynth P15

Rino Gaetano con un raro Bouzouki Eko

I Fratelli Balestra (Rocking Horse, Superobots) con le Crossbow (balestra, appunto), derivazioni della M33 “Fuciletto” scherzosamente create per loro dalla Eko

Bobby Solo con M-24

La Bottega Dell’Arte con una Fuciletto e un mini-ampli Polyphemus

Bernardo Lanzetti (Acqua Fragile – PFM) con una M-24

Donatella Rettore con una M-33 decorata con il Sol Levante

CLICCA IL PULSANTE E GUARDA!

Donatella Rettore – “Oblio” con CX-7 Artist  (alias “la Stratokiller”), M-24 e BX-7 

I Knack con le Fuciletto

Shane McGowan dei Pogues con una Ranger 12

Andy Wickett (ex Duran Duran) con Ranger 12

Ricchi e Poveri con Chetro e Korral

Vasco Rossi con Ranger 12 Electra

Roberto Puleo e CX-7 Artist “Stratokiller” con Riccardo Fogli

Ekoisti oggi

Mauro Pagani (PFM) con Bouzouki e Chetro

Fausto Leali e una delle primissime Korral

Giorgio Zito (Edoardo Bennato) con Ranger 12 Electra

Claudio Prosperini (Stradaperta – Venditti) con una rara M-24 12

Teresa De Sio con Korral

Francis Kuipers con la sua Korral Special autografa

Chiara Ciavello con Florentine single cutaway

Cristiano De Andrè con Bouzouki

Federico Poggipollini (Ligabue – Litfiba) con una 500

Saturnino con B02

De Gregori con 100/M

Johnny Winter con Ranger 12

Phil Rocker con 500

Sean Lennon con Ekomaster 400

Salutiamo e ringraziamo l’amico Julien D’Escargot per gentilissima e fondamentale consulenza e per l’enorme quantità di materiale messo a disposizione: senza di lui l’intero articolo Eko non sarebbe stato possibile.

Parte del materiale è stata reperita dal gruppo FB “Eko vintage guitars”, dove ex personale Eko e appassionati condividono immagini in loro possesso o trovate sul web. Un sincero ringraziamento va quindi anche a tutti loro.

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EKO – Gli anni ’70

By Amplificatori Vintage Italiani, Chitarre Vintage Italiane, Effetti Vintage Italiani, Pedali VIntage Italiani, Sintetizzatori Vintage ItalianiNo Comments

Iniziano gli anni 70 e la Eko guidata da Augusto Pierdominici si prepara ad affrontare con grinta il nuovo decennio, con nuovi prodotti all'avanguardia sia dal nuovo reparto Ekoelettronica che da quello Chitarre di Remo Serrangeli.

Lorenzo

Mentre inizialmente la fabbricazione di organi Ekosonic e amplificatori era affidata alla Galanti e nel ‘65 a Cremonini (che produsse Viscount, Duke, Herald e Valet ma anche i pick-up per le chitarre Eko e Vox che precedentemente uscivano dalla CRB), nel 1968 la Eko fondò la EME con la Danieli Milano, la JMI e la Thomas e prese in carico la produzione degli strumenti elettronici a nome Eko, mentre i mobili che contenevano le parti elettroniche venivano fabbricati in due reparti gestiti dalla sezione legno di Remo Serrangeli, che continuava ad occuparsi di chitarre, officina e manutenzioni.

Ekoelettronica

Dopo la progettazione del bellissimo modello Auriga chitarra e basso, Augusto Pierdominici passa a guidare la Eko a dirigere la produzione della neonata divisione di progettazione elettronica della Eko, che vedrà al comando del reparto progettazione e costi Felice Labianca e che partì alla grande nel ‘72 con la nascita dell’incredibile ComputeRythm.

La Eko ComputeRythm è la prima batteria elettronica interamente programmabile della storia, un piccolo mostro che ha fatto la storia grazie ai dischi di personaggi come Tangerine Dream, Manuel Gottsching (che la comprò proprio da Chris Franke dei TD) e Jean-Michel Jarre (da Oxygene), il quale ancora oggi ne fa uso, tessendone lodi appassionate.

Jean Michel Jarre con Eko ComputeRythm

Eko ComputeRythm, prima drum machine interamente programmabile della storia

Manuel Göttsching (Ash Ra Tempel) con Eko ComputeRythm

La splendida creatura di Giuseppe Censori e Aldo Paci aveva addirittura la possibilità di salvare i preset su schede traforate e la sua estetica così peculiare la portò ad essere addirittura protagonista delle scenografie di alcuni film di fantascienza del periodo.

Uno dei pochi esemplari ancora rintracciabili è oggi di proprietà del Museo del Synth Marchigiano e Italiano.

Hainback e la Eko ComputeRythm

In seguito nasceranno, oltre a tutta una serie di organi casa di varie fasce di prezzo, la celeberrima serie degli organi Tiger (un successo da 55.000 esemplari prodotti in tre anni), il piano elettrico Sensor, le pedaliere per bassi K1, K2 e K3 e nel ‘74 il synth monofonico Ekosynth e lo Stradivarius, synth di violini.

Eko Tiger 61

Il New Tiger Duo su progetto di Fabio Conti: la tastiera superiore dell’organo scorre su binari interni e si chiude fino a diventare una valigia.

Ekosynth

Eko Stradivarius

Fu creata anche una linea di pedali effetto come lo wha Strepitoso, il simulatore di rotary speaker Sound e il Mitico Multitone, uno dei primissimi pedali multieffetto analogici (volume, wha, bass/treble booster, distorsore e repeat percussion), che pare siano nati addirittura nel 1969.

Multitone

Eko Multitone

Strepitoso wha

Pedali Ekosound, Multitone e pedaliera bassi Special o K1

Nel 1975 la EME passerà di proprietà alla Farfisa e gli ultimi prodotti del reparto elettronico Eko saranno nel ‘79 il P 15, monosynth analogico a controllo digitale con preset, e l’Ekopiano ad inizi ‘80.

Ekosynth P 15

Nel frattempo, al reparto chitarre

Mentre il reparto di Pierdominci faceva furore, Serrangeli non stava certo a guardare e, tra il ‘74 e il 75 riprese lo studio tecnico della fisica degli strumenti a corda e delle forze agenti su di esso. A questo scopo acquistò lo stesso complesso macchinario Bruel Kier che veniva utilizzato all’università di Cremona per tale scopo e diede inizio alla produzione della Alborada.

Da queste esperienze, tre anni dopo, nacque la Giuliani, autentico modello di punta (anch’essa in massello e tavola in pregiatissimo abete Val di Fiemme), che veniva fornita con attestazione della curva di risposta, realizzata proprio con quella apparecchiatura. Tale documento dava la possibilita al cliente di tornare dopo anni in fabbrica e ripetere il test per controllare la maturazione dei legni e il conseguente aumento di volume dello strumento.

Chetro e Korral

Serrangeli e De Carolis con la Chetro

Le Chetro di De Carolis

Nello stesso periodo cominciò la progettazione delle prime acustiche professionali e, in collaborazione con John Huber, liutaio e all’epoca area manager della Martin in Europa, progettò la Korral Special, anch’essa interamente in massello e con top solido in Val Di Fiemme e tastiera in ebano. Da questa nascerà la Chetro, la prima delle quali fu un esemplare a 9 corde creato per Ettore de Carolis (Chetro è appunto il nome di sua figlia). Le etichette interne alla buca, con descrizioni di materiali e lavorazione, in tutti e quattro gli strumenti acustici venivano scritte a mano con inchiostro a china da Ettore Guzzini, Manager Italian Market di Eko, che scriveva anche il nome del proprietario sugli esemplari destinati a diventare Signature.

Poi ci fu la produzione della Ranger nera di Bennato che vendette 6500 esemplari e alla fine degli anni 70 nacquero le elettriche monoblocco come la M24, ma di questo parleremo nella parte dedicata agli anni 80 della Eko.

La piccola Chetro De Carolis con la chitarra che ha preso il nome da lei, il prototipo 9 corde

Catalogo strumenti acustici 1975

Chi suonava Eko negli anni 70

Mick Taylor

Mick Jagger

Martin Barre (Jethro Tull)

Mike Rutherford (Genesis)

Peter Ham (Badfinger)

Joe Egan (Stealers Wheel)

Stealers Wheel – Stuck In The Middle With You

Jimmy Page (Led Zeppelin)

Bob Marley

Lucio Battisti e Ornella Vanoni

Mia Martini con una J56/1

Ron e Lucio Dalla

Guccini con una Chetro

Fabrizio De Andrè con la PFM (Lucio “violino” Fabbri suona una Chetro 12)

Peter Van Wood con Ranger 12 Electra

Lino Vairetti (Osanna) con Ranger 12

Pino Daniele con la Ranger 12 che fu di Lino Vairetti degli Osanna

Vanna Brosio con Ranger 12 Electra

Renato Zero con Rio Bravo

The Trip con strumenti Eko (Billy Grey con chitarra Kadett e Joe Vescovi con organo Ekosonic)

Clicca il pulsante e guarda The Trip con gli strumenti Eko (chitarra Kadett, Organo Ekosonic)

Un caro ringraziamento all’amico Roberto Bellucci di Elettronica Musicale Italiana per le informazioni integrative sulle creazioni del reparto Ekoelettronica.

L’articolo continua nella terza parte: Eko – gli anni 80

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EKO – Gli anni ’60

By Amplificatori Vintage Italiani, Bassi Vintage Italiani, Chitarre Vintage Italiane, Oliviero Pigini, Personaggi Storici, Sintetizzatori Vintage Italiani2 Comments

La Eko fu non solo la più grande fabbrica di chitarre d'Italia ma anche uno dei maggiori successi mondiali nel campo degli strumenti musicali. L'artefice di tale successo fu un personaggio di nome Oliviero Pigini e a lui dedichiamo questa mostra virtuale di celebrità che hanno imbracciato i suoi strumenti.

Lorenzo

Oliviero Pigini, fondatore della Eko

Oliviero Pigini fu un leone dell’industria italiana che, dalla fondazione della Eko nel 1960, riuscì da solo a portare la quota delle chitarre italiane esportate nel mondo dallo 0,8% del 1956 al 12% del 1965.

Dopo un inizio come produttore di fisarmoniche, Pigini decise di rivolgere la sua attenzione alle chitarre e nel 1956 fondò la Giemmei (Giocattoli Musicali Italiani) a Castelfidardo, con la quale gestiva la vendita per posta di chitarre di liuteria siciliana e importate dalla Jugoslavia.

Nel 1959 fonda la Eko S.A.S. di Oliviero Pigini & Co. e nel 1960 rilevò un ex-stabilimento di fisarmoniche ed inizio la produzione in proprio con il supporto di CRB Elettronica, che già dal 1958 progettava e produceva pick-up su richiesta di Pigini.

Nel 1964 la Eko si trasferirà a Recanati, dove, mentre Pigini e Augusto Pierdominici disegnano chitarre e bassi a marchio Eko, la fabbrica produrrà strumenti anche per altre grandi ditte come la Vox.

Nel 1965 inizia la produzione delle chitarre con i nomi di animali (Cobra, Barracuda, Dragon, Condor, Cygnus) e le nuove chitarre signature come Rokes, Kappa, Auriga, Pace.

Nel 1966 fonderà La Comusik, con la quale gestirà la commercializzazione degli strumenti (Eko, Vox, Thomas) e la Genim che gestirà la parte immobiliare come l’albergo Eko di Fano che, nelle intenzioni di Pigini, sarebbe stato l’hotel dedicato alla musica e agli artisti.

Sempre nel 1966 però si verifica un incendio (a detta di alcuni doloso), che distrugge una parte dello stabilimento di Recanati e Pigini inizia la costruzione del nuovo stabilimento di Montecassiano ma non ne vedrà mai la fine poichè un infarto arresterà la sua corsa ad inizi 1967 a soli 44 anni.

Pigini con il personale della Eko

La fabbrica Eko

Purtroppo la scomparsa di Pigini coincide con l’inizio di una crisi del mercato causata dalla concorrenza asiatica e per alcune scelte non proprio azzeccate e lungimiranti: sotto la guida di Augusto Pierdominici la Eko aggiorna e diversifica la produzione, mettendo in secondo piano il reparto chitarre e puntando tutto sugli strumenti musicali elettronici, le tastiere e gli effetti incorporati come nelle chitarre Vox.

Soluzione questa che si sarebbe rivelata fallimentare, non perchè mancassero idee e innovazione, tutt’altro (prova ne è la mitica drum machine Computerythm), ma grazie alla politica commerciale aggressiva giapponese anche in campo elettronico (il governo giapponese sovvenzionava ampiamente le proprie ditte musicali mentre il governo italiano pensava a sovvenzionare il “vampiro” FIAT, che avrebbe condotto al fallimento la scena automobilistica italiana, trascinandosi dietro tutti i marchi migliori acquisiti nel tempo).

Il mercato degli strumenti a corde invece non era affatto in calo perchè la scena musicale non si fermava mai e mantenne le sue posizioni anche durante gli anni 70, 80 e a seguire. Questo mentre la Eko pagò le scelte sbagliate come quella di ripiegare sulla produzione di copie e strumenti elettronici, arrestando di fatto la curva ascendente che Pigini aveva impressso alla produzione italiana nel mercato mondiale degli strumenti musicali.

Gli ultimi tentativi di riportare la Eko ai tempi gloriosi furono sotto la guida oculata di Remo Serrangeli, che, con idee produttive innovative, iniziò una produzione di chitarre e bassi di alta qualità ma l’improvvisa entrata in campo di una nuova gestione scellerata vanificò gli sforzi portando la Eko alla chiusura a metà anni 80.

Questo articolo sarà quindi una celebrazione dello storico marchio italiano, attraverso le immagini di musicisti, artisti e quanti altri hanno amato ed usato i suoi strumenti nel corso del tempo.

Maurizio Vandelli ne I Giovani Leoni, con Eko Master 400

Franco Ceccarelli dell’Equipe 84 con la chitarra della Pace

I Dik Dik con strumenti prototipo

The Rokes con i celebri strumenti che portano il loro nome

The Rokes – Grazie a te

Caterina Caselli con Ranger 12 Electra

Adriano Celentano con Ekomaster 400

Rita Pavone (basso 995) e Giancarlo Giannini

Dario Toccaceli con Eko 100

Ricky Shayne con Eko 100

I Kings con le Eko Kappa, create per loro

Le Snobs con chitarre e basso della linea Cobra

Herbert Pagani con Ranger 12

Fausto Leali con Ranger 6 Electra

L’avventura internazionale

Pigini stabilì diversi contatti con distributori esteri, tra cui i fratelli Lo Duca per gli Usa. Perciò chitarre e bassi Eko si possono trovare con altri marchi come Eston, Shaftesbury e in seguito anche D’Agostino, Camac… Alcune Vox erano semplicemente delle Eko rimarchiate.

Oliviero Pigini (a sinistra) con Tom Lo Duca, importatore USA della Eko.

Dick Elliot, testimonial e dimostratore della Eko per gli Usa

The Grass Roots

The Blue Chip Village Band

The Jackson Five

La Eko 100 di Jimi Hendrix

Pete Townshend

Roger Daltrey

Al Stewart

Brigitte Bardot

Les Disciples

Gary Burger (The Monks)

L’articolo continua nella seconda parte: Eko – gli anni ’70

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La storia degli effetti Cosmosound, Silversound, Goldsound – intervista a Sandro Marchetti (parte seconda)

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Continua l'intervista a Sandro Marchetti, creatore dei pedali Cosmosound, Silversound, Goldsound.

Lorenzo

C2V: “Sandro, come nacquero i pedali in stile Fender?”

SM: “Nel ’76 Baldoni ebbe l’idea di riprendere il case dei Fender Blender in estruso di alluminio, anche il principio degli effetti era simile ma in realtà i circuiti erano un po’ diversi, abbiamo creato i distorsori (E-6 Powerful Sound e E-8 Wild Sound) e ci abbiamo aggiunto anche altri effetti (ndr. il distorsore con tremolo Cosmosound E-7 Fearfully Sound, tremolo che fu fatto anche come effetto separato, E-5 Shaking Sound). Tra l’altro arrivarono richieste dai chitarristi per un riverbero esterno da poter collegare agli amplificatori che ne erano sprovvisti. Di conseguenza creai un modulo in stile rack con riverbero a molla con più ingressi e controlli di volume e tono da poter utilizzare con chitarre e tastiere (CSE-10). Poi venne il Leslie elettronico Cosmosound (CSE-18): all’inizio li facemmo con le linee di ritardo ITT ma il costo era alto quindi ne facemmo pochi pezzi e nel frattempo ne studiammo uno con gli operazionali 741, molto più piccolo, che in pratica era un phasing doppio con due forme d’onda che funzionavano in opposizione simulando proprio il suono leslie. In seguito abbiamo ricreato anche l’effetto di cambio velocità. Agli inizi fu un po’ difficoltoso regolarlo ma con la pratica diventò una cosa estremamente rapida.”

C2V: “Ecco, a proposito di Leslie, ne producevate solo di elettronici o anche meccanici?”

SM: “No quelli erano solo elettronici, un leslie meccanico lo feci nei primi tempi alla MET, Baldoni e Polverini (Logan, GIS) stavano cercando un nome adatto e io uscii fuori con Rolling Sound, che piacque moltissimo. Ne facemmo alcuni campioni ma poi smisi di occuparmene perché nel frattempo, nel 1975, uscii dalla EME per dare vita, assieme e a Baldoni, alla ditta dove mi dedicavo ai pedali, la EF-EL, e il progetto del Rolling Sound K200 venne passato alla MAC di Carlo Mandolini la quale lo rinominò SC200 R e ne cambiò il mobile, mentre quello creato da me era decisamente più piacevole rispetto alla media degli altri leslie, anche se poi altri produttori una mezza scopiazzata gliela diedero, a quel mobile lì…del resto ai tempi era normale. Con la EF-EL creai anche dei componenti Hi-Fi e dei piccoli amplificatori da chitarra da 5 e 10 W, di quelli ne furono fatti parecchi. Degli ampli Hi-Fi (ndr. marchio MARSAN, che sta appunto per Marchetti Sandro) vennero prodotti modelli da 25 e 40 RMS e anche una tiratura limitata di 7 esemplari da 75+75w rms su 8 ohm, dei quali uno l’ho fatto per me e lo uso regolarmente.”

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C2V: “E tornando ai tuoi pedali, per quali altri marchi venivano prodotti?”

SM: “Li abbiamo fatti per vari marchi, anche per Meazzi e Vox.”

C2V: “E questo spiega perché si trovano gli stessi pedali Cosmosound a marchio Vox.”

SM: “Esatto, ai tempi a Montecassiano c’era la EME di Ennio Uncini (il padre del campione di motociclismo Franco Uncini) che aveva molti contatti all’estero e che produceva e importava per la Thomas e anche per Vox, anche se non ho idea di chi producesse gli amplificatori. Mi chiese se volessi fare i miei pedali con la scritta Vox e io accettai. Ma poi li feci anche per altri, per esempio Crosio di Parigi, un grosso negozio che importava le fisarmoniche, mi chiese i pedali e io glieli feci. Ma anche DO RE MI (poi diventata C D E, di Alfonso Barabino) e Cavagnolo ci distribuivano I Goldsound e i Silversound a tappeto in Francia. In seguito però sorsero problemi col mio socio Baldoni, inoltre il mercato dei pedali in quell’epoca cominciò a scendere e la produzione dei pedali rallentò. C’è da capire che il mercato va dietro alle mode, una volta nelle Marche era tutta una produzione di fisarmoniche, poi solo chitarre e tu vedevi ovunque complessi che suonavano solo chitarre, la Eko faceva gli straordinari nella produzione. Poi cominciò il periodo degli organi e tutti gli altri produttori aspettavano il modello nuovo della Farfisa per studiarselo e, anche se non i circuiti, almeno l’idea generale dello strumento gliela copiavano.”

C2V: “Quindi tu cosa facesti in seguito?”

SM: “Nel 1976 lasciai la EF-EL a Baldoni e andai alla Logan, con la quale avevo già cominciato a collaborare per gli organi. All’epoca la Logan era appena partita, agli inzi andai a dargli una mano e poi finii per rimanere con loro. Logan ai tempi produceva una tastiera di strings che era risultata la migliore in giro, poiché, al contrario delle altre ditte che usavano solo 2 linee di ritardo ITT (tra cui la Eminent, che aveva brevettato le tastiere strings), usava ben 3. Il capo tecnico della Logan, Costantini, aveva fatto alcuni esperimenti quando era stato precedentemente a lavorare alla Farfisa e si era reso conto che più linee di ritardo c’erano e migliore usciva il suono prodotto. Si avevano in pratica 3 oscillatori sfasati di 120° tra loro, con notevoli risultati finali. Alla fine chi la ascoltava restava innamorato e andò che i migliori gruppi usavano questa tastiera di violini. Il problema fu che la Elka fu la prima a produrre le Strings e anche la prima a portarle alla fiera di Francoforte, di conseguenza vendette tutto perciò la Logan, che arrivò in ritardo, rimase fregata per quell’anno. Ma le cose andarono ben diversamente l’anno seguente e la Logan vinse su tutti i fronti. Morale, io rimasi in Logan fino al 1982 e finii la mia carriera nel mondo degli strumenti musicali con loro perché dopo ci fu la crisi, alla quale i giapponesi contribuirono non poco: i primi anni vennero a Francoforte e fotografarono tutto quello che vedevano, non gli sfuggiva niente. In seguito si presentarono con prodotti migliorati sia esteticamente che tecnicamente migliorati, cogliendoci di sorpresa e mettendo fine alla storia della produzione italiana.”

C2V: “E questo accadeva alla fine degli anni 70, un vero peccato…”

SM: “Eh si, perché fino ad allora si stava benissimo e c’era un mare di lavoro per tutti, eravamo sommersi dalle richieste. Del resto i giapponesi avevano aiuti dal governo che noi, come al solito, non avevamo (pare che il governo giapponese pagasse in anticipo alle ditte gli strumenti che venivano esportati e si occupasse poi di gestire i pagamenti dilazionati dei vari clienti).”

C2V: “E da qua si entra nella storia che tutti in Italia ben conosciamo. Tornando  di nuovo ai Pedali, come funzionava il ciclo di costruzione?”

SM: “Agli inizi, quando ero ancora alla MET, progettai il tutto e ne avviai la produzione. In seguito, quando avviai la EF-EL, la MET (che aveva officina meccanica) continuò la produzione della parte meccanica e io mi occupavo di farli verniciare e finirne l’assemblaggio: montaggio della parte elettrica, finitura, collaudo e imballaggio.”

C2V: “Anche di applicare i vari marchi ti occupavi tu, quindi. Quali erano, ti ricordi?”

SM: “Eh, ricordarli tutti è difficile…c’erano i G.I.S., che aveva l’esclusiva in Italia di vari marchi e gli EUR che erano per i mercati paralleli.”

C2V: “Ce ne sono in giro anche di marchiati JEI, GUN, WERSI, ZENTA, EMTHREE (che è sempre Meazzi), MAC e ovviamente della tua EF-EL.”

C2V: “E come funzionava invece la promozione? C’erano già i dimostratori di strumenti?”

SM: “Si, eccome, noi avevamo Johnny Charlton dei Rokes e anche Peter Van Wood, che si prendeva più che altro i prototipi, tutte le cose “strane”: avevamo fatto un prototipo di octaver con ottava alta e bassa che era una cannonata, l’intento era quello di perfezionarlo e metterlo in produzione ma se lo prese lui e non lo vedemmo più, poi nel frattempo io me ne ero già andato. Un altro prototipo che facemmo era distorsore, repeat e un altro effetto che adesso non ricordo, il tutto controllabile con i piedi (ndr. la descrizione ricorda molto quella dell’Eko Multitone), ma erano cose che perlopiù non entravano in produzione perché non c’era mercato.”

C2V: “Dopo il settore musicale su cosa ti sei orientato?”

SM: “Mi sono occupato di tutt’altro, dai rubinetti elettronici, sia come meccanica che elettronica, alla creazione di prototipi in plastica e alluminio di apparati di illuminazione per la Guzzini, i cataloghi venivano realizzati con quelli. Da dopo la pensione ho coltivato l’hobby dell’aeromodellismo e ho costruito una decina di motori, a scoppio due e quattro tempi, a vapore, aria compressa, che sono stati pubblicati su riviste del settore.”

C2V: “Una vita all’insegna dell’artigianato vero e poliedrico, complimenti! Benissimo Sandro, a questo punto non mi rimane altro che ringraziarti per questa bellissima chiacchierata e per tutte le informazioni che ci hai dato!”

SM: “Figurati, è stato un piacere!”

Ringraziamenti

Si ringraziano ToneHome ed ElectricMister per la gentile concessione dell’uso di alcune delle immagini presenti nell’articolo.
Un ringraziamento all’amico Sebastian Galassi per la foto del Rolling Sound K200.

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La storia degli effetti Cosmosound, Silversound, Goldsound – intervista a Sandro Marchetti (parte prima)

By Amplificatori Vintage Italiani, Effetti Vintage Italiani, Pedali VIntage Italiani, Personaggi Storici, Sandro MarchettiNo Comments

Gli anni 60 e 70, come ben sappiamo, furono un periodo di enorme fermento creativo per la nostra penisola e in particolar modo per le Marche, dove si trovavano i grandi numeri della parte creativa e manifatturiera.

Lorenzo

Sandro Marchetti

E fu grazie all’ingegno e alla creatività di persone come Oliviero Pigini e Remo Serrangeli (Eko reparto chitarre), Terzino Ilari (EME ed Eko reparto elettronica), Aldo Paci e Giuseppe Censori (Eko reparto elettronica), Carlo Lucarelli (Farfisa, che lasciò nel 1976 per aprire la Siel), Giovanni Livieri (CRB), Bravi e Jura (Crumar synth), Orsetti e Pannelli (Crumar organi), Elio Zamorato (Farfisa, Elka), Alfredo Gioielli (fondatore di Pari e Milton), Marcello Colò (collaudatore e creativo CRB, Elka, Gem – Generalmusic, Ketron), Sandro Marchetti (EME, EF-EL, Logan) che furono creati gli strumenti marchigiani che invasero il mercato, lasciando un marchio ancora oggi indelebile.

Dietro a quelli che sono, assieme ai Jen, i pedali più famosi della produzione italiana, si cela la mente di Sandro Marchetti, poliedrico tecnico elettronico e meccanico marchigiano. Siamo fortunatamente riusciti a contattarlo per chiedergli di svelarci i segreti di questi ancora misteriosi pedali effetto e lui, con molta gentilezza e disponibiltà, ha accettato ed ecco finalmente tutta la storia della creazione di questi mitici effetti:

C2V: “Sandro, com’è iniziata la tua avventura nel campo degli strumenti musicali?”

SM: “Allora, ho inziato nel 1960 con la MET (Micro Elettro Tecnica) di Carlo Baldoni (MET, Logan, GIS, EF-EL) come tecnico progettista di motori elettrici in corrente continua a 6 espansioni polari che dovevano servire per magnetofoni, che erano gli apparecchi che “tiravano” ai tempi. Questi motori furono passati alla Phonola ma nel frattempo il mercato era cambiato e cominciarono ad andare le fonovalige (giradischi portatili) perciò fui costretto a progettare un motore a 3 espansioni adatto alle fonovaligie, per i quali brevettai anche un braccetto con contrappesi.”

C2V: “Ah, il classico giradischi con il quale siamo cresciuti!”

SM: “Si, e le fonovaligie inizialmente avevano un problema, la puntina aveva un braccetto che la premeva con troppa forza sul disco e dopo il primo ascolto il disco era da buttare. Così fui costretto a inventarmi questo sistema di contrappesi per ridurre la pressione del braccetto e funzionò molto bene. A seguito del calo di richieste dei mangiadischi venne fuori quella degli strumenti musicali e, oltre alle parti meccaniche ed elettroniche per chitarra per ditte come Eko, Melody, Welson (ndr. tra le quali la bellissima borchia dado conica che blocca gli ingressi jack che troviamo anche in buona parte dei prodotti italiani dei tempi), creai dei pedali volume per la gran parte dei produttori di organi della zona (Crumar, Elgam, Logan, Moreschi etc.) e da li iniziai la progettazione e realizzazione di vari pedali effetto ispirati a quelli presenti sul mercato ai tempi ma anche di scatolette da inserire direttamente nell’input della chitarra, tra le quali preamp, booster per bassi e alti e altri effetti.”

C2V: “Ed eccoci arrivati ai pedali…”

SM: “Si, uno dei primissimi fu il wah con distorsore, che era quello che andava per la maggiore, e i vari distorsori. Dopo facemmo il Phasing, che rispetto agli altri era particolare in quanto per creare la sfasatura del suono usavamo dei transistor FET (transistor ad effetto di campo) che erano tutti selezionati, cosa che gli altri produttori non facevano e di conseguenza la rotazione non risultava bella. Invece noi utilizzando i FET selezionati avevamo ottenuto una modulazione perfetta. In seguito vedemmo che immettendo il segnale di uscita nell’ingresso del phasing veniva fuori un filtro attivo che produceva un effetto somigliante ad un sintetizzatore e quello lo chiamammo Super Phasing. Nonostante i nomi fossero Cosmosound, Silversound e Goldsound, i pedali avevano gli stessi circuiti ma ne venivano variati l’estetica e il nome a seconda delle richieste del distributori dei vari paesi.”

(L’intervista continua nella SECONDA PARTE)