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Gli anni che ci avvicinano al 1968 sono pieni di fermento. In Italia il precedente decennio del boom economico ha lasciato una società rinvigorita, giovane, che vuole realizzare i propri sogni, motorizzata in massa grazie alle FIAT 600 e 500, piena di energie e di voglia di rinnovamento.

Alessandro Ciaramella

Prima della Carabo – L’evoluzione dei tempi

Nel 1966 conosce il suo apice la battaglia sportiva ingaggiata dal colosso Ford contro la Ferrari nel 1963, quando tre Ford GT-40 MK-II tagliano in parata il traguardo della 24 ore di Le Mans, prevalendo sulle mitiche Ferrari 330P/3, tutte ritirate (con tanto di esito drammatico per il vincitore morale della gara, nonché sviluppatore della Shelby-Ford GT-40 mk2, Ken Miles, ma questa è un’altra storia!).

All’epoca, questo tipo di gare era più seguito e importante della Formula 1, e l’evento fu di eccezionale rilevanza.

Nel 1966 un certo Marcello Gandini, 28enne designer di recente assunto presso la Carrozzeria Bertone di Torino, protagonista di questa storia (e di molte altre), nel tempo di tre mesi, a partire dal disegno al prototipo funzionante, crea la Lamborghini Miura.

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1966 – Lamborghini Miura

Quest’auto (la cui vicenda si intreccia in certo senso con quella delle Ford GT-40 di cui abbiamo detto prima) genera un clamore enorme all’epoca, ed è ancora oggi considerata una delle vetture più belle ed eleganti mai realizzate. Marcello Gandini, con la tipica incontentabilità dell’artista creativo, in un’intervista rilasciata qualche anno fa, non ha peraltro mancato di trovarle (incredibilmente) diversi difetti e cose che avrebbe voluto realizzare diversamente.

Non gli era mai andata giù l’insufficiente larghezza del corpo vettura e i primi pneumatici montati, troppo stretti (che all’epoca erano, infatti, gli unici disponibili).

Il 1967 porta in Italia la legge sul divorzio, la riforma dell’università e l’inizio delle proteste giovanili. Le minigonne si accorciano sempre di più. La fantascienza rinasce, il design si rivoluziona. Nella cinematografia sono in rampa di lancio film come “Il pianeta delle scimmie” e “2001: odissea nello spazio”. Cambieranno il modo di pensare il futuro. Visivamente, la fantascienza influenzerà il design, la moda e da essi sarà influenzata a sua volta.

E’ in quest’anno che l’Alfa Romeo inizia la produzione di un’auto da competizione con l’intento di riportarsi ai gloriosi tempi della Formula 1, lasciata da vincitrice all’inizio degli anni ‘50. E nasce, in effetti un’auto che riscuoterà, nel tempo, un gran numero di successi sportivi: l’Alfa Romeo Tipo 105.33, conosciuta come Alfa 33. Ne viene lanciata anche una versione stradale (soli 18 esemplari, una tra le più rare auto al mondo), disegnata da Franco Scaglione.

Su questa base molti saranno i prototipi realizzati dai più grandi designer negli anni immediatamente successivi, tutti passi fondamentali sulla via delle attuali auto sportive. E’ questo il DNA che darà i natali alla ventura Carabo.

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1967 – Alfa 33 Stradale

Per l’Expo del 1967 in Canada, in occasione del centenario della nazione, Alfa Romeo incarica Bertone di realizzare un’auto celebrativa. Nasce così il prototipo Alfa Montreal, sempre su disegno di Gandini. Le linee della Miura evolvono, si fanno più pulite e meno sinuose.

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1967 – Alfa Romeo Montreal prototipo

Lo stesso Gandini chiarisce che chi crea un’auto non è dissimile da un pittore. Ha certo un suo stile, ma ogni volta ha voglia di creare qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al proprio lavoro precedente. E le successive creazioni dimostreranno con forza questa sua convinzione.

Sempre nel 1967 Gandini cura il prototipo Marzal per Lamborghini, studio di auto sportiva a quattro posti in cui lascia definitivamente le linee della celebre Miura per sposare un look ben più visionario. E già sembra di trovarsi in un altro mondo.

Le superfici vetrate si fanno meno consuete, i piani taglienti e dritti, e appaiono linee poligonali e trame esagonali. Il cockpit sembra quello di un caccia stellare. All’interno pelle blu per il cruscotto e argentata per i sedili esagonali, pulsanti e luci rosse e arancioni caratterizzano il disegno dei rivoluzionari interni.

Quest’auto genererà poi la celebre Lamborghini Espada, prima sportiva con quattro posti veri. E’ un piccolo ma deciso passo avanti verso una nuova era del disegno automobilistico, un grande passo verso la Carabo.

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1967 – Lamborghini Marzal prototipo

I cambiamenti sociali e culturali del 1968 sono argomento ben noto e ampiamente discusso.

Dall’altro lato dell’oceano, nel 1968 viene prodotta l’americana Mustang che rivaleggerà, sia sui mercati che al cinema, con un’altra auto del pari mitica, la Dodge Charger.

Nel celebre film “Bullit”, con Steve McQueen, le due auto sono protagoniste di un rocambolesco inseguimento. In quell’anno esce però anche un altro film, destinato a diventare una pietra miliare della cinematografia: “2001 Odissea nello spazio”.

La visionarietà dell’opera rompe definitivamente con la cultura visiva del passato ed è il manifesto delle nuove idee di design futuristico. La fantascienza, nella sua parte grafica ed immaginifica, vira decisamente verso forme pulite, piani inclinati dai colori forti e contrastati.

Trame esagonali, grigliati strutturali realizzati in nuovi materiali e l’illuminazione portata in forma di lame di luce o piccolissimi spot presenti ovunque diventano il simbolo della modernità che sta per irrompere nel mondo.

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Da “2001: Odissea nello spazio”

In Italia, forse, pochi sanno che la NSU vince il premio di Auto dell’anno con la Ro 80, auto a motore rotativo Wankel (che tempi, che sperimentazione!), a Le Mans vince ancora la Ford GT-40 (prima di lasciare lo scettro agli anni del dominio Porsche), ma le Alfa Romeo Tipo 33/2 si piazzano nelle posizioni assolute 4a, 5a e 6a, vincendo la propria categoria e proseguendo la propria marcia trionfale in diversi tipi di competizione.

Arriva la Carabo

Il salone di Parigi del 1968 si avvicina. L’Alfa Romeo intende presentare un prototipo da esporre e chiama di nuovo Bertone per realizzarlo. Mancano solo 10 settimane all’evento e non lo si può perdere.

A quei tempi, i saloni internazionali dell’automobile erano le sole occasioni per esporre i nuovi concetti, i nuovi modelli di serie da promuovere e far parlare di se’ con avveniristici prototipi. Tutta la stampa specialistica presente, tutte le personalità più importanti del settore si potevano incontrare quasi solo in quelle occasioni ed era necessario essere presenti con novità e prototipi che aprissero la pista alle future realizzazioni.

E Bertone incarica ancora il geniale Gandini, appena 30enne, evidentemente sapendo di poter contare su un uomo in grado di scattare, come le vetture che sognava, a velocità massima in pochissimo tempo.

In questo contesto di fermento intellettuale rivoluzionario, Gandini riceve la base di una delle pochissime Alfa Tipo 33 stradale esistenti, telaio numero 75033.109. Dei pochi telai disponibili, due erano andati a Pininfarina (che ne realizzò i concept Cuneo e 33.2), uno a Italdesign di Giorgetto Giugiaro (che ne farà l’Alfa Romeo Iguana) e due a Bertone, su uno dei quali due Gandini disegnerà proprio la Carabo.

Il Telaio ad H asimmetrica dell’Alfa 33 era stato progettato, con tecnologie di derivazione aeronautica, da un uomo il cui nome gli appassionati Alfa portano nel proprio cuore: Giuseppe Busso. Composto da tre grandi tubi di alluminio che ospitavano al proprio interno i serbatoi del carburante, il telaio principale supportava due fusioni in magnesio atte a sostenere il motore e il gruppo trasmissione, e le sospensioni.

Con un passo cortissimo di 2.350 mm, il telaio di soli 48 Kg, tutta l’auto completa arrivava a pesare appena 700 Kg, una vera belva da pista. Per rendersi conto, la piccola placida utilitaria FIAT 500 dell’epoca, un’auto che tutti consideriamo molto leggera, pesava 550 Kg, cioè solo 150 in meno dell’Alfa, e aveva 13,5 Cv contro i ben 230 della versione stradale della 33.

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1967 – Telaio ad “H” dell’Alfa Romeo tipo 33

Il motore era un vero gioiello, il V8 da 1995 cc a 90 gradi, doppio albero a camme in testa, interamente in alluminio, progettato sempre dal geniale Busso, e in seguito affidato all’ingegner Carlo Chiti di Autodelta, che era il reparto corse dell’Alfa Romeo. Capace di 270 Cv a 8.800 giri (230 in configurazione stradale), abbinato a un cambio a sei marce a schema transaxle, era capace di spingere l’Alfa 33 fino a toccare i 270 Km/h e scattare da 0 a 100 Km/h in circa 5 secondi.

Si trattava, in sostanza, di una specie di Formula Uno dotata di una entusiasmante carrozzeria (dopotutto era un’auto omologata a partire dalla versione corsa), e infatti il prezzo era altrettanto stratosferico: circa 10 milioni di lire di allora. Nel 1968 una Ferrari Dino 206 GT costava meno di cinque milioni, la famosa Miura circa sette milioni, una Rolls Royce quasi 15, e la FIAT 500, di cui abbiamo detto prima, circa 500.000 Lire.

Questo è il cuore pulsante e la poderosa ossatura che Gandini riceve nelle proprie mani, sulla quale calerà un’estetica altrettanto visionaria. Nasce la Carabo.

Al Salone di Parigi è già famosa prima ancora che la manifestazione inizi.

Il giorno giunge, i battenti si aprono, è il 10 ottobre del 1968. A pochi minuti dell’apertura del Salone la Carabo è già attorniata da giornalisti e visitatori dall’aria sbalordita. Tutti si affollano attorno all’astronave appena atterrata.

Il colore è un verde sfavillante, la verniciatura luminosa ed iridescente è ripresa dai colori del coleottero Carabus Auratus, verde con sfumature dorate e arancioni, che dà il nome anche alla stessa vettura. La Carabo, appunto.

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Carabus Auratus

A stupire, ancor più che le prestazioni dichiarate (250 km/h e 6,5” per passare da 0 a 100 km/h), sono le dimensioni, le forme che tolgono il fiato. Lunga 417 cm e larga 178, la Carabo è alta soltanto 99 cm, 6 in meno della Miura che già sembrava bassissima.

Gandini è riuscito infine ad avere la vettura più larga e più bassa di quanto gli avessero lasciato fare con la Miura le limitazioni di produzione e i costi.

Due anni dopo, osando ancor di più lungo questa strada, realizzerà la Lancia Stratos Zero, ancora più estrema.

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1968 – Alfa Romeo Carabo, vista laterale (Museo Alfa Romeo)

Il profilo è un rivoluzionario monovolume a cuneo, l’aerodinamica diviene sempre più sofisticata nel solco delle prime Berlinette Aerodinamiche, le BAT Alfa Romeo di venti anni prima.

Il frontale è basso e affilato, volto a mitigare i problemi di deportanza che affliggevano l’avantreno delle Miura oltre certe velocità, sollevandone il muso. La linea scorre veloce e continua, ininterrotta e penetrante, dal musetto appuntito fino all’ampio parabrezza e al possente posteriore.

Le gomme sono finalmente come Gandini le avrebbe desiderate sin dall’inizio anche sulla Miura, larghe, possenti, che donano un aspetto molto aggressivo alla vettura identificandola ancor di più con le vetture da gara, di cui possiede inequivocabilmente il DNA.

Le portiere sono esagonali, con una inconsueta apertura a forbice. Incernierate sulla parte anteriore, si sollevano grazie a un sofisticato sistema di pistoni a gas.

Ricordano forse, in qualche modo, il coleottero nell’atto di spiegare le ali, pronto al formidabile volo.

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Alfa Romeo Carabo, apertura delle portiere

Gandini dichiarerà che non avrebbe mai pensato che tale soluzione avrebbe riscosso successo, e invece fu tanto apprezzata da essere riproposta su diversi altri modelli seguenti, anche di sua stessa concezione. Le prese d’aria del motore, elegantemente accennate in una sorta di branchia dietro ai finestrini, nutrono il possente V8 posto in posizione posteriore-centrale longitudinale.

La linea a cuneo procede senza quasi abbassarsi, decisa, verso il posteriore, tagliato di netto. Dopo il grande cofano motore coperto da un grigliato nero, aperto per l’evacuazione dell’aria calda del motore, il volume si chiude con lo specchio posteriore esagonale dal disegno molto curato.

Qui un grigliato scuro, esaltato dal contrasto col verde brillante, nasconde e mimetizza le luci posteriori, che sono visibili solo quando si accendono. Ricordano le griglie luminose dei computer della fantascienza, donando all’auto un aspetto iconico inconfondibile anche nei dettagli.

Lo spoiler a coda d’anatra integrato nel disegno della parte posteriore dell’auto domina il posteriore e lo conclude in alto, mentre in basso fuoriescono i quattro tubi cromati esternamente e rossi all’interno, a indicare la presenza delle due bancate del V8.

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Lo specchio posteriore della Carabo e l’interno del celebre HAL 9000

Come nelle più recenti tendenze di progettazione sportiva, l’abitacolo è spostato in avanti, e la linea del parabrezza è integrata con quella del muso, che va accorciandosi e abbassandosi sempre più, a differenza dei modelli del passato, aumentando aerodinamicamente la deportanza, il peso sull’anteriore e quindi la precisione di guida.

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Il muso della Carabo e la navicella Icarus del “Pianeta delle scimmie”

La parte centrale e posteriore dell’auto vede la predominanza della copertura del motore, al centro dell’auto sia fisicamente che metaforicamente.

I proiettori frontali sono dissimulati, come sulla Montreal, da lamelle orientabili, ma stavolta sono del tutto nascosti alla vista. Altre appendici mobili completano l’affascinante aspetto moderno della berlinetta.

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Carabo, i fari anteriori accesi

Il radiatore, posto sotto al cofano anteriore, emette l’aria esausta attraverso altre appendici alari integrate nel disegno del frontale. Le lamelle inferiori di colore scuro ricordano forse i segmenti dello scarabeo che le dona il nome.

Tutto è visionario, tutto è senza limiti di immaginazione.

Il colore audace apre la pista alle colorazioni più esotiche e nuove, che si vedranno negli anni a venire, sulle auto sportive e poi anche su quelle di serie. I cristalli sono dorati a specchio come le visiere dei caschi degli astronauti o i finestrini delle navicelle spaziali che dominano la fantasia dei più giovani.

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Questa disposizione volumetrica darà origine e si ritroverà in tutte le auto sportive che sono venute poi nel 20esimo secolo, sino ancora ad oggi nel 21esimo.

Gli interni rigorosi ricordano le geometriche cabine di pilotaggio delle navicelle stellari dell’epoca, il volante è conico ed essenziale, le forme astratte e squadrate.

Lo stesso logo richiama, quasi scherzosamente, la forma dell’auto con la lettera “A”, di forma esagonale, che ne simula l’inconfondibile sportello in posizione aperta.

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Il logo della Carabo sullo specchio posteriore

Il successo della Carabo è di livello mondiale, e la sua silhouette non solo fa il giro delle riviste del settore, bensì irrompe anche sulla stampa non specializzata.

Vi è unanime approvazione non soltanto per lo studio avveniristico del design, ma anche per l’impiego dei nuovi materiali e per le soluzioni tecniche d’avanguardia introdotte.

Dopo la Carabo, e la gloriosa progenie della Carabo

Celebrata nel corso del tempo, restaurata di recente, è stata esposta nel mondo nelle mostre di eleganza e ultimamente ha illuminato, con i suoi colori inconfondibili, le serate milanesi nell’occasione della Settimana del Design, nell’aprile del 2023. E’ attualmente conservata nel museo Alfa Romeo di Arese.

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2023 – la Carabo esposta a Milano

La Carabo si è posta come una pietra miliare del design automobilistico. Uno spartiacque, dopo cui nulla è stato come prima.

Oltre a influenzare quasi ogni altra vettura sportiva successiva sino ancora ad oggi in quanto a design generale, disposizione delle parti e dei volumi, la Carabo ha avuto una discendenza diretta a dir poco eccellente.

Due anni dopo, dalla stessa geniale matita nascerà la Lancia Stratos Zero, una scultura in movimento (come la definì lo stesso Gandini) la quale a sua volta genererà la Lancia Stratos, regina dei rally nel decennio dei ’70. E, poco dopo, farà la sua comparsa una certa Lamborghini Countach… ma questa è un’altra storia!

CLICCA PLAY PER GUARDARE LA CLIP DEL FILMATO ORIGINALE BERTONE CON LA PANORAMICA DELLA CARABO

Ringraziamenti

Un caloroso Benvenuto al nostro nuovo collaboratore Alessandro Ciaramella e un grazie di cuore per la passione e la meticolosità messe nella stesura dell’articolo e nelle ricerche ad esso correlate.

Un enorme ed eterno ringraziamento va al grande genio di Marcello Gandini, signore che con rare oggettività e umiltà ha insegnato al mondo come si disegnano e realizzano i sogni.

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