”Pur compiendo 40 anni e facendo un evidente parallelo con il celebre locale milanese a cui si ispira, Plastic Mexico appare oggi come il ritratto di un 1984 che sembra il 2024
Lorenzo
Plastic Mexico era il 1984 in Italia, avveniristico e virato alla moda vettoriale, a ricordare che il design italiano e il fantascientifico Giappone tecnologico dettavano legge nel mondo.
Gli echi del rock progressivo, del kraut rock e l’ispirazione dalla new wave di Japan e Bowie, dalla elettro fusion pop degli Yellow Magic Orchestra di Sakamoto e dal city pop si incontrano in questo pezzo d’arte, gioiello assoluto della discografia new wave italiana che veniva passato a rotazione da Videomusic ai tempi in cui però le rotazioni erano dominate dai fighetti della new romantic inglese dai quali le ragazzine italiane erano ossessionate ai livelli di nuovi Beatles e Rolling Stones.
Plastic Mexico era il 1984 ritratto da uno che fighetto non lo era e non lo sarebbe mai stato: nonostante i natali illustri, Alberto Fortis fu fin dagli inizi un vero outsider della musica italiana.
Nonostante una prima travagliata uscita discografica che lo portò immediatamente al successo, è rimasto da allora quasi nell’ombra, come il classico membro scomodo della famiglia che si teme perché geniale e allo stesso tempo capace di dichiarazioni indigeste.
Del resto che non abbia mai avuto peli sulla lingua lo ha dimostrato subito con le mitiche “Milano e Vincenzo” e “A voi romani” che stavano decretando la fine della sua carriera direttamente dal suo inizio.
Osteggiate dai canali ufficiali per le liriche esplosive, videro fortunatamente il successo grazie al provvidenziale fenomeno delle nascenti radio private che le programmarono allo sfinimento agendo da rampa di lancio per uno dei dischi più belli di sempre.
E dopo altri 3 dischi in studio eccoci al 1984 di El niño, album molto melodico registrato quasi completamente in duo da Fortis e Claudio Dentes (storico futuro produttore di Elio e le Storie Tese) in mezzo al quale Plastic Mexico è un’autentica mosca bianca e un exploit che racchiude in sé tutta un’epopea.
Chi c’era si ricorda bene quanto sia stato simbolico quell’anno, la svolta epocale del decennio ‘80: quando di colpo iniziò davvero il futuro che ci avrebbe portati agli anni 2000, tanto che gli anni ’90, con la loro depressa lentezza, avrebbero anche potuto non esistere se non fossero serviti per caricare la molla del nuovo millennio, pieno zeppo di tecnologia e completamente svuotato di contenuti umani.
Come ogni lavoro avanti rispetto al suo tempo, l’album El Niño non avrà successo e si farà ricordare praticamente solo per il video di Plastic Mexico – tra l’altro oggi assurdamente irreperibile online – che conteneva in gran parte spezzoni tratti dall’allora celebre film-documentario Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio.
Il video, come già detto, ricevette vasta programmazione sull’allora neonata emittente tv Videomusic, sicuramente grazie alle immagini del film di Reggio e al fatto che i videoclip prodotti ai tempi erano ancora molto pochi, soprattutto in Italia, e venivano ripetuti molte volte al giorno (agli inizi su Videomusic non c’erano programmi tematici ma esclusivamente la rotazione dei videoclip) perciò Plastic Mexico ottenne un numero enorme di passaggi in mezzo a Duran Duran, Spandau Ballet, David Bowie, The The, Dire Straits…
Plastic Mexico
Plastic Mexico, questa immaginifica esplosione di suoni e parole, questo melting pot di stili diversi e questo suo essere sanguigna e glaciale al tempo stesso, lascia stupiti e affascinati fin dal primo ascolto: dalla morbida partenza emotiva ambient poggiata su archi sintetici riverberati guidati da una insistente synth drum si passa ben presto ad un ritornello ritmato con synth brass in stile city pop per poi, al rientro nella strofa, ritrovarsi un riff di chitarra che ricorda i Japan ma anche la bowieana china girl e un basso fretless nello stile del compianto Mick Karn e poi nacchere nel bridge per tornare ad esplodere nel ritornello carico di chitarre distorte, basso tuonante ed esplosioni di sax e ottoni che ricordano la Town di Minako Yoshida.
Segue un nuovo lungo bridge con arpeggi di basso e un tappeto delirante e ipnotico di synth dove Fortis ci illustra la caduta della civiltà illuminata, il re maya trasformato in Grande Fratello di questo distopico 1984 con eserciti di yuppie-bot depersonalizzati e ci conduce ad un rock industriale col solo di chitarra fuzz appoggiato ad un basso distorto e potenti orchestral hits.
Si torna alla strofa dove la chitarra fuzz intesse attorno alla voce e introduce una tromba messicana e di nuovo siamo sul ritornello pieno di fiati per poi trovarsi di nuovo sul lungo bridge dove i fiati passano al rhytm’n’blues sui quali Fortis, appoggiandosi di nuovo al tappeto ipnotico di synth, declama il suo personale manifesto dei folli e colorati anni 80: una visione allucinata di tribù rese urbane e già in odor di cyber, in continuo sogno di evasione verso una “Shell Beach” che esiste solo nella loro mente addomesticata dall’arrivismo e dai sogni liquidi delle droghe.
E poi campionamenti di cori vocali e il sax ci introducono alla fuga liberatoria del finale rock con un nuovo solo di chitarra fuzz appoggiato al basso distorto e le urla di Fortis, una gioiosa ma disperata esplosione di fantasia e colori fluo e pastello tanto in voga ai tempi e sei arrivato alla fine e, cavolo, ti accorgi solo lì che sono passati ben 6 minuti e 10 che sono il doppio della durata di una classica hit che deve “non annoiare mai” e tu invece, dopo 6 folli stravolgenti minuti di inventiva musicale e lirica, la noia non sai nemmeno più cosa sia ma hai capito in che futuro ti ritroverai… oggi.
Ascolta il brano “Plastic Mexico”
Testo
Là, più in là, nel Mexico, fine tra di noi
oh baby non parlare, continua ad atterrare
io non so se ti amo più, tu mi hai detto stop
ma un viaggio ci fa bene per stare ancora insieme:
hai mai pensato al Nord America, lontano da qui
Tutti in piedi, dritti in fronte a me,
buongiorno cari amici, io dei Maya sono il re
torno al mondo per ricordarvi che
ballare a N.Y. City oggi è il meglio che c’è
amor, amor, amor non c’entro più
salire sul metrò, dopo dire sempre sì:
1, 2,3, 1,2, 3,4, eh!
Là, più in là, nel Mexico, fine tra di noi fanculo le bandiere, i popoli e le sere Non sopporto un uomo in più e non sopporto chi si sega in un pianeta di carni bianche e seta Oh Angela, tu non sai dove: hai mai pensato al Nord America, lontano da qui olé, olé, olé, torero del Bronx, stile pret-à-porter
immagine sul ponte di un baffuto gigolò
radio Camarito a radio Capital, bombe silenziose e tori pré-natal, radio qua, radio là, radio perché ad Acapulco c’è un posto per te Stop col sole, stop coi viaggi chic è tutto uguale, viaggio meglio al Plastic Ma Brooklyn dov’è, Brooklyn dov’è, eh Visitando il Mexico
Hey Mama
Di El Niño consiglio anche l’ascolto della splendida Hey Mama, brano dedicato alla madre, con cui Fortis chiude l’album: un tenero lento dalle atmosfere rarefatte, come un pensiero rivolto ad un angelo custode al quale affidarsi nei momenti difficili che il futuro descritto in Plastic Mexico riserverà.
L’ultimo terzo del brano è costituito da un sorprendente finale strumentale sinfonico orchestrale di una bellezza fuori dal tempo che lascia stupefatti ed esorcizza la visione da incubo urbano del 1984 con un soffio di speranza e dolcezza: l’umanità deve ricordarsi sempre cos’è l’amore e donarselo vicendevolmente perché, senza dubbio alcuno, è l’amore che la salverà.
Ascolta il brano “Hey Mama”
Testo
Hey, mama Voglio dirti che Tutto l’amore che troverò Voglio prenderlo perché
Più cresci e meno lo vedrai
Adesso vattene via di qui
Quando vuoi mi troverai
Quando una stella cadrà
Sei tu che mi chiamerai
Perché lei va da chi
Oh, mama, le dirà sì
Nel viaggio cosa hai visto mai
Ti han spaventato gli aerei
Ed il grande ponte dove stai
Musicisti
Alberto Fortis – voce, batteria, pianoforte, tastiere, percussioni
Claudio Dentes – basso elettrico, chitarre elettriche, chitarra acustica
Altri musicisti
Claudio Pascoli – sax sezioneDemo Morselli – tromba sezione
Demo Morselli – flicorno solo (brano: Hey Mama)
Paolo Severi – sax solo
Note aggiuntive
Alberto Fortis e Claudio Dentes – produttori, arrangiamenti
Claudio Dentes – produttore esecutivo
Lucio Fabbri – arrangiamento e direzione orchestrale
Registrato negli studi Psycho (Milano) da Claudio Dentes e al Moon Base da Maurizio Vandelli
Orchestra registrata nello Studio Regson da Paolo Bocchi
Mixato al Idea Studio di Milano (Crayg Milliner e Claudio Dentes)
Cutting eseguito da Arun Chakraverty al Master Room Studio, 59 Riding House, London
Copertina realizzata dallo Studio Convertino su idea di Alberto Fortis
Guido Harari – foto